Viaggi in Etiopia con AfroNine, il Tour Operator specialista nell’Etiopia che potrà mostrarti con competenza ed efficienza l’Etiopia, il cuore antico dell’Africa nera, con la sua storia che affonda le radici ai primordi dell’Umanità, ascoltare la magia della Natura che qui è ancora incontaminata ed esuberante e vivere una realtà storico-sociale avvolta tra miti e leggende che si fondono armoniosamente con l’ambiente stesso. Un crogiuolo di etnie e religioni, di tradizione e modernità. Culla della cristianità in Africa con Lalibelà la “Gerusalemme Africana” e l’antica civiltà axumita. Ospita i paesaggi lunari del deserto della Dancalia e molte etnie che vivono ancora seguendo inalterati antichi usi e costumi nella Valle dell’Omo. Un paese che in ogni viaggiatore risveglia memorie antiche.

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ADDIS ABEBA

Sin dalla sua fondazione, nell’Ottocento, Addis Abeba è sempre apparsa come un portale magico ai confini di un mondo antico e mistico che cela una grande saggezza nei remoti monasteri di montagna. A differenza delle capitali precedenti, stabilite dove lo imponevano esigenze politiche, economiche e strategiche, Addis Abeba fu scelta per la bellezza, le sorgenti calde e il clima gradevole dalla regina Taytu, moglie dell’imperatore Menelik. Mille realtà si incontrano e si scontrano in questa bellissima metropoli africana: agli edifici moderni del centro si contrappongono le casupole dal tetto in lamiera; agli impegnati uomini d’affari si oppone la vita tribale di sempre. Addis Abeba città in bilico tra modernità e una sorta di precarietà e vetustà che la rendono viva e affascinante ma anche ricca di contraddizioni; il mixage del nuovo che avanza e la fatiscenza dell’antico la rende una città particolarmente interessante, ricca di colori, profumi e contrasti.

La capitale vanta inoltre un panorama museale tra i più ricchi e variegati dell’Africa Orientale. Oltre alla Biblioteca Nazionale etiope dove sono conservati gli archivi imperiale di Hailè Selassiè, una menzione a parte meritano gli interessanti Museo Etnografico e la sezione archeologica del Museo Nazionale, divenuto famoso da quando custodisce la copia dei resti fossili, risalenti a 3 milioni e mezzo di anni fa, di “Dinquinesh” o “Lucy, l’Australopitecus Afarensis ritrovato nel 1974 ad Hadar; inoltre sono qui visibili interessanti reperti dell’antico regno axumita. Il Museo Etnografico si trova nella residenza dell’ultimo imperatore d’Etiopia, Hailè Sellassiè ed è uno dei più bei musei del continente; circondato dagli splendidi giardini e dalle fontane del campus principale dell’Università Selassiè consente di vedere una bella collezione di manufatti e artefatti che offrono uno straordinario spaccato culturale del popolo etiope.

Suggestiva e stimolante la salita dell’affascinante montagna Entoto, che raggiunge la considerevole altezza di 3.000 metri, da dove si gode una splendida vista della città. Dell’antica sede reale, qui voluta da Menelik, rimangono le rovine dell’antico palazzo e la chiesa di Debre Maryam, circondata da portici impreziositi da pregevoli affreschi, dove lo stesso Menelik venne incoronato imperatore nell’1880. In questa chiesa fu incoronato anche il suo successore Haile Selassiè. Nella parte ovest stimolante è il caotico e immenso “Merkato”, che vanta il primato di essere il più grande mercato all’aperto di tutta l’Africa.

Dal 1958 Addis Abeba è sede della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Africa e, dal 1963, del segretariato dell’Organizzazione dell’Unione Africana. Molti considerano la città la “capitale diplomatica dell’Africa”.

LAGO TANA

La scoperta del lago Tana risale ai tempi delle prime esplorazioni occidentali dell’Africa nera, quando missionari ed esploratori battevano le aree del Corno d’Africa alla ricerca delle mitiche sorgenti del Nilo, dilemma che catturò l’attenzione dei viaggiatori per molti secoli. Nel 1613 un gesuita di nome Pedro Paez descrisse il lago Tana, anche se fu il britannico James Bruce che nel 1770 si impadronì della paternità della scoperta, dedicandola al suo sovrano Giorgio III° d’Inghilterra. Presenze di esploratori portoghesi in zona, indicano che, probabilmente, il lago fosse già stato individuato nel 15° secolo.

Il lago Tana, con i suoi 3600 chilometri quadrati è il più vasto lago etiope ed ha una forma grossolanamente cuoriforme, con la vivace città di Bahir Dar nel punto più meridionale e ben 37 isole sulla superficie. Sia queste isole che le coste sono sede di un gran numero di monasteri e chiese risalenti a un periodo di tempo compreso tra il XIII e il XVIII secolo, molti dei quali di grande importanza storica e ancora oggi vivo punto di riferimento per la cristianità etiope.

Visitando il lago si incontrano varie “tanqwas”, le tipiche imbarcazioni di canna di papiro ancora oggi utilizzate dai Woytò, la popolazione del lago Tana, per recarsi al mercato a vendere legna e pesce. Queste fragili imbarcazioni, dal facile galleggiamento, rappresentano per le popolazioni rivierasche il principale mezzo di navigazione; sono del tutto simili, sia nella forma che nel metodo costruttivo, a quelle realizzate dagli antichi egizi, viaggiano a pelo dell’acqua e una volta raggiunto l’approdo vengono tirate in secco affinché si asciughino.

Nella penisola di Zeghie, coperta da una delle più estese foreste della zona, sorgono alcuni monasteri tra i quali la chiesa di Ura Kidana Merhat, una delle più belle del lago Tana, con splendide tele che coprono completamente le pareti esterne del Maqdas ed un museo ricco di manoscritti, dipinti, corone di re etiopi, croci e oggetti d’argento. All’esterno essa sembra un banale tucul con tetto conico in paglia ma all’interno splendide tele coprono completamente le pareti esterne del Maqdas. Sulla riva nord della penisola di Zeghie si può visitare, immersa nella lussureggiante vegetazione, la chiesa Beta Maryam con il relativo museo. Anche qui le pareti e i battenti delle porte del Maqdas sono decorate da numerose pitture che riescono, grazie alla loro bellezza semplice, ingenua e singolare, a trasmettere l’antico gusto artistico dei pittori locali, che raggiunse il suo apogeo nei secoli XVII e XVIII. Nell’isolotto di Kebran Gabriel si trova l’omonima chiesa realizzata nel XVII secolo e vietata alle donne. Sembra che la tradizione di interdire alle donne l’ingresso ai monasteri derivi da una specie di punizione inflitta loro per le devastazioni operate dalla regina Gudit, durante la guerra santa volta allo scopo di distruggere il cristianesimo e reinstaurare l’ebraismo.

DEBRE LIBANOS

Il monastero di Debre Libanos, situato sulla sponda del fiume Jema, è uno dei più famosi e popolari monasteri del XIII secolo. La chiesa, considerata uno dei luoghi più religiosi dell’Etiopia, venne costruita dall’Abuna Tecla Haimanot nel XIII secolo e fu la prima ad essere distrutta dal terribile guerriero mussulmano Gragn. La chiesa, che venne più volte restaurata, si trova in una gola verde bagnata da limpidi ruscelli le cui acque sono considerate miracolose. La sua comunità monastica riceve migliaia di persone, ammalati e storpi che qui giungono anche da molto lontano per chiedere la grazia e che vanno in pellegrinaggio verso questo luogo sacro. Questo monastero fu, in passato, un importante luogo di culto e tra i suoi monaci, che raggiungevano, nei momenti di massimo splendore, anche le 4000 unità, veniva scelto il capo supremo dei religiosi etiopi.

Accanto alla chiesa, situato quasi a filo del dirupo si può ammirare il “Ponte Portoghese”, un ponte di pietra che si crede fosse stato rinforzato con una malta ricavata dall’impasto di sabbia e uova di ostriche.

MONTI DEL SEMIEN

Non c’è alcun dubbio che i Monti del Semièn, oggi Parco Nazionale, i più alti dell’acrocoro etiopico, sono giudicati a ragione tra le cime più belle d’Africa. Si stagliano tra l’altopiano e la valle del Taccazzè, con una altitudine tra i 2700 e i 4600mt, il Ras Dashan a 4.620 mt di altezza è tra i più alti del continente africano. Queste montagne di origine vulcanica, risalenti all’oligocene, vennero erose nel corso del tempo dal vento e dall’acqua dei fiumi che modellarono i tormentati panorami che si succedono nel contempo simili e diversi l’uno dall’altro, avendo come denominatore comune la fantasiosa spettacolarità. L’isolamento geografico di queste zone montagnose, paragonabili a delle vere e proprie isole vegetali, ha influenzato profondamente le caratteristiche evolutive della flora montana etiope, che risulta essere una delle più interessanti al mondo. Al pari della flora, anche la fauna presenta, grazie all’isolamento del territorio, un insieme di creature unico. Il Parco del Semien venne creato per proteggere la Capra ibex walie o stambecco dell’Abissinia, specie ora protetta essendo arrivata alla soglia dell’estinzione, (si stimano circa 500 animali) dovuta alla distruzione del loro habitat originario. La caratteristica peculiare della specie è il mantello marrone scuro sfumato sul bianco e un forte dimorfismo sessuale: la dimensione del maschio, che raggiunge un’altezza di 110 centimetri e un peso di 100 chili è quasi il doppio rispetto a quello della femmina che giunge a circa 50 chili, inoltre le corna del primo sono grandi e massicce mentre quelle delle seconde raggiungono raramente i 25 centimetri.

Altro mammifero endemico è il babbuino Gelada, detta anche “scimmia leone”, appartenente ad una specie anticamente molto diffusa in Africa che raggiungeva grandi dimensioni. È un primate vegetariano che vive anche in altre zone dell’altipiano, ha un manto peloso marrone sfumato sulle punte di beige. Entrambi i sessi hanno una caratteristica area priva di peli, di forma simile a un cuore, alla base del collo, che nelle femmine è contornata da delle protuberanze biancastre che durante il periodo mestruale aumentano di dimensioni e diventano rosse, dando proprio l’impressione di un cuore pulsante.

Il Parco del Semièn ospita anche il caberù o lupo etiope (Canis simensis), un canide indigeno dell’acrocoro etiopico. È simile al coyote in forma e grandezza, ma ne viene distinto dal suo cranio lungo e snello, e il suo manto rosso e bianco. La specie fu descritta scientificamente per la prima volta nel 1835 da Eduard Rüppell, che fornì un teschio per il British Museum. Oggi il lupo etiope è ritenuto l’unico e raro, lupo dell’Africa Sub-Sahariana. È fra i canidi più rari, e si tratta del carnivoro africano più a rischio d’estinzione perché, stando agli studi, sono poco più di 450 i lupi etiopi oggi esistenti, di cui oltre la metà (circa 300) sui Monti Bale, mentre il resto degli esemplari nel Parco del Simien. Al contrario della maggior parte dei canidi, che sono creature generaliste, il lupo etiope è un cacciatore altamente specializzato di roditori afroalpini con bisogni ambientali molto ristretti.

Nel parco sono inoltre presenti ben 50 specie di uccelli, tra le quali, merita una particolare attenzione, per la sua particolare abilità ad usare utensili, il capovaccaio (Neophron percnopterus). Si tratta di un piccolo avvoltoio che, per rompere le uova di cui si nutre, usa percuotere il guscio con una pietra che tiene ben serrata nel becco. Altro interessante comportamento è riscontabile nel gipeto (Gypaetus barbatus), un avvoltoio con un’apertura alare di tre metri. L’originalità di questa specie è dovuta alla sua particolare dieta: infatti si ciba esclusivamente di ossa. Per fare questo attende che le carogne degli animali morti vengano spolpate da altri predatori per poi cibarsi delle ossa piccole, mentre le più grosse vengono trasportate sopra le spianate rocciose dove le fa cadere affinché, con l’impatto, si frantumino in tanti piccoli pezzi facili da consumare.

Nel 1978 il Parco Nazionale Semièn è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. A causa di un drastico calo nella popolazione delle specie native della regione, nel 1996 è stato inserito nella lista dei Patrimoni mondiali in pericolo.

Le montagne del Semièn rimangono nel cuore per gli splendidi paesaggi africani, la vista di panorami superbi che aprono a precipizi e a cime che si elevano improvvise ed inaspettate da vallate profondissime. Il Semièn, che in amarico significa “il nord”, raccoglie in un insieme unico ed affascinante i più suggestivi paesaggi africani: i contrasti cromatici creati dalla delicata sfumatura del colore rosso della terra e il verde della vegetazione, sofferte guglie, pinnacoli, ambe, profonde erosioni dominate da impressionanti tavolati, suggestionano profondamente l’osservatore. Una natura immensa, carismatica e minacciosa, mai uguale a sé stessa, a tratti struggente, che durante la stagione delle piogge è avvolta da nebbie malinconiche ed arcobaleni commoventi, limitata a nord e a est dal fiume Taccazzè e a sud e a ovest dai suoi affluenti Balagas e Dequiquó, un legame stretto tra la terra e l’uomo, legato alla sopravvivenza, che qui non si è mai interrotto. Quasi a sottolineare la provvisorietà e la caducità della vita umana davanti all’immortalità della natura. Un isolamento così intenso da costringere a fare i conti con i propri limiti.

PARCO NAZIONALE DEL MAGO

Il Mago National Park si trova sulla riva orientale del fiume Omo. Si estende per circa 1.343 kmq ed il suo punto più alto è rappresentato dal Monte Mago. Il parco, istituito nel 1979, è il più recente Parco Nazionale dell’Etiopia ed è stato costituito per proteggere il gran numero di animali che si ritrovano in quest’area come bufali, giraffe ed elefanti. È formato principalmente da savana aperta e arbustiva con ampie zone forestali intono ai corsi d’acqua. Al suo interno si trovano molti animali, tra cui bufali, ghepardi, elefanti, giraffe, antilopi, leopardi, leoni e zebre. Anche l’avifauna è abbondante e comprende anche la rara Turdoides tenebrosa. Lungo il fiume, nella bassa Valle dell’Omo, vivono molte differenti tribù.

Questa zona, esplorata solo un centinaio d’anni fa da Vittorio Bottego è d’allora rimasta pressoché intatta e le popolazioni che la abitano vivono allo stato di natura e isolate dal mondo, conservando arcaiche tradizioni fuori dal tempo e lontane da ogni logica occidentale.

LE MONTAGNE DEL BALE

La zona delle “Bale Mountains” è formata da antiche rocce vulcaniche solcate da fiumi che hanno scavato profonde gole dando origine a cascate spettacolari, mentre la parte sud del parco è coperta da una vasta area di foresta di Podocarpus e degrada dolcemente fino ai confini del parco, ad un’altitudine di circa 1500 metri.

Il Parco del Bale venne creato per proteggere dall’estinzione il Nyala di montagna e copre un’area di circa 2200 Km2 di boschi, foreste, laghi, picchi vulcanici: è la zona afro-alpina più estesa dell’intero continente africano ed è l’habitat di una fauna particolarmente ricca che comprende rari esemplari quali il bushbuck di Menelik e il lupo etiopico (o cane del Symien) che, a causa del suo aspetto simile a quello di una volpe, ha tratto in inganno per moltissimo tempo anche gli zoologi. Una ricerca scientifica sul DNA di questo animale dimostrò però come questa specie abbia una stretta parentela con i lupi grigi giunti in Africa dall’Eurasia in remote ere preistoriche. In conseguenza di questa scoperta gli venne attribuito il nome di “Canis simensis”. Il lupo etiopico è il canide più raro del mondo. Presente solo sugli altopiani dell’Etiopia, è in via di estinzione, negli ultimi trent’anni questa specie si è ridotta drasticamente tanto che attualmente non dovrebbero essercene più di 400 esemplari in tutto il paese.

All’interno del parco transita la più elevata pista carrabile esistente in Africa, che corre oltre i 4000 metri di quota. Tra le alte vette che dominano il parco spicca il Tullu Deemtu che, con i suoi 4377 metri, è la cima più alta del Sud Etiopia e la seconda dell’intera Nazione.

SOF OMAR

Sof Omar, villaggio che prende il nome dallo sceicco Sof Omar, che si dice si sia rifugiato qui agli albori dell’Islam, ospita una delle grotte sotterranee più spettacolari ed ampie del mondo: la grotta di Sof Omar, uno straordinario fenomeno naturale di una bellezza mozzafiato.

Il fiume ha inoltre creato col suo tormentoso corrodere spiagge e insenature, alcune ricoperte da levigati ciottoli altre da soffice sabbia sulle quali ci si può distendere per contemplare le grandi stanze. Di queste la più impressionante è la cosiddetta “Camera delle Colonne”. È formata da un vastissimo corpo centrale intorno al quale corre una cornice di innumerevoli colonne che reggono una volta di pietra che si innalza oltre i 30 metri. In essa il Web si allarga nella quiete di un piccolo lago e le acque limpidissime creano alla luce delle torce visioni fiabesche. Le sublimi sculture delle grotte, scavate dalle acque sedimentose del fiume Web, sarebbero certamente custodite nelle gallerie d’arte più prestigiose del mondo, se non fossero saldamente ancorate al suolo. Il dedalo di caverne si dipana per circa 16 km tra le alture calcaree, ma è possibile esplorarne a piedi soltanto il primo tragitto, lungo circa 1km e mezzo. È una fortuna che nella parte esplorabile ci siano stupende formazioni rocciose note come la “Camera delle Colonne”, la “Cupola” e il “Balcone”. Con i loro soffitti a volta, i contrafforti sospesi, i pilastri imponenti e le arcate scanalate, questi capolavori naturali ricordano quasi una visione architettonica avveniristica, misteriosa e straordinaria. Il fiume Web infatti ha scavato, nel corso dei millenni, la roccia calcarea della montagna formando un meraviglioso mondo nascosto, una serie di grotte percorribili a piedi in cui rimanere ammaliati osservando archi, colonne, gallerie e passaggi, cupole perfette, logge e guglie, portici e spiazzi, che evocano allo sguardo attonito del visitatore una città incredibile.

GONDAR

Gondar risulta essere una delle città più interessanti d’Etiopia grazie all’incantevole posizione geografica, al clima mite tutto l’anno, all’antica tradizione culturale e al centro urbano ricco di pregevoli monumenti. La città di Gondar si trova in un bacino fra le colline, dove tra alti alberi di eucalipto s’intravedono case dai tetti di lamiera, sopra cui si stagliano ancora in piedi a sfidare i secoli le mura di castelli la cui origine affonda nel sangue e nei fasti regali. Spesso è chiamata la Camelot d’Africa, ma questa descrizione non rende giustizia alla città: Camelot è leggenda, Gondar è realtà.

È davvero particolare Gondar, fu sede degli Imperatori d’Etiopia nei sec. XVII-XVIII, e di quell’epoca conserva i segni del suo passato imperiale nel recinto dei castelli; questi severi edifici del XVII° secolo che costituirono una possente difesa contro i nemici musulmani. La città si trova in un bacino fra le colline, dove tra alti alberi di eucalipto s’intravedono case dai tetti di lamiera, sopra cui si stagliano ancora in piedi a sfidare i secoli le mura di castelli la cui origine affonda nel sangue e nei fasti regali. A renderla così affascinante non è tanto ciò che è oggi, ma ciò che Gondar è stata. Circondata da terre fertili e allo snodo di tre vie carovaniere, in una regione che era una fonte ricca di oro, zibetto, avorio e schiavi, fu scelta dal re Fasilidas (che regnò dal 1632al 1667) come capitale del suo regno. Tra il XIII e il XVII secolo, i governanti etiopici non erano soliti avere una città come capitale fissa, muovendosi continuamente attraverso i loro domini, preferivano vivere in lussuosi accampamenti temporanei. Re Fasilidas stabilì che Gondar fosse una capitale permanente nel 1636. Prima della sua decadenza alla fine del XVIII secolo, la corte reale aveva sviluppato un complesso fortificato chiamato Fasil Ghebbi, composto da sei grandi complessi edilizi e altri edifici accessori, circondato da un muro lungo 900 metri, con dodici ingressi e tre ponti. La città fortezza funzionò come il centro del governo etiope fino al 1864. Ha una ventina di palazzi, edifici reali, chiese riccamente decorate e monasteri. Alla fine del XVII secolo poteva vantare magnifici palazzi, rigogliosi giardini e vaste piantagioni: qui si tenevano sontuosi banchetti e intrattenimenti stravaganti che suscitavano la meraviglia dei visitatori da tutto il mondo, e il suo fiorente mercato richiamava mercanti mussulmani dall’intero paese. Alla morte di re Fasilidas la popolazione di Gondar superava già le 65.000 unità e la sua ricchezza e il suo splendore erano ormai leggendari. La città fiorì nel suo ruolo di capitale per oltre un secolo prima che le lotte intestine indebolissero gravemente il regno.

Gli edifici più famosi della città si trovano tutti nella Cittadella reale, risalente al XVII secolo: l’intero complesso, che copre un’area di circa 70 000 m², è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1979. Il monumento più importante e antico è il Castello di Fasilidas, posto nella parte meridionale del complesso: esso presenta un parapetto merlato, intervallato da quattro torri sormontate dalle caratteristiche cupole. La singolare struttura è frutto di un’insolita mescolanza di elementi locali con influssi moreschi, indiani e portoghesi.

Il Palazzo di Iyasu è situato a nord-est rispetto al castello di Fasilidas. Definito un tempo “più bello della casa di Salomone” per i sontuosi arredamenti, che presentavano sedie e specchi veneziani e pareti decorate con foglia d’oro e avori, venne pesantemente danneggiato da un terremoto nel 1704 e dai bombardamenti inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Alcune delle sue antiche chiese tra cui la chiesa di Debre Berhàn Selassiè, conservano alcuni tra i più bei murali, croci dalle forme più svariate e antichi codici miniati di tutta la regione. La Chiesa di Debre Berhan Selassiè, sopravvissuta al saccheggio dei dervisci sudanesi attorno al 1880, secondo la leggenda grazie all’intervento di un enorme sciame d’api, è una delle più belle chiese dell’Etiopia. Fu eretta, a pianta rettangolare ad allineamento tripartitico, nel XIX secolo su un’altura a nord-est della città per volere di Iyasu, nipote di Fasilidas. Ma è all’interno che la chiesa, il cui nome significa “Monte della Luce della Trinità”, mostra tutta la sua straordinaria bellezza: l’assito in legno del tetto è affrescato da varie file di volti di giovani cherubini dai grandi occhi mentre, nelle pareti perimetrali, compaiono varie scene che rappresentano la vita dei Santi, di Cristo e della Madonna. Gli affreschi parietali rappresentano un compendio dell’iconografia e della cultura religiosa etiope: particolarmente famose sono le scene in cui è rappresentato l’Inferno. La chiesa è frutto di una ricostruzione del XVIII secolo, sulle rovine di quella precedente, risalente a più di un secolo prima. L’edificio è circondato da mura intervallate da dodici torri (che simboleggiano gli apostoli), mentre una tredicesima, più imponente e posta all’entrata, simboleggia Cristo, rappresentato sotto forma di Leone di Giuda. Alcuni storici ritengono che Iyasu avesse l’intenzione di trasferirvi l’Arca dell’Alleanza da Axum.

Molto interessanti sono il palazzo dell’Imperatrice “Mentwab” e il monastero di “Qusquam”. In Gondar si possono ammirare una serie di castelli costruiti dal 1632 al 1885 dai vari imperatori che regnarono durante questo periodo. La singolare architettura di questi spettacolari castelli rivela chiare tradizioni axumite, nonché una notevole influenza araba. I massicci castelli di Gondar sono stati restaurati e costituiscono oggi la maggiore attrattiva della città, che gode anche della sua felice posizione nei pressi del lago Tana, dalle acque pescose. È la città di Gondar quella che conserva le tracce più evidenti del passato coloniale italiano in Etiopia.

LALIBELA

Roha, così veniva chiamata Lalibela, era l’antica capitale della dinastia Zagwe, e sorge a quota 2600 metri sul fianco dell’imponente Abuna Josef, un’amba che culmina a più di 4000 metri d’altezza. Rimasta isolata a causa del difficile accesso che ne ha mantenuto intatta l’originalità e la bellezza, Lalibela è sicuramente uno dei posti più belli e affascinanti dell’intero paese, non a torto definita quale l’ottava meraviglia del mondo.

“Mi viene difficile raccontare ciò che ho visto, perché certamente non sarò creduto …..” così, nel lontano 1521 e 1522 frate Francisco Alvarez iniziò, una volta rientrato in patria, il suo racconto che fu poi pubblicato nel 1540. Le chiese di Lalibela, separate dal fiume Giordano in due distinti gruppi, non furono costruite nel vero senso della parola, ma vennero scolpite nel tenero tufo colore rosso mattone. Le raffinate tecniche costruttive che resero possibile una così alta perfezione realizzativa si sono purtroppo perdute nel tempo. I sapienti architetti seguirono due differenti modelli architettonici: la chiesa ipogea veniva realizzata scolpendo la facciata su una parete verticale della montagna mentre quella monolitica veniva ricavata da un unico blocco di pietra preventivamente isolato con una trincea, in modo che solo il basamento restasse attaccato alla roccia madre.

Si possono ammirare ben undici chiese monolitiche. Costruite per iniziative dell’Imperatore Lalibela, sulla cui nascita la leggenda racconta cose uniche, sono sino ad oggi luoghi di preghiera e venerazione per tutto il paese. In ciò che resta delle cronache medioevali di questo Paese del Corno d’Africa, troviamo un’annotazione che riporta l’arrivo di oltre 500 operai, provenienti da Alessandria d’Egitto, alla corte di Lalibela, per costruire, o meglio scavare 11 chiese rupestri, i più grandi monumenti monolitici di tutta l’Africa. Gli architetti del cristianesimo copto costruirono la loro “Città Santa” fra i canyon e le montagne dell’Etiopia. Scolpirono e svuotarono montagne, traforarono colline, intagliarono tunnel e passaggi sotterranei, innalzarono una città invisibile e cattedrali di roccia che sorgevano direttamente dal macigno e le allacciarono ad un groviglio di gallerie. Separarono, come fosse una conchiglia, i versanti di una montagna e chiamarono Giordano il piccolo corso d’acqua che scorre nella valle. Tutte le chiese vennero lavorate sia all’esterno: porte, finestre e fregi, sia all’interno: sale, archi, colonne, secondo uno stile che mostra chiare influenze axumite. Diverse chiese hanno il tetto a livello del terreno e alcune sono affrescate. Quattro chiese sorgono direttamente dalla roccia, saldate alla montagna dal pavimento, massi immensi scolpiti e svuotati. Una chiesa, Bet Abba Libanos, è allacciata alla roccia solo dal soffitto, altre due sono fuse con le colline da una o più pareti. Una delle più belle è la chiesa di Beta Ghiorgis: isolata, invisibile, massiccia, dedicata al patrono dell’Etiopia e unica ad avere la pianta a forma di croce. Non ti accorgi della sua mole fino a quando arrivi alla trincea che la nasconde. È a pianta cruciforme e sprofonda per ben 13 metri sotto la superficie della montagna. Tre croci concentriche ne decorano il tetto. Beta Ghiorgis presenta al suo interno delle pregevoli decorazioni come le finestre ogivali con le mensoline rivolte all’interno e incorniciate in un elegante decoro arabesco in bassorilievo; il tetto è impreziosito da croci greche concentriche in rilievo, mentre la facciata presenta varie linee marcapiani che sembrano dividerla in tre piani distinti. Entrando nella chiesa di Beta Mikael, sulla parete sinistra si apre un passaggio che permette di accedere nella chiesa di Bete Golgotha, vietata alle donne e famosa perché conserva la tomba simbolica di Cristo e la tomba di re Lalibela, visitando la quale, si ottiene la certezza dell’ingresso in Paradiso. L’interno, diviso da pilastri cruciformi in due navate, mostra alcuni pregevoli esempi di antica architettura cristiana etiope, quali i bassorilievi e gli altorilievi raffiguranti i Santi e gli Angeli. L’ultima di queste meravigliose opere in pietra è Beta Abba Libanos dedicata appunto ad Abba Libanos uno dei santi più venerati d’Etiopia. Una leggenda narra che questa chiesa sia stata costruita, sempre con l’aiuto degli angeli, in una sola notte da Maska Kebra, la moglie di re Lalibela. La chiesa, dall’inconfondibile stile axumita, venne realizzata seguendo una tecnica diversa: la facciata principale, che guarda nell’ampio cortile, è stata ottenuta scolpendo la parete verticale della montagna, mentre una galleria semicircolare scavata intono al monolito la libera dalla roccia madre alla quale resta attaccata soltanto attraverso il tetto.

L’orientamento delle chiese, che per la maggior parte presentano l’entrata a ovest e il Santa Sanctorum a est, ha un preciso significato allegorico: il fedele proviene dalla porta occidentale, che rappresenta le tenebre e avanza dal buio dell’ignoranza verso la luce della conoscenza. Ogni chiesa vi farà rivivere tempi lontani, e potrete immergervi nelle epoche della Regina di Saba, che qui sembrano così prossime.

A differenza delle altre chiese di Lalibela, Yemeherenna Kristos è stata costruita e non scavata nella roccia. Considerato che Yemeherenna Kristos precede le altre chiese di 80 anni circa, ci si rende conto di trovarsi di fronte ad un progetto grandioso, veramente notevole. L’intera costruzione poggia su una base di pannelli in legno d’olivo accuratamente disposti, che la tengono sollevata dal terreno acquitrinoso sottostante. Gli intagli e le decorazioni sono di qualità eccezionale, soprattutto le finestre cruciformi e l’elaborato soffitto della navata. La chiesa è diventata famosa per la decorazione dei suoi interni: il tetto piatto mostra pannelli arricchiti da disegni geometrici, mentre la volta del soffitto è intarsiata e lavorata ad esagoni e medaglioni con figure e motivi geometrici. Nel soffitto a cupola del santuario si ammirano inoltre interessanti sculture e dipinti. Si dice che il fondatore della chiesa sia il re Yemerehanna Kristos, un predecessore del re Lalibela.

AXUM

Situata nell’altopiano del Tigrè, Axum, che fu la capitale dell’antico regno e la culla di una delle più interessanti civiltà africane, ebbe origine nel II secolo a.C. e raggiunse il suo massimo splendore intorno al III secolo d.C., quando la popolazione si convertì alla fede cristiano-copta. Anche dopo la decadenza politica essa continuò a rivestire un importante ruolo religioso, grazie alla fama della cattedrale di Santa Maria di Syon, costruita nel 1655 durante il regno di re Fasilidas sulle rovine della chiesa eretta nel IV secolo da re Ezana e distrutta dal cavaliere mussulmano Gragn. La chiesa, realizzata nello stesso stile dei palazzi reali di Gondar, presenta al suo interno pregevoli affreschi e – secondo la leggenda –in una cappella al suo interno è custodita l’Arca dell’Alleanza. L’ingresso alla cappella è severamente interdetto a chiunque, fatta eccezione per il monaco custode, che ha il compito di sorvegliare l’Arca fino alla morte e si dice che celi l’urna in cui sono conservate le due tavole di pietra consegnate da Dio a Mosè sul Monte Sinai.

Di grande interesse i Bagni e il Palazzo della Regina di Saba; il “Bagno” è un ampio bacino idrico artificiale tuttora funzionante, dall’atmosfera suggestiva e tranquilla che esercita un fascino straordinario. Dall’angolo opposto al bagno si erge, in cima ad una collina la necropoli del re Kaleb e del figlio Gebre Meskel. Questo complesso funerario, edificato con grosse pietre perfettamente tagliate, levigate e sormontate con estrema perizia, è formato da cunicoli e camere mortuarie. Si possono osservare le piccole figure di elefanti e croci che furono scolpite con gusto nella dura roccia di rivestimento.

Della gloriosa storia di Axum rimangono notevoli testimonianze archeologiche e monumentali tra le quali il così detto “Parco delle Steli”, il più vasto e importante d’Etiopia e ospita oltre 120 stele, sebbene in origine ce ne fossero molte di più: alcune sono state rimosse e altre potrebbero essere ancora sepolte. Distesa al suolo come un soldato caduto, la Grande Stele (33 m) è ritenuta il singolo blocco di pietra più grande che l’essere umano abbia mai tentato di erigere, e quanto a ideazione e ambizione supera di gran lunga anche gli obelischi egizi. L’imponente monumento, che fu dedicato forse a re Ramhai, vissuto nel III secolo d.C., cadde probabilmente mentre veniva innalzato e lì giace, tuttora spezzato in quattro parti. La stele più maestosa, che ancora oggi svetta di fronte all’entrata dell’area archeologica, venne ricavata da un unico monolito alto 23 metri, ed era, secondo la teoria più accreditata, il monumento funerario in ricordo del re Ezana, vissuto nel IV secolo d.C. Alcune steli sono lavorate con pregevoli disegni architettonici in modo da assomigliare a un edificio a più piani con portoni, finestre e marcapiani, altre invece venivano erette grezze o lavorate parzialmente. Malgrado la proverbiale durezza del granito, gli artisti di Axum riuscirono a plasmarlo in maniera superba.

HARAR

La mistica Harar, con le sue mura fortificate, i pittoreschi vicoli, le numerose moschee ed i mercati delle spezie, è la città più affascinante dell’Etiopia e del Corno d’Africa e dal 2004 è stata inserita nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità Unesco. Harar, la città proibita, è la quarta città santa più importante nel mondo musulmano e centro di tradizioni islamiche che racconta una Etiopia differente, un’enclave musulmana in un Paese prevalentemente ortodosso. Le cronache dei viaggiatori dell’Ottocento narravano di carovane di migliaia di cammelli che, cariche di merci, partivano dal porto di Berbera sulla costa somala per raggiungere il favoloso emporio di Harar, una città che si trova nella parte orientale dell’Etiopia, l’odierna regione dell’Harari. Si tratta della quarta città santa dell’Islam: vanta la presenza di 82 moschee tre delle quali risalenti al X secolo e di 102 luoghi sacri. È celebre per la produzione di caffè e per il fatto che il suo passato vede la presenza di antichi sultanati che avevano compreso la sua grande importanza commerciale. Anche il poeta francese Arthur Rimbaud si lasciò contagiare degli incanti di questo luogo e visse ad Harar commerciando in sete, cotonine, caffè, gomma, profumi, armi, oro e avorio.  L’abitazione di Ras Makonnen, divenuto governatore della città quando Menelik II la strappò definitivamente al protettorato egiziano, è una delle più belle case di Harar, restaurata grazie all’intervento di un’associazione francese, che ospita oggi un museo dedicato al poeta Arthur Rimbaud

La principale attrazione è la città stessa, quella dentro le mura, che sono alte 5 metri e che contano 6 porte che ne permettono l’accesso. Anche le case di Harar sono un’attrazione visto l’arredamento caratteristico. La parte vecchia ricorda le città marocchine, con le piccole viuzze che sembrano dei labirinti. Le attrazioni da non perdere sono il mercato Gidir Market dove si può trovare il famoso caffè locale, la tomba dell’emiro Nur, la moschea al Jami, la tomba dello sceicco Abadir, a cui si deve l’introduzione dell’islamismo nella città: la sua tomba è anche il luogo sostitutivo per coloro che non possono recarsi alla Mecca. Ci sono anche la tomba dello sceicco Said Ali Hamdogn e la casa di Rimbaud, oggi adibita a museo.

CUSTODI DELLE IENE

Appena fuori dalla cinta di Harar alcuni uomini, chiamati “custodi delle iene”, danno da mangiare pezzi di carne agli animali con le loro stesse mani in un rituale che è diventato un’attrazione turistica. Questa usanza deriva da un’antica leggenda che si riferisce alle iene, considerate animali benefici da molte etnie etiopi. Un uomo, infatti, è destinato ad essere il custode delle iene ed ogni sera prepara loro un pasto che, una volta all’anno, diventa anche oggetto di una grande festa rituale che risale al periodo di carestia del XIX secolo quando gli abitanti preferivano nutrirle di persona per evitare il rischio che mangiassero il loro bestiame. A questo si aggiunge anche un altro significato. Sempre in occasione della festività annuale le iene vengono nutrite con del porridge perché la credenza dice che, a seconda della quantità mangiata, si può scoprire come sarà il raccolto e l’economia nell’anno a venire.

MACALLÈ

La capitale della Regione di Tigray, Macallè, venne fondata come sua città capitale dall’Imperatore Giovanni IV d’Etiopia nel XIX secolo, che diede incarico a Giacomo Naretti di edificare il palazzo reale. Da allora la città è cresciuta fino a diventare uno dei principali centri economici dell’Etiopia con un grande e moderno aeroporto. Interessanti i due castelli che sorgono sulle alture dominanti la città. Il primo di questi, eretto nel 1872 dall’imperatore Yohannes IV, si eleva sulla collina che domina a nord la piazza del mercato; è sede del museo locale, che espone arredi e mobili appartenuti all’imperatore. Un lungo viale ombreggiato da palme collega la piazza con l’altro castello, edificato alla fine dell’ottocento e ora trasformato in albergo.

DEBRE DAMO

Vanta quella che probabilmente è la chiesa più antica tuttora esistente nel paese (del X o XI secolo d.C.) e forse dell’intera Africa; è anche uno splendido esempio di architettura in stile axumita.

Secondo la leggenda, Abuna Aregawi, uno dei Nove Santi che arrivò qui dalla Siria nel VI secolo, girovagando ai piedi della collina ritenne la piana di terra che si trovava sopra di lui il posto adatto per vivere da eremita. Dio, per esaudire il suo desiderio, ordinò a un serpente che viveva in cima al monte, di scivolare lungo le pendici e portare su il santo, che fece di Debre Damo la sua dimora. La montagna, a causa della sua effettiva inaccessibilità, più tardi fu trasformata in luogo di detenzione per i maschi della dinastia reale axumita, per impedirgli di cospirare contro il sovrano regnante. In seguito, durante le guerre di Ahmed Gragn, l’Imperatore Lebna Dengel e la sua consorte, la Regina Seble Wengel, allora in fuga, cercarono rifugio a Debre Damo, dove lo sventurato monarca morì nel 1540.

Dal monastero si gode la vista dello splendido paesaggio circostante che dona pace e isolamento ai circa 100 monaci e diaconi che vivono lassù.

WUKRO CHERKOS

Wukro Cherkos è scolpita su una collina rocciosa a pochi metri dalla strada principale che porta a Nord e raggiunge il centro della piccola città di Wukro, sempre molto trafficata. Come le chiese di Michael-Amba e Abreha We Atsbeha, il santuario di Wukro è completamente staccato dalla rupe su tre lati; solo la sezione orientale rimane attaccata al cuore del massiccio roccioso. Wukro Cherkos, attraverso l’altezza delle sue tre navate e le proporzioni dei suoi solidi pilastri scavati direttamente nella roccia, ha il potere estetico caratteristico delle chiese più grandi. È decorata da una serie di disegni essenzialmente geometrici, in cui la croce ha il ruolo principale, scavati nella roccia e sottolineati dal contrasto tra il bianco della decorazione e la base color ocra. Nei capitelli dei pilastri centrali vi è una curiosa decorazione a intaglio formata da tre nastri che probabilmente rappresenta qualcosa di più di un semplice motivo decorativo. Si dice che questo potrebbe essere l’emblema di qualche dinastia post-axumita.

CHIESE RUPESTRI DEL TIGRAY

I paesaggi del Tigray settentrionale sono fiabeschi: la luce brillante inonda la sabbia di una desolata terra semidesertica da cui si elevano mille aghi di roccia, che toccano quasi il cielo terso e in questo paesaggio così insolito c’è molto di più di quanto riesca a cogliere l’occhio. In cima a tali guglie di roccia, nelle posizioni più impossibili da raggiungere vi è una collezione nascosta di meraviglie e di gioielli religiosi sotto forma di antichi monasteri che vantano pittoresche storie di magia e mostri sacri. La loro epoca di origine rimane tuttora sconosciuta: secondo alcuni accreditati studiosi esse vennero realizzate in tempi antecedenti l’introduzione del cristianesimo e solo in seguito convertite in chiese; altre interpretazioni ipotizzano invece che la loro origine sia concomitante con quella delle chiese ipogee scolpite a Lalibela. Anche nel Tigray la struttura della chiesa è varia: esistono infatti chiese monolitiche, ipogee e quelle ricavate da grotte naturali, alle quali è stato in seguito aggiunto un fabbricato che funge da entrata.

Estremamente interessanti le chiese di Daniel Korkor e Maryam Korkor, caratterizzata da 12 colonne, 7 archi e svariati pregevoli dipinti del XII secolo. Un sentiero a sud conduce, invece, in circa un’ora di cammino alla chiesa di Abuna Yemata, scavata sulla liscia parete verticale della montagna e che richiede una forma fisica eccellente perché situata sopra un ripido pendio, tra paesaggi mozzafiato e rupi a strapiombo. Tra quelle più facilmente raggiungibili, estremamente interessanti sono le chiese di Wukro Cherkos, Abreha We Atsbeha e Degum Selassie. Wukro Cherkos, dedicata a San Ciriaco, si trova su una bassa collina ricavata all’interno di una grotta, forse nel VII secolo, è attaccata alla roccia madre da un lato e presenta al suo interno ben tre maqdas e un soffitto affrescato probabilmente nel XV secolo.

A circa 15 chilometri da Wukro Cherkos, la pregevole chiesa di Abreha-We-Atsebeha sorge su uno spuntone di roccia ed è realizzata all’interno di una caverna naturale nascosta alla vista dalla bianca facciata costruita in muratura durante l’occupazione italiana. Una particolare luce soffusa illumina gli straordinari dipinti che impreziosiscono le pareti e crea in chi li osserva una sensazione di affascinata meraviglia. Questi dipinti, realizzati su tela nel XIX secolo, rappresentano la Trinità e varie scene relative al Nuovo Testamento. Nella chiesa vengono inoltre conservate come importanti reliquie il letto di Ezana, il re axumita convertito al cristianesimo, e il crocifisso di Frumenzio, l’evangelizzatore arrivato dalla Siria. All’interno del santuario, nel lato sud sono custoditi, a detta dei monaci, anche i resti dei due mitici re Abreha e Atsebeha.

Micael Imba è, tra tutte le chiese rupestri del Tigray, la più somigliante alle chiese di Lalibela. Per tre quarti monolitica, ha un interno enorme e conta 25 colonne a sostegno del soffitto alto 6 metri. La vista che si gode da questa chiesa è spettacolare. Debre Selam Atsbi è una “chiesa dentro la chiesa”, con un’architettura eccezionale: ha un cuore scolpito nella roccia e strutture interne costruite nello stile architettonico axumita antico, che alternano strati di roccia e legno. Un bellissimo arco intagliato conduce alle manda. La chiesa sorge in una posizione incantevole da cui si godono belle vedute panoramiche.

AWASSA E LAGO ZWAY

Il lago Zway è uno dei laghi della Rift Valley dell’Etiopia. Le sue acque sono relativamente dolci e pochissimo profonde. Questo lago è diviso da due brevi cordoni di terreno dal lago Sciala. Il lago si trova circa 100 km a sud di Addis Abeba, al confine tra le regioni di Oromia e delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud; i woreda che si affacciano sul lago sono Adami Tullu e Jido Kombolcha, Dugda Bora e Ziway Dugda. La città di Zway si trova sulla riva occidentale del lago. Il lago è alimentato principalmente da due fiumi, il Meki da ovest e il Qatar da est, e ha come emissario il Bulbar che arriva nel lago Abijatta. Il bacino del lago ha una superficie di 7025 chilometri quadrati. Il lago è lungo 31 chilometri e largo 20 km, con una superficie di 440 chilometri quadrati. Ha una profondità massima di 9 metri ed è ad un’altitudine di 1.636 metri. Il lago Zway è lungo 25 chilometri e largo 20 km, con una superficie di 434 chilometri quadrati. Ha una profondità massima di 4 metri ed è ad un’altezza di 1.846 metri. Contiene cinque isole, tra cui Debre Sina, Galila, Bird Island e Tulu Gudo, che ospita un monastero che si dice abbia ospitato l’Arca dell’Alleanza intorno al IX secolo. Il lago è conosciuto per la sua popolazione di uccelli e ippopotami. Nel lago Zway è praticata la pesca; secondo il ministero etiopico della pesca e dell’acquacoltura, ogni anno vengono sbarcate 2454 tonnellate di pesci, che il dipartimento stima è dell’83% del suo importo sostenibile. Lungo le rive e sulle isole del lago Zway abita l’etnia Zay. La tradizione afferma che quando il musulmano Aḥmad Ibrāhīm conquistò l’Etiopia, i cristiani della zona si rifugiarono sulle sue isole. Più tardi furono isolati dal resto dell’Etiopia dal popolo Oromo, che si stabilì attorno al lago. All’epoca in cui Menelik II conquistò le terre attorno al lago, gli abitanti dei laghi furono “riscoperti” e risultò che avevano conservato sia la loro fede cristiana che un certo numero di manoscritti antichi.

Awassa è la capitale della regione etiopica della Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud. È sede di uno dei più importanti mercati del pesce in Etiopia; la caratteristica del mercato è che il pesce viene pulito subito appena pescato dalle abili mani e denti dei ragazzi che vi lavorano.

PARCO NAZIONALE DEL MAGO

Il Mago National Park si trova sulla riva orientale del fiume Omo. Si estende per circa 1.343 kmq ed il suo punto più alto è rappresentato dal Monte Mago. Il parco, istituito nel 1979, è il più recente Parco Nazionale dell’Etiopia ed è stato costituito per proteggere il gran numero di animali che si ritrovano in quest’area come bufali, giraffe ed elefanti. È formato principalmente da savana aperta e arbustiva con ampie zone forestali intono ai corsi d’acqua. Al suo interno si trovano molti animali, tra cui bufali, ghepardi, elefanti, giraffe, antilopi, leopardi, leoni e zebre. Anche l’avifauna è abbondante e comprende anche la rara Turdoides tenebrosa. Lungo il fiume, nella bassa Valle dell’Omo, vivono molte differenti tribù.

Questa zona, esplorata solo un centinaio d’anni fa da Vittorio Bottego è d’allora rimasta pressoché intatta e le popolazioni che la abitano vivono allo stato di natura e isolate dal mondo, conservando arcaiche tradizioni fuori dal tempo e lontane da ogni logica occidentale.

LA DANZA IN ETIOPIA

La danza ha un ruolo estremamente importante nella vita degli etiopi e quasi ogni gruppo etnico ne ha una propria. La danza assolve a una serie di funzioni significative dal punto di vista sociale, in quanto elemento essenziale di celebrazioni delle festività religiose o di eventi sociali quali matrimoni e funerali; anticamente serviva anche a incitare i guerrieri alla battaglia. Nelle aree rurali è ancora possibile assistere a danze di ringraziamento per la natura, ad esempio per un buon raccolto o la scoperta di nuove fonti d’acqua ed anche per consentire ai giovani guerrieri di fare sfoggio della propria agilità ed abilità nella danza. Sebbene il paese vanti innumerevoli tipi di danze, il ballo più popolare e l’iskita, si basa interamente su morbidi ma scattanti sussulti delle spalle, alzandole, e abbassandole, spostandole in avanti e indietro rispettando un preciso ritmo. Osservare una o più danzatrici è un’esperienza unica. È un mezzo di comunicazione, allegro e sensuale. Inizia piano piano con movenze che assumono velocità, sinuosità e scaltrezza. Si resta, non solo affascinati dalle danzatrici e dai danzatori, ma esterrefatti, attoniti.

Impossibile riuscire ad imitarli. Impossibile non ammirarli.

DEPRESSIONE DANCALA

La depressione della Dancalia è una giunzione tripla, cioè punto di incontro di tre placche tettoniche in continua espansione, che hanno formato il mar Rosso e il golfo di Aden, e che nel triangolo di Afar emergono in superficie. L’unico altro punto dove una dorsale oceanica può essere studiata in superficie è in Islanda. La piana di Afar si sta lentamente allargando ad una velocità di 1–2 cm l’anno. Il terreno è composto principalmente di lava basaltica. Uno dei vulcani più attivi del mondo, l‘Erta Ale, si trova in questa zona. Al di sotto della superficie è presente una cosiddetta piuma del mantello terrestre (mantle plume), una grande riserva di lava che risalendo in superficie produce basalto. Quasi certamente il triangolo degli Afar è il posto più spettacolare che esista. La nuova crosta terrestre arriva fino alla superficie e i ricercatori possono toccare con mano ciò che altrove è coperto da chilometri di terra o acqua di mare. Il triangolo degli Afar infatti dà un’opportunità unica di osservare come si spacca un intero continente e come nasce un nuovo fondale oceanico. Questa terra si è formata milioni di anni dopo la separazione dell’Arabia dall’Africa, dando vita a un gioco di forze così complicato che gli scienziati di tre generazioni non sono ancora riusciti a chiarire. Movimenti e stiramenti hanno aperto lo spazio per la risalita del magma, che a sua volta ha dato vita a un labirinto di scogliere, crepacci, pendii e crateri. Il punto di partenza per gli studi sull’area sono i vulcani che segnano i suoi margini: grandiose fontane di fuoco, funghi di fumo, fiumi di lava. E un lago incandescente, che splende in fondo a un pozzo nero: l’Erta Ale.

VULCANO ERTA ALE

Un lago incandescente, che splende in fondo a un pozzo nero: l’Erta Ale. Si tratta di uno dei pochi esempi al mondo di lago di lava. Venendo alla superficie la lava si solidifica e forma delle zolle che vengono spostate in direzioni divergenti dal flusso di nuova lava che risale facendo sì che le “faglie” allargandosi formano delle “fontane” di lava. Si lasciano i fuoristrada alla base dell’Erta Ale, e si sale a piedi sino alla sommità, ci saranno a disposizione alcuni cammelli per il trasporto del materiale che ci seguiranno fino alla sommità. La salita sul vulcano ci permetterà di assistere ad uno spettacolo indimenticabile: il magma ruggisce, esplode, risucchiale rocce, è un mare incandescente di pietra liquida e nera, misterioso ed ipnotizzante. Scenari lunari ed unici.

DALLOL

Dallol, il “luogo degli spiriti” un’inconsueta e irreale collina alta una cinquantina di metri, un iceberg vulcanico cresciuto sulla crosta salina della depressione dancala. Qui i geyser sono in perpetua attività e scolpiscono incredibili sculture: il paesaggio si trasforma creando forme e disegni dai colori irreali tra le esalazioni dei piccoli coni vulcanici che danno al panorama un aspetto magico e raro. Il suo aspetto primordiale è dovuto all’intensa attività geologica ancora in atto e i termini “apocalittico”, “irreale” e infernale sono tra i più adatti a descrivere questo ambiente estremo formato da gas, vapore acqueo e sali minerali gialli che creano concrezioni solforose che assumono sfumature di un verde intenso man mano che l’acqua evapora. Attorno alla collina continua lo spettacolo di questa magia vulcanica: a sud di Dallol da una roccia di sale pietrificato esce acqua a temperature altissime che si trasforma in rigagnolo alimentando un lago circolare di acqua ribollente. Grandi colonne di pietra salina si stagliano ad occidente di Dallol e segnano il confine di questa “isola” incredibile: sono le famose “Porte della Dancalia” così nominate da L. Nesbitt, primo esploratore ad attraversare la Dancalia.

AFAR: UN POPOLO MITO DEL CORNO D’AFRICA

Il popolo degli Afar vive a nord dell’Etiopia nella grande depressione dancala. Gli Afar sono un popolo fiero, interessante ed indipendente, per nulla sottomesso alle regole dell’autorità centrale. Quindi in tutta la Dancalia è d’obbligo chiedere l’autorizzazione prima di scattare una foto ad un membro di questa etnia, pena grosse ed onerose complicazioni. Orgogliosi ed alteri, arrivano in tenuta tradizionale ai mercati settimanali con cammelli, capre e sale da vendere per procurarsi le cose di prima necessità, gli occhi profondi e vivissimi a sorvegliare le donne che si occupano delle transazioni. La bellezza delle donne Afar è leggendaria, stupende e affascinanti, indossano veli trasparenti e colorati e presentano sul viso le tipiche incisioni nel viso. Si sa poco di questa tribù semi-nomade e delle sue origini. Secondo alcuni, gli Afar sarebbero i discendenti di Arabi mescolatisi con una razza caucasica ed emigrati in Africa dalla Penisola Arabica. Altri attribuiscono loro un’origine Egizia. Popolo di pastori nomadi che abitano quello che viene definito “triangolo Afar” e che comprende tre stati: Etiopia, Eritrea e Gibuti, parlano una lingua di derivazione cuscitica.  Legati indissolubilmente al loro bestiame, gli Afar sono costretti a continue transumanze. Le abitazioni tradizionale sono a semisfera, realizzate con tralci e rami intrecciati ricoperti di stuoie. Sono case che possono essere facilmente smontate, trasportate a dorso di dromedario, e ricostruite velocemente per ricostruire il “burra”, l’accampamento. Quando le greggi necessitano di nuovi pascoli, caricano i loro averi sui dromedari e si mettono in cammino, lo sguardo fisso in avanti. Pur essendo musulmani Sunniti, convertiti nel X secolo sotto la pressione dei mercanti arabi, si sentono soprattutto Afar. Sono una società patriarcale ed in base al padre deriva il lignaggio, clan e tribù.  Tatuaggi e scarificazioni sono identificative dei clan di appartenenza. L’appartenenza ad un lignaggio è determinante nella vita degli Afar, questa infatti impone obblighi ma nello stesso tempo offre un sicuro sostegno in caso di bisogno. La vita sociale è regolata da un codice tradizionale non scritto, regolamentato da una commissione alla quale partecipano gli uomini adulti appartenenti a diversi clan alleati fra loro.

ASAYTA

Asayta viene raggiunta ogni martedì, giorno di mercato, da moltissimi nomadi che, per vendere e comperare, sono disposti a percorrere, in condizioni spesso proibitive, decine e decine di chilometri. Il mercato, che è forse il più grande bazar all’aperto della Dancalia, si sviluppa nella piazza principale e in alcune vie adiacenti. Tra il caos che imperversa ovunque si vende e si compera di tutto, dal chat al sale, dai tessuti stampati multicolori, alle stuoie per rivestire le capanne fino ai cesti di ogni forma, colore e misura. Per le donne, il mercato è l’occasione unica per esibire gli splendidi abiti dai vivaci colori e i vari ornamenti di rame, ferro e perline colorate.

Il territorio poco esplorato ed i laghi salati che circondano Asayta sono una sorta di Santo Graal per chi ama l’avventura: il paesaggio ha caratteristiche quasi dantesche ed è di una bellezza desolata e surreale.

I piccoli laghi in questa zona sono solo un ricordo dell’immenso lago che, milioni di anni fa, coprì la Dancalia a seguito dell’esondazione del mar Rosso, provocata dalla spaccatura della crosta terrestre che diede origine alla Rift Valley. Con il lento ritiro delle acque, questo mare interno lasciò dietro di sé lo sterile territorio di oggi e, appunto, i piccoli laghi salati.

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