Il quinto livello per un tour personalizzato di lusso in Botswana.
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Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% dalla prenotazione a 5 giorni prima della partenza;
100% dal 5° giorno alla data di partenza, rimborsabile con voucher di pari importo valido 12 mesi.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
10% fino a 15 giorni prima della partenza;
Nessun rimborso sarà dovuto oltre tale termine.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
10% fino a 15 giorni prima della partenza;
Nessun rimborso sarà dovuto oltre tale termine.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
10% fino a 15 giorni prima della partenza;
Nessun rimborso sarà dovuto oltre tale termine.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
10% fino a 15 giorni prima della partenza;
Nessun rimborso sarà dovuto oltre tale termine.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% fino a 17 giorni prima della partenza;
10% dal 16° giorno alla data di partenza.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% fino a 26 giorni prima della partenza;
50% da 14 a 6 giorni prima della partenza;
100% dal 4° giorno alla data di partenza.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
25% dopo la prenotazione;
35% da 45 a 30 giorni prima della partenza;
60% da 29 a 10 giorni prima della partenza;
100% dal 9° giorno alla data di partenza.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% dalla prenotazione a 2 giorni prima della partenza;
100% dal 2° giorno alla data di partenza, rimborsabile con voucher di pari importo valido 12 mesi.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% dalla prenotazione a 2 giorni prima della partenza;
100% dal 2° giorno alla data di partenza, rimborsabile con voucher di pari importo valido 12 mesi.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% dalla prenotazione a 2 giorni prima della partenza;
100% dal 2° giorno alla data di partenza, rimborsabile con voucher di pari importo valido 12 mesi.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% dalla prenotazione a 2 giorni prima della partenza;
100% dal 2° giorno alla data di partenza, rimborsabile con voucher di pari importo valido 12 mesi.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
10% fino a 15 giorni prima della partenza;
Nessun rimborso sarà dovuto oltre tale termine.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% fino a 30 giorni prima della partenza;
75% da 29 a 10 giorni prima della partenza;
100% dal 9° giorno alla data di partenza.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Le “Norme e condizioni particolari” che modificano le “Condizioni generali di compravendita di pacchetto turistico” , sono a loro volta modificate nella parte che regola le rinunce al viaggio , previste dall’art 5 come segue:
5) RINUNCE
Gli iscritti che rinunciano al viaggio, a causa di eventi causati dal Covid 19, avranno diritto al rimborso della somma versata, previa deduzione dell’importo dei servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” ” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione), nonché delle seguenti penalità da applicarsi alla quota di partecipazione:
0% dalla prenotazione a 2 giorni prima della partenza;
100% dal 2° giorno alla data di partenza, rimborsabile con voucher di pari importo valido 12 mesi.
Nessun rimborso sarà accordato a chi non si presenterà alla partenza o rinuncerà durante lo svolgimento del viaggio stesso. Così pure nessun rimborso spetterà a chi non potesse effettuare il viaggio per mancanza o inesattezza dei previsti documenti personali di espatrio (visti e vaccinazioni obbligatorie comprese). Il cliente rinunciatario potrà farsi sostituire da altra persona, sempre che la comunicazione pervenga alla società organizzatrice in tempo utile per le modifiche, sempre che non ostino ragioni di passaporto, visti, vaccinazioni o problemi di diversa sistemazione alberghiera. In caso di possibilità di sostituzione al cliente rinunciatario verranno addebitati i soli diritti di prenotazione, oltre alle maggiori spese da sostenersi per informare i vari fornitori dell’avvenuto cambiamento.
Gli iscritti che rinunciano al viaggio per causa di forza maggiore, cioè una restrizione ufficiale alla partenza da parte delle autorità italiane o di ingresso da parte delle autorità del paese di destinazione, chiusura degli aeroporti, chiusura delle strutture alberghiere, valuteranno con noi le possibili alternative e modifiche. Se non trovano quella di loro interesse, rimborseremo quanto pagato senza nessuna penale.
NB:
1. Sono sempre esclusi dalla cancellazione “senza penale”, tutti i servizi che sono trattati con policy “non-rimborsabile” e/o “non modificabile” e/o che sono stati forniti su richiesta esplicita del cliente (ad esempio: biglietti aerei emessi con queste condizioni, tariffe alberghiere o servizi in promozione).
2. Qualsiasi tipo di obbligo sanitario da adempiere da parte del Cliente entro le 48 ore dal rientro del viaggio non rappresenta norma restrittiva per cui richiedere il rimborso totale della pratica.
Moremi Game Reserve
La riserva di Moremi è una delle più popolari e frequentate del Botswana. Creata nel 1963 per proteggere l’incredibile patrimonio faunistico del Delta dalla caccia indiscriminata, la riserva porta il nome del capo Ba Tawana, Moremi III. Con i suoi 4871 km2 di superficie, riscopre circa il 30% del territorio del Delta dell’Okavango, nel quale costituisce l’unica area destinata alla tutela della fauna e dell’ecosistema. Collocata nella zona nord-orientale, la riserva di Moremi presenta il tipico ambiente del Delta, con un territorio che alterna paludi sconfinate, attraversate da canali di acqua dolce, a isole di savana mista a distese erbose.
Circa l’80% del territorio è però coperto da foresta di mopane. Nella zona centrale del Moremi, nel cuore del delta, si trova la più grande di queste “isole”, Chief Island, raggiungibile solo con le imbarcazioni. Grazie alla combinazione di acqua permanente, alluvioni stagionali, praterie, foreste fluviali, boschi, questo habitat incredibilmente ricco supporta una varietà e abbondanza di mammiferi e uccelli che non ha eguali nel nord del Botswana.
La Riserva Faunistica di Moremi è circondata da aree naturali del Okavango, senza confini tra le concessioni e la riserva della fauna selvatica che consente di spostarsi tra i boschi nella stagione umida quando l’acqua è abbondante e oltre a fiumi permanenti e lagune nella stagione secca. Gli abitanti originari della zona (i Boscimani River) sono stati spostati alla periferia della riserva, costruendo il villaggio Khwai vicino all’uscita della Porta Nord del parco. L’area Khwai è gestita dalla comunità attraverso il Fondo Fiduciario per lo sviluppo del Khwai.
STONE TOWN
Situata su un promontorio che sporge dal lato occidentale dell’isola, la Stone Town è un eccezionale esempio di città commerciale swahili. Questo tipo di città si sviluppò sulla costa orientale dell’Africa, ulteriormente espansa sotto influenze arabe, indiane ed europee, ma ha mantenuto nel tempo i suoi tratti originari ed oggi ci appare come un esempio urbanistico unico nel suo genere, tanto da essere annoverato tra i siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. La città mantiene perciò il suo tessuto urbano e il paesaggio praticamente intatti e racchiude molti edifici di pregio che riflettono la sua peculiarità culturale, che ha riunito e omogeneizzato elementi disparati delle culture di Africa, regione araba, India ed Europa in più di un millennio.
Gli edifici principali risalgono al 18° e 19° secolo e includono monumenti come: il vecchio forte, costruito sul sito di una precedente chiesa portoghese; la casa delle meraviglie, un grande palazzo cerimoniale costruito da Sultan Barghash; il Vecchio Dispensario; la cattedrale cattolica romana di San Giuseppe; la Cattedrale di Cristo, che commemora il lavoro di David Livingston nell’abolizione della tratta degli schiavi e costruito sul sito dell’ultimo mercato degli schiavi; la residenza del commerciante di schiavi Tippu Tip; la Moschea Malindi Bamnara; il cimitero reale; Hamamni e altri bagni persiani. Insieme al groviglio di strade strette e tortuose, grandi palazzi che si affacciano sul lungomare e spazi aperti, questi edifici storici formano un eccezionale insediamento urbano che riflette l’attività commerciale di lunga data tra le coste africane e asiatiche. Inoltre, Stone Town è riconosciuta anche come il luogo in cui la tratta degli schiavi è stata definitivamente interrotta.
NUNGWI
Nungwi è un grande centro abitato, situato sulla punta più settentrionale dell’isola di Zanzibar. Un tempo noto come centro di costruzione dei sambuchi, è oggi una delle principali destinazioni turistiche dell’isola, grazie alle bellissime spiagge e ai tramonti mozzafiato. Il risultato: un luogo in cui tradizione e modernità creano un affascinante mix. Questa meravigliosa location è famosa anche per le immersioni e per la possibilità di nuotare anche durante la bassa marea. Nungwi offre attività di ogni tipo, come il santuario delle tartarughe, dove vengono portati questi animali liberati dalle reti da pesca, in attesa di guarire e poter tornare in mare aperto.
FORESTA DI JOZANI
La foresta di Jozani è la più grande area forestale presente sull’isola di Zanzibar. Situata a sud della baia di Chwaka su un terreno pianeggiante, la zona è soggetta a inondazioni, che alimentano un lussureggiante ambiente paludoso di alberi e felci. L’intera area è protetta come Parco Nazionale Jozani-Chwaka, ed è notoriamente la dimora di popolazioni di scimmie còlobo rosse di Zanzibar (una specie in via di estinzione che si trova solo a Zanzibar), nonché di altre specie di scimmie e più di 40 specie di uccelli.
CHANGUU ISLAND
L’isola di Changuu, conosciuta anche come “Prison Island”, l’Isola della Prigione, si trova a circa 30 minuti di barca da Stone Town. L’isola era in passato di proprietà di un arabo e aveva lo scopo di confinamento per gli schiavi refrattari, ma nessun prigioniero ha mai veramente soggiornato qui, mentre l’isola divenne una stazione di quarantena per le epidemie di febbre gialla. Fu acquistato dal generale Lloyd Mathews e la prigione, ancora in piedi, fu costruita nel 1893 e da qui il nome. Nel 1919 il governatore britannico delle Seychelles mandò a Changuu un dono consistente in quattro tartarughe giganti di Aldabra. Attualmente questa specie è considerata a rischio e a tale scopo sull’isola è presente un’associazione che si occupa del benessere delle tartarughe. l peso medio di queste creature è di 200 kg e si dice che molte abbiano più di 150 anni. Ci sarà la possibilità di toccare le tartarughe e scattare foto. L’isola ospita anche una colonia di bellissimi pavoni.
ZANZIBAR
Zanzibar è un’area semi-autonoma della Tanzania. È composto dall’arcipelago di Zanzibar nell’Oceano Indiano, a 25-50 chilometri (16–31 miglia) al largo della costa, ed è composto da molte isolette e da due grandi isole: Unguja (l’isola principale, definita informalmente come Zanzibar) e Pemba.
Conosciuta come “Spice Island”, ovvero l’isola delle spezie, la bellissima Zanzibar è un crogiolo di cultura e storia, apparentemente in contrasto con la sua idilliaca conformazione di spiagge di sabbia bianca con palme che ondeggiano pigramente nella brezza marina. Questo mix rende Zanzibar un luogo favoloso da esplorare e allo stesso tempo un’oasi da sogno per rilassarsi. La costa di Zanzibar offre alcune delle migliori spiagge del mondo: le onde si infrangono sulle barriere coralline e le distese di sabbia al largo e la bassa marea rivela piccole pozze di stelle marine, piccoli pesciolini e anemoni.
CRATERE DI NGOROGORO
Il Parco nazionale del Serengeti è una delle più importanti aree naturali protette in Africa, costituisce territorio ininterrotto con l’Area di Conservazione di Ngorongoro e come quest’ultima è stato inserito all’interno dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.
Nelle vaste pianure del Parco Nazionale del Serengeti, che si estende per 1,5 milioni di ettari di savana, la migrazione annuale di due milioni di gnu più centinaia di migliaia di gazzelle e zebre – seguite dai loro predatori nella loro migrazione annuale alla ricerca di pascoli e acqua – è una delle gli spettacoli naturalistici più impressionanti al mondo. La diversità biologica del parco è molto elevata, con almeno quattro specie animali a rischio di estinzione: rinoceronte nero, elefante, licaone e ghepardo.
Lo spettacolare fenomeno dei flussi migratori si svolge in una cornice scenica unica di “infinite pianure”: 25.000 chilometri quadrati di distese di praterie prive di alberi, punteggiate da affioramenti rocciosi, intervallate da fiumi e boschi. La parola Serengeti è un’approssimazione di una parola Masai “siringet”, che descrive appunto questa caratteristica. La parola significa infatti “quel luogo dove la terra corre per sempre”. Quando ci si ritrova nelle pianure del Serengeti, si comprende appieno la motivazione dietro questo nome: le splendide praterie sembrano non finire mai e se si è nel posto giusto al momento giusto, branchi infiniti si estendono da un orizzonte all’altro. Il parco ospita anche una delle più grandi e avvincenti interazioni tra grandi prede e predatori di tutto il mondo, offrendo un’esperienza per i game drive particolarmente impressionante ed emozionante.
CRATERE DI NGOROGORO
Ngorongoro è un profondo cratere vulcanico, la più grande caldera intatta del mondo. Con una superficie di circa 20 km, una profondità di 600 metri e un’area di 300 km quadrati, il cratere di Ngorongoro è una meraviglia naturale mozzafiato. L’area di conservazione di Ngorongoro, che copre 8.292 chilometri quadrati, possiede un’unicità nel continente africano, in quanto la conservazione delle risorse naturali è integrata con lo sviluppo umano: non è raro vedere il bestiame Masai pascolare accanto a mandrie di zebre. Grazie alle sue caratteristiche particolari e alla coesistenza armoniosa tra fauna e popolazione, la riserva è stata riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO ed inserita nell’elenco delle Riserve Internazionali di Biosfera all’interno del programma UNESCO Man and Biosphere Reserve Programme. L’area ospita oltre 25.000 grandi animali, di cui 26 rinoceronti neri. Sono presenti inoltre migliaia di gnu, zebre, eland e gazzelle. Il cratere ha anche la più densa popolazione di leoni conosciuta, che ammonta a circa una sessantina di esemplari. Più in alto, nelle foreste pluviali sul bordo del cratere, sono presenti leopardi, elefanti, bufali, iene maculate, sciacalli, rari licaoni, ghepardi e altri felini.
La leggendaria migrazione annuale di gnu e zebre passa anche attraverso il cratere di Ngorongoro, quando i 1,7 milioni di ungulati si spostano a sud a dicembre per poi spostarsi verso nord a giugno.
L’area è un paradiso anche per gli amanti del birdwatching: questa ospita infatti oltre 500 specie di uccelli, tra cui struzzi, pellicani e fenicotteri, avvistabili nei pressi dei laghi all’interno del cratere.
LAKE MANYARA NATIONAL PARK
Il Lake Manyara National Park, oltre che per il gran numero di fenicotteri, è famoso per il suo grande lago di carbonato di sodio che occupa la maggior parte della sua superficie durante la stagione delle piogge. Un’altra particolarità del parco è la presenza di leoni che si arrampicano sugli alberi. Nella foresta sono presenti anche degli esemplari di leopardi. Gli animali all’interno del parco includono poi elefanti, gnu giraffe e bufali. Numerose sono le mandrie di zebre, impala, facoceri e waterbuck. Sulle pendici della scarpata, chi ha una vista acuta potrebbe fare l’avvistamento dei piccoli e timidi dik dik di Kirk e dei cosiddetti saltarupi.
TARANGIRE NATIONAL PARK
Il Tarangire National Park occupa un’area di 2.600 chilometri quadrati ed essendo uno dei parchi più stagionali nel nord della Tanzania, è casa di grandi movimenti migratori. Tra giugno e ottobre, che è la stagione secca, ci sono inimmaginabili branchi di animali che vengono attratti dal fiume Tarangire. Il numero di elefanti all’interno del parco è incredibile durante tutto l’arco dell’anno, e ancora di più durante la stagione secca. Questa particolarità, unita alla presenza di grandi alberi di baobab, la presenza di pitoni africani che strisciano sulle piante e molti altri meravigliosi avvistamenti fanno di questo parco un’imperdibile meta per gli appassionati di safari.
ARUSHA
Oltre ad essere considerata la capitale dei safari in Tanzania, Arusha rappresenta il centro dell’antico impero britannico, raffigurato emblematicamente da una monumentale torre dell’orologio. Situata esattamente a metà strada tra il Cairo e Città del Capo, la città offre numerose attività e introduce ai suoi visitatori la cultura Masai. È facile infatti vedere gruppi di Masai allevare bestiame, andare in bicicletta, vendere intrecci di perline e andare avanti nella loro vita quotidiana. Inoltre, ci sono numerose bancarelle lungo le strade dove le donne vendono caschi di banane verde brillante e manioca arrosto, ed è suggestivo vedere sbucare i bambini in uniforme scolastica da piccole capanne di paglia.
Oltre alla cultura Masai, Arusha ospita fino a 100 diverse nazionalità: le comunità musulmane e cristiane vivono pacificamente fianco a fianco e la gente del posto ti accoglierà calorosamente con il termine Swahili “karibu”, che significa “benvenuto”. Da non perdere il vibrante mercato del cibo e la radicata cultura del caffè: Arusha è infatti circondata da uno splendido paesaggio montuoso, dove si possono scorgere numerose fattorie di fiori e centinaia di piantagioni di caffè.
Per coloro che sono interessati alla storia politica, culturale e sociale della Tanzania, la città offre diversi musei. L’Arusha Declaration Museum offre uno sguardo alla lotta per l’indipendenza del Paese e ne illustra il passato coloniale. Il Museo Nazionale di Storia ospitato in un forte tedesco al largo di Boma Road accompagna i visitatori in un viaggio attraverso l’evoluzione umana. Per una vasta selezione di arte, sculture e manufatti africani, la soluzione è The Cultural Heritage craft mall.
SWAKOPMUND
Definita luogo incantato o quanto meno singolare, Swakopmund è una città della Baviera trapiantata in un deserto africano. Architetti tedeschi degli inizi ‘900 fecero a gara per ricreare atmosfere di una città della madrepatria secondo i dettami dello Jugendstil allora imperante. Una visita a Swakopmund è ampiamente giustificata anche soltanto dalle sue architetture.
Il principale centro sulla costa, è una cittadina in espansione rinserrata fra il deserto e l’oceano. Dietro, la sabbia di continuo l’assedia, mentre davanti impera l’oceano scuro e sconfinato. La corrente del Benguela proveniente dal Polo Sud, rende le acque fredde, buone per la pesca e le ostriche, e a volte copre il paesaggio di nebbiolina azzurra. La cittadina confortevole, ricca di negozietti caratteristici, ristorantini, mercatini e ospitalità, offre anche diverse attività turistiche, come un giro mozzafiato sul quad nelle dune del deserto, con là in fondo il riverbero dell’oceano, o un’escursione avventurosa e sognante nella Valle della Luna. O il museo delle pietre, in centro. Imperdibili poi, la crociera a Walwis Bay e l’emozione del Sandwich Harbor, in jeep fra dune spettacolari, per un’attraversata wild davvero indimenticabile.
Da Windhoek, la catena montuosa Khomas Hochland si estende ad ovest in modo da formare una zona panoramica di transizione tra l’altopiano centrale e le pianure del Namib. Sulla strada per Swakopmund e Walvis Bay, il panorama offre uno spledido scenario che rende il viaggio davvero piacevole, anche se il vero punto forte vi aspetta sulla costa. Proprio come la strada inizia a scendere a livello delle pianure, la vista è sollecitata dall’intenso arancione delle dune che appaiono sulla sinistra, mentre il naso cattura prima la brezza salata del mare che si estende davanti.
Entrare in Swakopmund da una strana sensazione, soprattutto fuori stagione turistica, quando la città, inserita tra le onde fragorose dell’Atlantico e il deserto del Namib, appare come un surreale residuo coloniale e trasmette una strana sensazione di calma e tranquillità atavica. La gente di Swakopmund è formata da un mix eccentrico di residenti tedesco-namibiani e turisti tedeschi provenienti dall’estero, che si sentono a casa, per il modo tipicamente tedesco di comfort e ospitalità. Con le sue passeggiate al mare, case a graticcio e gli edifici di epoca coloniale, sembra che solo la sabbia trasportata dal vento e le palme distinguono Swakopmund dai centri di villeggiatura lungo le coste del Mare del Nord e del Mar Baltico della Germania.
Swakopmund ospita alcuni dei più importanti esempi di architettura coloniale tedesca. Fra i monumenti di particolare interesse si possono citare la prigione di Altes Gefängnis, progettata da Heinrich Bause nel 1909, e la Wörmannhaus del 1906, oggi sede della biblioteca pubblica. Altri luoghi di interesse culturale includono il museo sui trasporti e l’acquario nazionale (National Marine Aquarium).
Negli immediati dintorni si trovano diversi luoghi di interesse naturalistico, fra i quali spiccano le dune di sabbia vicino a Langstrand, a sud dello Swakop. Sono mete turistiche anche un ranch in cui si allevano cammelli (aperto al pubblico) e la “Martin Luther”, una locomotiva a vapore del 1896 abbandonata in mezzo al deserto, attualmente restaurata e ricoverata nel locale museo.
PARCO NAZIONALE RWENZORI MOUNTAINS
Un massiccio misterioso ed affascinante, rimasto sconosciuto agli occidentali fino a poco più di un secolo fa, con una cima che raggiunge i 5.109 metri ed altre che superano i 4.000 metri, un ghiacciaio che alimenta il più importante fiume africano ed una catena divisa in ben sei gruppi fanno dei Monti Rwenzori il terzo massiccio africano per altezza ed importanza, dopo il Kilimanjaro ed il monte Kenia e prima del Ras Dashan e delle vette etiopiche.
Il gruppo montuoso del Rwenzori si allunga per circa centotrenta chilometri lungo l’odierno confine tra Repubblica Democratica del Congo ed Uganda, con una larghezza media di una cinquantina di chilometri. La sua origine non è di tipo “vulcanico”, bensì il suo massiccio si innalzò, spinto da forze sottostanti, durante la formazione della Rift Valley, all’incirca dieci milioni di anni or sono. Sebbene non sia il massiccio africano più alto, il Rwenzori costituisce comunque il gruppo di cime innevate più imponente e complesso, non essendo costituito da un singolo cono vulcanico come i monti Kilimanjaro e Kenia, ma da sei montagne separate, ognuna con il suo ghiacciaio, rappresentando così una riserva di acqua dolce di gigantesche proporzioni, capace di alimentare con i suoi numerosi effluenti tutti i grandi bacini della regione e quindi dello stesso Nilo, proprio come aveva sostenuto Tolomeo, oltre ventuno secoli or sono.
Come si può immaginare, la grande quantità d’acqua e di umidità presente su questo massiccio ha favorito una rigogliosissima vegetazione che avvolge il Rwenzori fino al limite delle nevi e dei ghiacci. Salendo verso le quote più elevate, dai 1800 metri circa, si incontra la “vera foresta montana” dove un misto di alberi e felci arboree con bellissime orchidee ai loro piedi dà rifugio e sostentamento alle comunità animali più numerose. In questa fascia vegetazionale si incontra infatti il maggior numero di animali (una settantina di mammiferi ed oltre 170 specie di uccelli). Più in alto, oltre i 2.500 metri, si incontra la foresta di bambù dove sono comunque presenti eriche arboree e le prime lobelie. Tra i 3.000 e 3.800 metri si trova una foresta tipica dell’alta montagna equatoriale con un’elevata percentuale di specie endemiche.
Intraveduto dai primi esploratori che toccarono il Lago Alberto (S. Baker, Mason Bey, R. Gessi) quale un’apparizione fantastica di bianche nubi; identificato come una vera montagna prima di ogni altro da G. Casati (1887) e quindi dallo Stanley che ne rasentò le pendici (1888), ne fu per primo affrontata l’ascesa da W.G. Stairs che accompagnava lo Stanley stesso nella spedizione di soccorso per Emin Pascià e Casati. Ma lo Stairs non poté superare l’altitudine di 3250 m. e stimò la vetta a circa 5000 m. Due anni dopo F. Stuhlmann, aggregato alla spedizione tedesca condotta da Emin Pascià, ripeté il tentativo pervenendo sino all’altitudine di 4063 m. Seguirono altri tentativi fra i quali particolarmente notevole quello di J.C.S. Moore, che nel 1900 riuscì per il primo a raggiungere la linea delle nevi perpetue a 4500 m. e a guadagnare la displuviale in alcuni punti superiori a 4500 m., constatando che il Ruvenzori forma una vera e propria catena. Varie altre spedizioni si successero a scopo geografico e naturalistico o semplicemente alpinistico, ma tutte più o meno ostacolate dalle condizioni atmosferiche, poco aggiunsero a quello che si sapeva. Spettò alla spedizione organizzata e condotta (1906) dal Duca degli Abruzzi col concorso di varî specialisti, di compiere una generale ricognizione della catena di cui determinò la sommità nella Cima Margherita a 5125 m. s. m.
KAMPALA
Kampala è la capitale nazionale e commerciale dell’Uganda ed è affacciata sul Vittoria, il più grande lago africano. Gli alberi e le tegole rosse delle ville in collina circondano il centro urbano di moderni grattacieli. In questa zona centrale si trova l’Uganda Museum, che esplora il patrimonio tribale del paese attraverso un’ampia collezione di reperti. Sulla vicina collina di Mengo sorge il palazzo Lubiri, la vecchia sede del regno di Buganda.
Il nome Kampala deriva da una traduzione del nome che gli inglesi diedero alla regione attorno alla città, “le colline dell’impala”, riferendosi al gran numero di questi animali che vivevano nell’area.
NGAMBA ISLAND CHIMPANZEE SANCTUARY
Ngamba è una piccola isola sul lago Vittoria, quasi interamente ricoperta da foresta pluviale tropicale e solo una piccola porzione dell’isola è recintata. A differenza di un classico zoo, nel caso di questa “isola-riserva”, nella recinzione ci debbono stare gli uomini, siano essi addetti alla gestione di questo santuario per scimpanzè o semplici visitatori, insieme a tutte le varie strutture, mentre tutto il resto dell’isola e della foresta è territorio esclusivo degli scimpanzè che hanno trovato rifugio su Ngamba Island. Qui sono stati raccolti sia scimpanzè adulti feriti (vittime di trappole nella foresta, spesso hanno subito amputazioni e/o shock di vario genere, e sono ormai orfani, in quanto non fanno più parte di alcun ‘gruppo’) o detenuti illegalmente dai bracconieri , sia piccoli della stessa specie “scoperti” alle frontiere di diversi paesi dell’Africa orientale e confiscati a trafficanti senza scrupoli che li rapiscono dalle loro famiglie e al loro ambiente naturale per esportarli in Europa, Nord America e Asia.
Il “Chimpanzee Sanctuary” di Ngamba Island è stato fondato nel 1998 da diverse associazioni protezionistiche, tra cui anche il “Jane Goodall Institute” e la “Born Free Foundation”. Purtroppo gli scimpanzè di Ngamba Island e degli altri centri simili che si occupano di questa specie in Africa orientale non possono essere più reintrodotti in natura a causa delle menomazioni e dei traumi, soprattutto di ordine psicologico, subiti e, di conseguenza, per le gravi ripercussioni sul loro comportamento. In questo centro, pertanto, non si può fare altro che cercare di assicurare loro una sopravvivenza il più possibile simile a quella che gli è stata negata in natura ed approfittare della loro presenza per fare opera di sensibilizzazione e di educazione presso tutti i visitatori.
Gli scimpanzè costituiscono uno dei tre membri della famiglia delle “grandi scimmie” insieme ai gorilla e ai bonobo o scimpanzè pigmei (geneticamente i più vicini alla nostra specie). Il comportamento degli scimpanzè assomiglia a quello dell’uomo sotto diversi profili: ad esempio per i legami a lungo termine tra gli individui di una famiglia, per il lungo periodo di dipendenza dei piccoli dalla loro madre, per la gestualità che comprende abbracci, baci, strette di mano, pacche sul dorso, per le capacità intellettive che permettono persino la costruzione e la manutenzione di strumenti e per le sviluppatissime capacità espressive che permettono di comunicare emozioni quali la gioia, la paura, la tristezza, la felicità o l’apprensione.
Purtroppo il loro habitat è stato in gran parte distrutto e tuttora è gravemente minacciato dall’espansione delle comunità umane e dalla distruzione delle foreste allo scopo di ricavarne legname pregiato e spazi per le coltivazioni. Inoltre la diffusione di malattie quali ebola o altre infezioni che possono essere trasmesse anche dall’uomo, non ha fatto che aggravare la già minacciata sopravvivenza di questa preziosissima specie. Oggi, infatti, gli scimpanzè sopravvivono solamente in una ventina di paesi, per di più suddivisi in diversi nuclei frammentati e popolazioni isolate ed una stima della popolazione totale si aggira intorno agli 80.000/100.000 individui allo stato libero. Si è portati a credere che, senza un’adeguata ed efficace protezione, questa specie potrebbe essere destinata in meno di quindici anni.
PARCO NAZIONALE DELLA FORESTA DI NYUNGWE
Il Parco Nazionale della Foresta di Nyungwe si estende per 970 chilometri quadrati di foresta montana rara e protetta, dalla biodiversità impareggiabile. In effetti, il Parco Nazionale della Foresta di Nyungwe è il più grande blocco di foreste montane in Oriente o in Africa centrale, e una delle più antiche, che risale a prima dell’ultima glaciazione. Questa foresta tropicale con un’alta volta di alberi, è situata nella parte sudoccidentale del Rwanda e ospita più di 240 specie di alberi, 140 specie di orchidee, centinaia di farfalle e 275 specie di volatili, inclusi i giganteschi buceri, i grandi turachi blu e gli sparvieri rufiventre. Il Nyungwe è conosciuto come ‘il più importante sito per la conservazione della biodiversità in Rwanda’ dal Birdlife International, per le sue tante specie, 24 delle quali sono endemiche degli altipiani dell’Africa Centrale.
Anche i mammiferi sono ben rappresentati con le 13 specie di primati che rappresentano il 20% del totale delle specie di primati in Africa. La scimmia colobus bianca e nera si trova in gruppi che arrivano a contare 400 individui, il che equivale a quasi 10 volte il numero massimo di esemplari mai registrati in un altri luoghi. Ospita anche una grande popolazione di scimpanzé e altre due specie di scimmie a rischio; la scimmia dalla faccia di civetta e degli avvistamenti riportati ma non verificati di scimmia dorata.
IL PARCO NAZIONALE DEI VULCANI
L’eminente primatologa Dian Fossey una volta scrisse: ‘Nel cuore dell’Africa centrale, così in alto da farti tremare più che sudare, si ergono alti vulcani che arrivano a toccare i 15,000 piedi (4500 metri) e sono quasi completamente coperti di una ricca e verde foresta pluviale – i Virunga’.
I Virunga sono una catena di vulcani quasi tutti dormienti che si trovano lungo il confine settentrionale del Rwanda con la Repubblica Democratica del Congo e l’Uganda. Formano un ramo della Albertine Rift Valley e le parti inferiori dei loro pendii sono coperte da una foresta montana. Il Volcanoes National Park comprende 5 degli 8 vulcani Virunga, che sono il Karisimbi, il Bisoke, il Muhabura, il Gahinga e il Sabyinyo.
Creato nel 1925, il Parco Nazionale dei Vulcani è stato uno dei primi parchi nazionali ad essere istituiti in Africa. La sua ideazione è nata dalla necessità di proteggere gli abitanti più preziosi del parco: i gorilla di montagna. Ha una grande importanza scientifica, ambientale e turistica in quanto ospita una delle principali comunità di gorilla di montagna del mondo; fu tra l’altro proprio all’interno di questo parco che operò la celebre zoologa Dian Fossey. La sua passione per i gorilla e il suo esemplare livello di comprensione e di interazione hanno inaugurato una nuova era del movimento per la conservazione per i gorilla di montagna e in definitiva li hanno salvati dall’estinzione. Ha istituito il Karisoke Research Centre e ha combattuto duramente per eliminare il bracconaggio, contrastando la corruzione che corrodeva lo staff del parco. La Fossey riuscì a creare un bacino d’interesse e ad incoraggiare una più grande consapevolezza nei confronti dei famosi abitanti del parco. E’ stata assassinata nel 1985 ed è seppellita vicino al Centro Ricerche, tra le tombe dei gorilla uccisi dai bracconieri.
A prescindere dalla sua interessantissima storia, sono l’ambiente naturale e la posizione del Parco Nazionale dei Vulcani a renderlo una destinazione che può cambiare la vita. C’è una tale diversità di paesaggi, con acquitrini, paludi, praterie erbose e laghi associati a una gran varietà di foreste, che vanno dal bambù a specie più montane. In termini di fauna, naturalmente è il gorilla a rubare la scena ma ci sono comunque tanti altri animali altrettanto interessanti. Dalla iena maculata alla Scimmia dorata, al bufalo e all’antilope dalla fronte nera, il parco ha un ecosistema fiorente cui si aggiungono le 178 specie di volatili registrate.
Con la loro storia segnata da tragedie e trionfi per l’umanità e per il mondo animale, intorno ai Virunga c’è un’aura indescrivibile, che riecheggia in chi visita questi luoghi, tramutandosi in un’insopprimibile sete di ulteriori approfondimenti.
PARCO NAZIONALE di KIBALE
Il parco nazionale di Kibale o della Foresta di Kibale è un parco dell’Uganda occidentale costituito da circa 560 km² che comprendono diversi habitat: foresta pluviale e semi-decidua, prateria e palude. Il parco è noto soprattutto perché vi si trova la più alta varietà e concentrazione di primati dell’Africa orientale con 13 specie rappresentate, ma anche per l’eccezionale avifauna e le numerosissime farfalle. Sempre a questo parco appartengono alcuni dei più caratteristici tratti di foresta pluviale di tutta l’Uganda: il numero di specie di alberi identificati nell’area si aggira infatti intorno a 230. Oltre ad essere base di un centro di ricerca che fa capo all’Università di Makerere, l’area è oggetto di un progetto di riforestazione e conservazione, che promuove la tutela della biodiversità, il rimboschimento delle aree degradate della foresta e la diffusione di programmi di educazione della popolazione. Attraverso questi programmi si intende raggiungere l’obiettivo di una maggiore sensibilizzazione sul tema della deforestazione, creando altresì posti di lavoro tramite un turismo sostenibile e rispettoso dell’ambiente.
Kibale è anche un santuario dello sfuggente elefante della foresta, più piccolo e peloso del suo cugino della savana. Tra gli altri mammiferi troverete bufali, maiali giganti della foresta e diverse specie di antilopi. La rete di percorsi della foresta è un vero sogno per gli appassionati di botanica, di volatili e di farfalle. Ai confini del parco si trova il Santuario delle Paludi Bigodi. E’ un’eccezionale iniziativa per il turismo della comunità, avviata per proteggere la Palude Magombe; un rifugio sia per uccelli che per primati. Il parco fu fondato nel 1993 allo scopo di proteggere un’area che già nel 1932 era stata dichiarata riserva forestale. Il Kibale è contiguo al Parco Nazionale Regina Elisabetta, e i due parchi insieme costituiscono una delle più importanti mete turistiche del paese. La maggior parte delle strutture ricettive del parco sono gestite dalle comunità locali e quindi utilizzate da operatori specializzati nel turismo responsabile. Le comunità che abitano a Kibale sono principalmente di etnia Batooro e Bakiga.
LAGO BUNYONYI
Il lago Bunyonyi, un lago craterico accoccolato tra le meravigliose e pittoresche colline della Rift Valley occidentale è forse uno dei posti più incantevoli e rilassanti dell’Uganda. Situato nel sud-est dell’Uganda a più di 1800 metri di altitudine è da molti ritenuto essere il secondo lago più profondo di tutta l’Africa. Formatosi circa 8000 anni orsono ha una superficie di 60 kmq ed è il centro di un ecosistema più ampio che comprende le zone paludose circostanti.
Il suo nome, Bunyonyi, significa: “il posto dei piccoli uccelli” ed è sicuramente uno dei posti ideali per osservare molte tra le 200 specie registrate come,lo Sparviero serpentario africano (Polyboroides typus), il Cuculo di Levaillant (Clamator levaillantii), il Picchio cardinale (Dendropicos fuscescens), il Torcicollo africano (Jynx ruficollis), la Gru coronata grigia (Balearica regulorum) e varie specie di Tessitori e Aironi.
Con la sua acqua dolce, nessuna traccia di bilarzia e paesaggi da sogno, è un paradiso non solo per i viaggiatori in cerca di relax ma anche per la Lontra dal collo macchiato che qui vive tranquillamente senza la minaccia di coccodrilli o altri predatori e per questo motivo facilmente avvistabile come in nessun altro luogo in Africa.
Nel lago ci sono 29 isole tra cui ricordiamo Bushara, Bwama, Itambira e due isole legate ad antiche leggende: Akampene e Akabucuranuka. Un’escursione in canoa sotto la luna piena resterà sicuramente nella vostra memoria.
PARCO NAZIONALE DEL LAGO MBURO
Il parco non è così famoso come quelli dell’ovest e quelli dove si possono incontrare i gorilla ed è anche uno fra i meno estesi dell’Uganda, ma racchiude in un piccolo angolo del Distretto di Ankole, grandi tesori e magiche atmosfere. Il parco ha un livello di precipitazioni annue non molto elevato per gli standard ugandesi; ciò nonostante oltre il 20% della sua superficie è occupato da zone umide e acque dolci. Il lago che dà il nome al parco è infatti soltanto uno dei cinque specchi d’acqua che si trovano entro i suoi confini e fa parte di un sistema complesso di laghi e zone paludose interconnesse ed alimentate dal fiume Rwinzi. Il resto del territorio del parco è occupato da savana alberata dove diverse specie di acacia si trovano insieme e da zone ad alte erbe. L’attrazione principale sono gli animali da pianura come la zebra, il bufalo, l’impala, il topi e l’antilope alcina. Tra gli altri abitanti più schivi del parco troviamo i leopardi, l’oritteropo, il pangolino e il porcospino, gli ippopotami e un’abbondanza di coccodrilli, anch’essi molto affascinanti. Tuttavia sono le paludi ad attirare alcuni degli animali più rari, come la timida antilope sitatunga.
Per gli appassionati di birdwatching le opportunità di osservare i volatili sono ottime, dato che questo Parco ospita circa 315 specie registrate, attirate sia dalle acque che dalla savana di acacie. Tra i volatili c’è l’uccello nazionale dell’Uganda, la gru crestata, la rara cicogna becco a scarpa, la cicogna marabou e lo Storno splendido codabronzata, i gruccioni e uccelli esotici quali il cuculo dalla nuca blu e il picchio nubiano.
FORESTA DI BUDONGO
Situata a nordovest della capitale Kampala, la foresta di Budongo sorge nelle vicinanze del Lago Alberto e si trova direttamente sulla via del Parco Nazionale delle cascate Murchison. È conosciuta e rinomata poichè costituisce la più estesa foresta di alberi di mogano di tutta l’Africa Orientale coprendo, con alberi alti anche fino a 60 metri, un’area di circa 790 chilometri quadrati e possedendo inoltre la più grande popolazione di scimpanzè di tutto l’Uganda. Dei mogani africani (nome scientifico Khaya anthotheca), alberi ad alto fusto che possono crescere ad altezze tra 30 e 60 metri, se ne può ancor oggi ammirare un esemplare straordinario alto più di 80 metri. Oltre ai circa 800 scimpanzè presenti, a Budongo si possono trovare inoltre 250 specie di farfalle, 465 specie di piante e ben 366 specie di uccelli.
Lo studio degli scimpanzé, iniziato nel 1962 da Vernon Reynolds, continuò con le ricerche di Jane Goodall e prosegue ancora oggi con l’istituzione della Budongo Conservation Field Station, una organizzazione non-profit che si occupa, oltre che di ricerca, anche della tutela e della conservazione di questa preziosa area.
KAMPALA
Kampala è la capitale nazionale e commerciale dell’Uganda ed è affacciata sul Vittoria, il più grande lago africano. Gli alberi e le tegole rosse delle ville in collina circondano il centro urbano di moderni grattacieli. In questa zona centrale si trova l’Uganda Museum, che esplora il patrimonio tribale del paese attraverso un’ampia collezione di reperti. Sulla vicina collina di Mengo sorge il palazzo Lubiri, la vecchia sede del regno di Buganda.
Il nome Kampala deriva da una traduzione del nome che gli inglesi diedero alla regione attorno alla città, “le colline dell’impala”, riferendosi al gran numero di questi animali che vivevano nell’area.
KAMPALA
Kampala è la capitale nazionale e commerciale dell’Uganda ed è affacciata sul Vittoria, il più grande lago africano. Gli alberi e le tegole rosse delle ville in collina circondano il centro urbano di moderni grattacieli. In questa zona centrale si trova l’Uganda Museum, che esplora il patrimonio tribale del paese attraverso un’ampia collezione di reperti. Sulla vicina collina di Mengo sorge il palazzo Lubiri, la vecchia sede del regno di Buganda.
Il nome Kampala deriva da una traduzione del nome che gli inglesi diedero alla regione attorno alla città, “le colline dell’impala”, riferendosi al gran numero di questi animali che vivevano nell’area.
Area comunitaria del Khwai – Moremi Game Reserve
La Riserva Moremi è situata nel delta dell’Okavango, il fiume che non incontra mai il mare perché scompare in un labirinto di lagune, canali e isole, fino ad essere assorbito dalle sabbie del deserto del Kalahari.
È difficile resistere all’incantesimo di questa natura e dei suoi habitat incontaminati. La Riserva Faunistica di Moremi è circondata da aree naturali del Okavango, senza confini tra le concessioni e la riserva della fauna selvatica che consente di spostarsi tra i boschi nella stagione umida quando l’acqua è abbondante e oltre a fiumi permanenti e lagune nella stagione secca. Gli abitanti originari della zona (i Boscimani River) sono stati spostati alla periferia della riserva, costruendo il villaggio Khwai vicino all’uscita della Porta Nord del parco.
L’area Khwai è gestita dalla comunità attraverso il Fondo Fiduciario per lo sviluppo del Khwai. Questa zona offre la stessa straordinaria fauna selvatica, che ha la riserva. Uno dei principali vantaggi di essere al di fuori della riserva è la libertà di fare safari a piedi e safari notturni, dato che questa zona non è soggetta alle stesse regole della Riserva. Gli incantevoli paesaggi della Riserva Moremi, all’estremità orientale del delta, sono considerati i più suggestivi dell’Africa meridionale. Caratterizzata da un forte personalità, la Riserva Moremi vanta habitat naturali molto vari: tra boschi di mopane e acacie, savana, foreste fluviali, pianure alluvionali e corsi d’acqua permanenti, dove vivono iene, leoni, zebre, impala, bufali, leopardi, elefanti e ippopotami.
La vegetazione è varia, la terraferma costellata da paludi permanenti e stagionali, con una conseguente eccellente diversità sia di animali che di uccelli. Le battute di caccia sono più concentrate intorno all’acqua permanente durante la stagione secca (aprile – ottobre) essendo troppo caldo il clima nei mesi successivi. La stagione delle piogge (novembre-aprile) ravviva il paesaggio lussureggiante con fiori di campo, sensazionali rovesci temporaleschie e tramonti spettacolari.
INCONTRO CON I GORILLA DI MONTAGNA
I gorilla di montagna sono animali diurni e terrestri; anche se sono in grado di arrampicarsi sugli alberi, sono i primati meglio adattati alla vita al suolo. La locomozione è essenzialmente quadrupede, ma possono percorrere brevi tratti in posizione bipede.
Sono erbivori, nutrendosi soprattutto di foglie, gambi, germogli e, in minor misura, di cortecce, radici e fiori. Un piccolo contributo alla dieta è costituito da insetti (formiche e larve) e lumache. Un maschio adulto può mangiare in un giorno anche 34 kg di cibo vegetale, una femmina poco più della metà. Le femmine hanno il primo figlio tra i 10 e i 12 anni, mentre i maschi cominciano ad accoppiarsi intorno ai 15 anni. L’allattamento dura fino a tre anni, anche se i piccoli integrano la dieta con sostanze solide dagli otto mesi. Se nel gruppo ci sono dei piccoli gorilla è probabile che questi si avvicinino e provino incuriositi a giocare con le persone che incontrano lungo il cammino. Prima dei 3 anni d’età invece il gorilla rimane aggrappato alla schiena della madre.
Poche esperienze reggono il confronto con i più grandi tra i primati, quando ti trovi a pochi passi da loro e solo qualche arbusto ti separa dalla loro maestosa e in qualche modo quasi familiare presenza. I maestosi gorilla guardano e osservano. L’uomo si fa piccolo e guarda e osserva anch’esso. Questi istanti senza tempo sono una sosta irrinunciabile, un’esperienza emozionante che da sola vale un viaggio in Uganda e che resterà per sempre nella mente come uno dei ricordi più belli ed intensi.
La fatica del percorso ed il tempo per raggiungere la meta sarà ben ricompensata nell’incontro coi diversi gruppi di gorilla che variano a seconda della loro posizione. Con l’aiuto di rangers molto esperti arriverete davanti a questi animali maestosi e unici. Li osserverete mentre si muovono con le loro famiglie nel loro habitat naturale e avrete a disposizione 1 ora. Vedrete il ” Silverback ” il capo della famiglia che può arrivare fino a 180 cm e 230 kg di peso. Il gorilla Silverback passa la maggior parte del suo tempo a terra, a guardia del territorio dove vive la famiglia, ed è considerato il leader dagli altri membri del gruppo, colui che prende tutte le decisioni, che fa da mediatore nelle liti e che pianifica il movimento della famiglia nella foresta.
Un incontro intenso che segnerà la vostra vita! Ci si perde in quegli occhi scuri che ti fissano attenti; ci si perde in questo luogo primordiale che regala un’emozione profonda, seppellita da millenni nell’inconscio e che ora riaffiora, quasi un ritorno alle origini. Non serve fare fotografie. Questa immagine, questi istanti restano dentro. Quegli occhi, quei gesti, così simili a quelli umani, faranno parte dei ricordi indelebili della vita.
PARCO NAZIONALE IMPENETRABILE DI BWINDI
Nel sud-ovest dell’Uganda, in una zona al confine con la Repubblica Democratica del Congo, si trova questo parco di oltre 32.092 mila ettari (circa 331 chilometri quadrati, di cui l’ultimo ampliamento risale al 2003), il cui nome rende già perfettamente l’idea della sua natura, che funge da confine tra la pianura (foresta tropicale) e le montagne. Un parco che offre una maestosa biodiversità: complessivamente, quello di Bwindi è uno degli ecosistemi più ricchi d’Africa, e fornisce l’habitat per oltre 120 specie di mammiferi, 346 specie di uccelli, 202 specie di farfalle, 163 specie di alberi, 100 specie di felci, 27 specie di rane, camaleonti, gechi ed altre specie a rischio. In particolare, quest’area condivide lo stesso livello di endemismo della Rift Valley. L’appellativo “impenetrabile” è dovuto alla natura accidentata e scoscesa del territorio, caratterizzata da strette vallate intersecate da fiumi e ripide colline: gran parte del territorio è raggiungibile con difficoltà ed esclusivamente a piedi. L’altitudine del parco varia infatti dai 1190 ai 2607 metri, ma più del 60% della sua estensione si trova ad un’altezza superiore ai 2000 metri.
Fra i mammiferi compaiono diverse specie di primati, fra cui colobi, scimpanzé e gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei). I gorilla di montagna sono una specie minacciata che rischia l’estinzione e sono sicuramente tra le attrazioni principali dell’Uganda. I gorilla che vivono sulle montagne ugandesi sono tra i più socievoli e sono i più grandi primati viventi sul nostro pianeta. Guardare negli occhi bruni e pensosi di questi giganti, il cui codice genetico é uguale per il 95% a quello dell’uomo, è un’esercizio di umiltà ed un’esperienza entusiasmante allo stesso tempo, soprattutto quando si considera che ne sopravvivono meno di 800 esemplari, divisi tra il Parco Nazionale Bwindi e i Monti Virunga.
Il parco, istituito nel 1991 (sebbene due parti distinte di esso erano protetti come riserva fin dal 1932), è posto sotto la tutela dell’Uganda Wildlife Authority (UWA), un’istituzione parastatale, ed è protetto dalla Costituzione (1995) del Paese. All’interno vi è un istituto di ricerca permanente dove collaborano ONG da tutto il mondo.
A causa della sua eccezionale biodiversità e della presenza di importanti popolazioni di specie a rischio (in particolare gorilla di montagna), il parco è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’ UNESCO nel 1994.
PARCO NAZIONALE QUEEN ELIZABETH
Il parco include al proprio interno la foresta di Maramagambo e parte del lago Edward e confina con altre aree naturali protette: le riserve faunistiche di Kigezi e Kyambura (quest’ultima nota per la popolazione di scimpanzé abituati alla presenza umana e quindi avvicinabili dai turisti), il parco nazionale ugandese di Kibale e il parco nazionale della Repubblica Democratica del Congo di Virunga. Fondato nel 1954, il Parco prende nome dalla Regina Elisabetta II di Inghilterra e con la sua estensione di quasi 2˙000 km² copre tre distretti ugandesi. Il parco è stato dichiarato Riserva della Biosfera dall’UNESCO nel 1979 per la varietà di ambienti presenti, oltre alla ricca fauna.
Il territorio del Queen Elizabeth si trova in una fascia di confine non soltanto dal punto di vista politico e territoriale ma anche da quello ecologico, trovandosi infatti tra le vastissime foreste del bacino del Congo e le grandi pianure erbose dell’Africa Orientale e Meridionale. Inoltre si trova proprio in quell’importantissima depressione creata dal ramo più occidentale della Rift Valley, cosa che rende il suo “scrigno di biodiversità” ancora più ricco di specie viventi e di habitat diversi. Nel Queen Elizabeth Park si ha inoltre la più alta concentrazione di ippopotami che, nonostante il loro numero si sia più che dimezzato rispetto ai contingenti di qualche decennio fa, possono ancora contare su circa 6000 unità. L’acqua rimane comunque l’elemento determinante per la grande ricchezza biologica di questo parco e per la sua indubbia unicità e grande valore. Basti pensare alle molte zone umide che accolgono mammiferi rari ed esclusivi come il sitatunga ed il reedbuck di Bohr e diverse specie di aironi, pellicani cicogne, ibis, gru e alle migliaia di fenicotteri che si possono incontrare nei laghi salati temporanei che si formano nei crateri vulcanici del settore settentrionale.
E’ uno dei parchi più famosi e visitati per la grande varietà di ambienti e la ricchissima fauna. Occupa un’area di 1978 chilometri quadrati di savane aperte, talvolta con dense coperture di acacie ed euforbia, foresta equatoriale e a galleria, grotte e canyon e, per finire, anche paludi e aree acquitrinose intorno al lago. Il parco ospita 95 specie di mammiferi tra cui 10 di primati ed una ventina di predatori, almeno 6000 ippopotami, 2500/3000 elefanti e circa 200 leoni, inoltre più di 610 specie di uccelli (il più grande numero registrato in un parco africano) tra cui ben 54 rapaci. Il settore meridionale del parco è uno dei pochi luoghi africani dove si possono avvistare i famosi climbing lions, i leoni che si arrampicano sui grandi alberi di fico per riposarsi e per avvistare le prede.
PARCO NAZIONALE MURCHINSON
Il parco nazionale delle Cascate Murchison (Murchison Falls National Park) è il più vasto parco nazionale dell’Uganda. Appartiene alla Murchison Falls Conservation Area, un sistema di aree protette che include anche gli adiacenti Bugungu Wildlife Refuge e Karuma Wildlife Refuge.
Il parco si trova nella parte nordoccidentale del paese, a circa 90 km da Masindi. Comprende un tratto della costa del lago Alberto, ed è diviso in due dal Nilo Vittoria, che lo attraversa da est a ovest e che dà origine alle Cascate Murchison da cui il parco prende il nome. Estendendosi su oltre 3900 chilometri quadrati, offre una grande varietà d’ambienti. La parte più meridionale del parco è occupata da foreste e zone con una rigogliosa vegetazione, alcune piantagioni di banane e diversi piccoli insediamenti umani mentre, spingendosi verso nord, si possono registrare incrementi nelle temperature medie e nella secchezza del clima, con sempre più estese zone di savana, talvolta con lunghe piantagioni di palme, probabilmente piantate dai mercanti di schiavi arabi che volevano così segnare le rotte dei propri traffici all’interno dell’Africa Nera.
Tra gli animali che vivono nel parco, i cui contingenti sono purtroppo stati ridotti pesantemente dalle carneficine perpretate durante gli anni delle dittature, si possono annoverare: giraffe di Rotschild, ippopotami, coccodrilli, babbuini, scimpanzè, colobi guereza, l’alcefalo di Jackson, elefanti, antilopi, leoni, leopardi, sciacalli, iene, bufali e kob dell’Uganda. Tra i grandi assenti ci sono invece i ghepardi, le zebre e i rinoceronti (quelli neri erano una volta assai numerosi ma sono stati portati all’estinzione nel ’70, quello bianco fu introdotto nel 1960 e quasi subito sterminato dai bracconieri).
Le Cascate Murchison sono sicuramente la caratteristica più famosa del parco. L’esplosiva massa di acqua che precipita per 43 metri creando le cascate. Al “Top of the Fall” la sommità della cascata il Nilo, che qui si restringe all’interno di una gola ampia solo una decina di metri, dà vita ad una tumultuosa caduta d’acqua, creando uno degli scenari più belli di tutto l’est Africa, dando modo di ammirare la caduta delle acque di questo maestoso fiume imbrigliate dalla natura dei luoghi.
Il primo europeo a vedere le cascate, nel 1864, fu l’esploratore britannico Samuel Baker, che battezzò le cascate in onore del suo collega e amico Roderick Murchison, allora presidente della Royal Geographical Society.[1] Negli anni settanta Idi Amin decise di cancellare le origini coloniali di questo nome e fece ribattezzare le cascate “Kabarega”, in onore dell’Okumama Kabarega, antico sovrano del popolo Bunyoro. Alla caduta di Amin le cascate ripresero il loro nome inglese.
SOF OMAR
Sof Omar, villaggio che prende il nome dallo sceicco Sof Omar, che si dice si sia rifugiato qui agli albori dell’Islam, ospita una delle grotte sotterranee più spettacolari ed ampie del mondo: la grotta di Sof Omar, uno straordinario fenomeno naturale di una bellezza mozzafiato.
Il fiume ha inoltre creato col suo tormentoso corrodere spiagge e insenature, alcune ricoperte da levigati ciottoli altre da soffice sabbia sulle quali ci si può distendere per contemplare le grandi stanze. Di queste la più impressionante è la cosiddetta “Camera delle Colonne”. È formata da un vastissimo corpo centrale intorno al quale corre una cornice di innumerevoli colonne che reggono una volta di pietra che si innalza oltre i 30 metri. In essa il Web si allarga nella quiete di un piccolo lago e le acque limpidissime creano alla luce delle torce visioni fiabesche. Le sublimi sculture delle grotte, scavate dalle acque sedimentose del fiume Web, sarebbero certamente custodite nelle gallerie d’arte più prestigiose del mondo, se non fossero saldamente ancorate al suolo. Il dedalo di caverne si dipana per circa 16 km tra le alture calcaree, ma è possibile esplorarne a piedi soltanto il primo tragitto, lungo circa 1km e mezzo. E’ una fortuna che nella parte esplorabile ci siano stupende formazioni rocciose note come la “Camera delle Colonne”, la “Cupola” e il “Balcone”. Con i loro soffitti a volta, i contrafforti sospesi, i pilastri imponenti e le arcate scanalate, questi capolavori naturali ricordano quasi una visione architettonica avveniristica, misteriosa e straordinaria. Il fiume Web infatti ha scavato, nel corso dei millenni, la roccia calcarea della montagna formando un meraviglioso mondo nascosto, una serie di grotte percorribili a piedi in cui rimanere ammaliati osservando archi, colonne, gallerie e passaggi, cupole perfette, logge e guglie, portici e spiazzi, che evocano allo sguardo attonito del visitatore una città incredibile.
LE MONTAGNE DEL BALE
La zona delle “Bale mountains” è formata da antiche rocce vulcaniche solcate da fiumi che hanno scavato profonde gole dando origine a cascate spettacolari, mentre la parte sud del parco è coperta da una vasta area di foresta di Podocarpus e degrada dolcemente fino ai confini del parco, ad un’altitudine di circa 1500 metri.
Il Parco del Bale venne creato per proteggere dall’estinzione il Nyala di montagna e copre un’area di circa 2200 Km2 di boschi, foreste, laghi, picchi vulcanici: è la zona afro-alpina più estesa dell’intero continente africano ed è l’habitat di una fauna particolarmente ricca che comprende rari esemplari quali il bushbuck di Menelik e il lupo etiopico (o cane del Symien) che, a causa del suo aspetto simile a quello di una volpe, ha tratto in inganno per moltissimo tempo anche gli zoologi. Una ricerca scientifica sul DNA di questo animale dimostrò però come questa specie abbia una stretta parentela con i lupi grigi giunti in Africa dall’Eurasia in remote ere preistoriche. In conseguenza di questa scoperta gli venne attribuito il nome di “Canis simensis”. Il lupo etiopico è il canide più raro del mondo. Presente solo sugli altopiani dell’Ethiopia, è in via di estinzione, negli ultimi trent’anni questa specie si è ridotta drasticamente tanto che attualmente non dovrebbero essercene più di 400 esemplari in tutto il paese.
All’interno del parco transita la più elevata pista carrabile esistente in Africa, che corre oltre i 4000 metri di quota. Tra le alte vette che dominano il parco spicca il Tullu Deemtu che, con i suoi 4377 metri, è la cima più alta del Sud Ethiopia e la seconda dell’intera Nazione.
POPOLI D’ETIOPIA: MURSI
Le popolazioni Mursi sono gente molto socievole, coltivatori e allevatori, che occupano vaste aree del Mago e sono probabilmente la tribù più ammirata della Valle dell’Omo meridionale. Le loro capanne vengono realizzate con paglia e frasche su di una solida struttura di legno, all’interno vi convive l’intera famiglia composta, a volte, da più generazioni.
L’abito tradizionale, formato da una lunga pelle di animale annodata sopra la spalla destra, rappresenta l’unico indumento indossato dalle donne.
I Mursi hanno, come è consuetudine largamente diffusa tra le varie popolazioni della bassa valle dell’Omo, un amore morboso per la cura del corpo che si concreta qui nell’uso dell’ormai famoso e strano costume di deformare il labbro inferiore con l’introduzione del piattello labiale la cui grandezza determina, a queste latitudini, la bellezza e la desiderabilità di una donna. Usanze antiche e oggi canoni di bellezza e di desiderabilità: una moglie con un grosso piattello labiale può costare al futuro marito anche venti o trenta capi di bestiame. I piattelli possono essere in legno di balsa, per cui leggerissimi, o in terracotta; le donne usano una particolare cura nel realizzare il proprio piattello: l’argilla viene prima impastata con acqua fino a diventare un intruglio cremoso quindi verrà plasmata per formare il piattello sul cui bordo verrà creato il solco in cui sarà inserito il labbro poi, prima di procedere alla cottura, esso verrà ulteriormente inciso con disegni ornamentali. Gli antropologi sostengono che questa antica arte corporale sia nata non per creare bellezza, ma per rendere la donna ripugnante e toglierle il valore venale causato dal commercio degli schiavi.
Un momento importante e rituale al quale è possibile assistere nei mesi di Agosto, Settembre ed Ottobre, è il donga, la lotta con i bastoni che vede due giovani sfidanti scapoli battersi per dimostrare il loro coraggio e la loro forza alle donne in età di matrimonio. Gli incontri avvengono davanti all’intera comunità e oppongono due contendenti alla volta che si affrontano armati di un lungo bastone di legno, alto circa due metri, con un’estremità scolpita a forma di fallo. Oltre a proporsi alle giovani in età di matrimonio, chi vince si mette in mostra davanti all’intera comunità mostrando il suo valore e quindi acquista prestigio.
I Mursi sono molto superstiziosi, professano la più semplice religione che si possa concepire, hanno una paura rispettosa degli spiriti e nei loro riti utilizzano solo le materie indispensabili alla vita.
PARCO NAZIONALE DEL MAGO
Il Mago National Parksi trova sulla riva orientale del fiume Omo. Si estende per circa 1.343 kmq ed il suo punto più alto è rappresentato dal Monte Mago. Il parco, istituito nel 1979, è il più recente Parco Nazionale dell’Etiopia ed è stato costituito per proteggere il gran numero di animali che si ritrovano in quest’area come bufali, giraffe ed elefanti. È formato principalmente da savana aperta e arbustiva con ampie zone forestali intono ai corsi d’acqua. Al suo interno si trovano molti animali, tra cui bufali, ghepardi, elefanti, giraffe, antilopi, leopardi, leoni e zebre. Anche l’avifauna è abbondante e comprende anche la rara Turdoides tenebrosa. Lungo il fiume, nella bassa Valle dell’Omo, vivono molte differenti tribù.
Questa zona, esplorata solo un centinaio d’anni fa da Vittorio Bottego è d’allora rimasta pressoché intatta e le popolazioni che la abitano vivono allo stato di natura e isolate dal mondo, conservando arcaiche tradizioni fuori dal tempo e lontane da ogni logica occidentale.
POPOLI D’ETIOPIA: DASSANECH
Le tribù Dassanech vivono di pastorizia e di un’agricoltura semplice ed elementare in basse capanne dalla forma emisferica, raggruppate in piccoli accampamenti, in perenne conflitto con gli Hamer con i quali si contendono i pascoli. Popolo di guerrieri, fanno grande uso delle scarificazioni. Il loro spirito bellicoso e guerresco sembra essere stato forgiato dall’ambiente in cui vivono, aspro ed impervio. Tradizionalmente pastori, i Dassanech vivevano tra Kenya, Sudan e Etiopia: nel corso dell’ultimo mezzo secolo hanno perso molti dei loro territori e si sono concentrati nella zona dell’Omo, dove si dedicano anche all’agricoltura (sorgo e mais principalmente).
Le loro capanne sono a forma di cupola, fatte con materiale riciclato (cartone, foglie, latta, tronchi), mentre la loro economia si basa principalmente sull’allevamento del bestiame, sebbene negli ultimi anni si dedichino anche alla pesca e all’agricoltura, privilegiando le colture del mais e del cotone. Come i Karo, anche qui le donne sfoggiano un buco tra il labbro inferiore e la punta del mento in cui mettono fiori, bacchetti di legno, piume di uccelli o spine di acacia. Le donne vanno tutte a seno nudo, con collane colorate e i capelli raccolti in treccine coperte da fasce di perline. I copricapo sono a base di materiale riciclato, come tappi di bottiglia e astucci di penne, mentre tra gli anziani è praticato il piercing auricolare con anelli di vario tipo.
POPOLI D’ETIOPIA: HAMER
Le donne hamer indossano vesti di capra impreziosite da conchiglie cauri. La loro bellezza ed eleganza, universalmente riconosciuta dalle altre tribù, è motivo di onore e vanto per l’intera comunità. Le acconciature in stile “egizio” che sfoggiano le donne Hamer sfoggiano con grande fierezza, rappresentano uno dei più eleganti e gradevoli esempi di acconciatura elaborati dai nativi della bassa valle dell’Omo. Le donne preparano una mistura di ocra, acqua e resina, la applicano sui capelli e poi lavorano una ciocca dopo l’altra fino ad ottenere tante trecce color rame chiamate goscha, segno di prosperità e benessere. Gli aspetti più gradevoli di questo particolare look sono il taglio a caschetto e l’effetto lucente determinato dal grasso animale. Le giovani nubili aggiungono all’acconciatura delle placche di alluminio a forma di becco d’anatra e delle piume di struzzo.
Anche gli uomini hamer adottano la classica acconciatura a treccine delle donne: elaborata in diverse e capricciose varianti la capigliatura presenta sempre una porzione di treccine che, scendendo verso la fronte, forma una specie di scudo triangolare, che viene arricchito con piume di struzzo.
Gli hamer sono inoltre considerati maestri nella decorazione del corpo. Ogni ornamento ha un preciso significato simbolico: gli orecchini, per esempio, indicano il numero di mogli di ogni uomo.
POPOLI D’ETIOPIA: KONSO
Sono popoli caratterizzati dalla forte eguaglianza dei suoi membri l’organizzazione sociale dei Konso e dei Borana, è considerata e uno dei più affascinanti sistemi socio-politici dell’Africa, è divisa in classi di età, dette “gada” della durata di otto anni ciascuno e a cui corrisponde un preciso periodo simbolico: al primo periodo, che corrisponde al grado “dell’essere uomo”, succede quella del “progresso o dell’audacia giovinezza”, seguono poi quella del “montone o della calma e maturità”, quella del “leone o della potenza e saggia vecchiaia” e infine quella “dell’avvoltoio o inferma vecchiaia”, sistema che, assieme all’organizzazione assembleare, permette di mantenere un equilibrio sociale secondo una concezione che è stata definita dagli studiosi di antropologia “anarchia ordinata”. Il sistema sociale si avvale di un complicato sistema di ripartizione e rotazione tra i maschi delle responsabilità sociali e politiche che garantiscono la tribù dal pericolo che può nascere da una permanenza stabile di comando e potere.
I popoli Konso, sono tra le culture pastorali più complesse di tutta l’Africa: da un punto di vista antropologico i Konso sono essenzialmente un popolo animista: essi considerano tutto ciò che li circonda, piante, corsi d’acqua e fenomeni naturali come animati da forze occulte e da spiriti, venerano il serpente e, come i Borana, adorano “waq”, il dio del cielo, cui sono sottoposti numerosi spiriti legati alle risorse vitali delle popolazioni: dalle fonti alle montagne, fino alle anime dei defunti.
Dediti prevalentemente all’agricoltura, i Konso sfruttano ogni metro di terra disponibile terrazzando le zone montuose situate anche a notevoli altezze con puntiglioso e faticoso lavoro. Tra le attività artiginali la tessitura, che viene esercitata con grande impegno e perizia svolge un ruolo importante e redditizio: l’abilità dei Konso nel tessere le tipiche coperte di cotone chiamate belukos fa sì che esse siano richieste in tutta l’Etiopia. Oltre che nella tessitura i Konso sono altresì esperti nella lavorazione del legno con cui producono, non solo utensili domestici ma anche strane sculture chiamate wagas che rappresentano gli antenati o degli eroi defunti: si tratta dell’unico esempio di realizzazione di immagini totemiche fra i popoli dell’Africa orientale.
POPOLI D’ETIOPIA: DORZE’
Popolo di laboriosi agricoltori anch’essi appartenenti al gruppo linguistico ometo, sono conosciuti soprattutto per gli indumenti di cotone che confezionano con vera maestria: sono anche abili tessitori. Singolare ed elaborata la struttura delle capanne, a forma di obice, alte anche 15 metri, costruite con bambù intrecciato montato su una struttura portante anch’essa di canna di bambù e rivestite di foglie di ensete – pianta tipica dell’altopiano etiope apparentemente simile al banano di cui in realtà viene utilizzato il fusto fibroso per l’alimentazione umana. Pur fragili all’apparenza, queste capanne possono durare fino a 60 anni, finchè l’azione del tempo e le termiti non hanno fatalmente la meglio.
I Dorzè, dediti all’agricoltura, hanno realizzato ingegnosi terrazzamenti per combattere l’erosione dei fianchi scoscesi della montagna. Il territorio abitato dai Dorzè, anticamente coperto da foresta tropicale, ha in parte cambiato aspetto: grazie al tenace lavoro dei Dorzè, vaste zone sono terrazzate così da favorire l’agricoltura; nonostante ciò non si ha l’impressione che qui la natura sia stata addomesticata, anzi, la vegetazione è ancora così lussureggiante che chiude ogni prospettiva visuale. La prima cosa che colpisce, visitando il villaggio di Chencha, abitato dai Dorzè, è la rigogliosa vegetazione equatoriale dalla quale spuntano, come tanti isolati obici grigi e fumanti, le tipiche capanne di bambù che, sia nello stile che nel metodo costruttivo, non si ritrovano in nessun’altra zona dell’Etiopia. Queste capanne non hanno camini per cui il fumo prodotto dalla combustione del fuoco che alimenta la cucina all’interno della capanna, esce in più punti dagli interstizi del rivestimento.
AWASSA E LAGO ZWAY
Il lago Zway è uno dei laghi della Rift Valley dell’Etiopia. Le sue acque sono relativamente dolci e pochissimo profonde. Questo lago è diviso da due brevi cordoni di terreno dal lago Sciala. Il lago si trova circa 100 km a sud di Addis Abeba, al confine tra le regioni di Oromia e delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud; i woreda che si affacciano sul lago sono Adami Tullu e Jido Kombolcha, Dugda Bora e Ziway Dugda. La città di Zuai si trova sulla riva occidentale del lago. Il lago è alimentato principalmente da due fiumi, il Meki da ovest e il Qatar da est, e ha come emissario il Bulbar che arriva nel lago Abijatta. Il bacino del lago ha una superficie di 7025 chilometri quadrati. Il lago è lungo 31 chilometri e largo 20 km, con una superficie di 440 chilometri quadrati. Ha una profondità massima di 9 metri ed è ad un’altitudine di 1.636 metri. Il lago Zuai è lungo 25 chilometri e largo 20 km, con una superficie di 434 chilometri quadrati. Ha una profondità massima di 4 metri ed è ad un’altezza di 1.846 metri. Contiene cinque isole, tra cui Debre Sina, Galila, Bird Island e Tulu Gudo, che ospita un monastero che si dice abbia ospitato l’Arca dell’Alleanza intorno al IX secolo. Il lago è conosciuto per la sua popolazione di uccelli e ippopotami. Nel lago Zway è praticata la pesca; secondo il ministero etiopico della pesca e dell’acquacoltura, ogni anno vengono sbarcate 2454 tonnellate di pesci, che il dipartimento stima è dell’83% del suo importo sostenibile. Lungo le rive e sulle isole del lago Zuai abita l’etnia Zay. La tradizione afferma che quando il musulmano Aḥmad Ibrāhīm conquistò l’Etiopia, i cristiani della zona si rifugiarono sulle sue isole. Più tardi furono isolati dal resto dell’Etiopia dal popolo Oromo, che si stabilì attorno al lago. All’epoca in cui Menelik II conquistò le terre attorno al lago, gli abitanti dei laghi furono “riscoperti” e risultò che avevano conservato sia la loro fede cristiana che un certo numero di manoscritti antichi.
Awassa è la capitale della regione etiopica della Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud. È sede di uno dei più importanti mercati del pesce in Etiopia; la caratteristica del mercato è che il pesce viene pulito subito appena pescato dalle abili mani e denti dei ragazzi che vi lavorano.
CHIESE RUPESTRI DEL TIGRAY
I paesaggi del Tigray settentrionale sono fiabeschi: la luce brillante inonda la sabbia di una desolata terra semidesertica da cui si elevano mille aghi di roccia, che toccano quasi il cielo terso e in questo paesaggio così insolito c’è molto di più di quanto riesca a cogliere l’occhio. In cima a tali guglie di roccia, nelle posizioni più impossibili da raggiungere vi è una collezione nascosta di meraviglie e di gioielli religiosi sotto forma di antichi monasteri che vantano pittoresche storie di magia e mostri sacri. La loro epoca di origine rimane tuttora sconosciuta: secondo alcuni accreditati studiosi esse vennero realizzate in tempi antecedenti l’introduzione del cristianesimo e solo in seguito convertite in chiese; altre interpretazioni ipotizzano invece che la loro origine sia concomitante con quella delle chiese ipogee scolpite a Lalibela. Anche nel Tigray la struttura della chiesa è varia: esistono infatti chiese monolitiche, ipogee e quelle ricavate da grotte naturali, alle quali è stato in seguito aggiunto un fabbricato che funge da entrata.
Estremamente interessanti le chiese di Daniel Korkor e Maryam Korkor, caratterizzata da 12 colonne, 7 archi e svariati pregevoli dipinti del XII secolo. Un sentiero a sud conduce, invece, in circa un’ora di cammino alla chiesa di Abuna Yemata, scavata sulla liscia parete verticale della montagna e che richiede una forma fisica eccellente perché situata sopra un ripido pendio, tra paesaggi mozzafiato e rupi a strapiombo. Tra quelle più facilmente raggiungibili, estremamente interessanti sono le chiese di Wukro Cherkos, Abreha We Atsbeha e Degum Selassie. Wukro Cherkos, dedicata a San Ciriaco, si trova su una bassa collina ricavata all’interno di una grotta, forse nel VII secolo, è attaccata alla roccia madre da un lato e presenta al suo interno ben tre maqdas e un soffitto affrescato probabilmente nel XV secolo.
A circa 15 chilometri da Wukro Cherkos, la pregevole chiesa di Abreha-We-Atsebeha sorge su uno spuntone di roccia ed è realizzata all’interno di una caverna naturale nascosta alla vista dalla bianca facciata costruita in muratura durante l’occupazione italiana. Una particolare luce soffusa illumina gli straordinari dipinti che impreziosiscono le pareti e crea in chi li osserva una sensazione di affascinata meraviglia. Questi dipinti, realizzati su tela nel XIX secolo, rappresentano la Trinità e varie scene relative al Nuovo Testamento. Nella chiesa vengono inoltre conservate come importanti reliquie il letto di Ezana, il re axumita convertito al cristianesimo, e il croci ficco di Frumenzio, l’evangelizzatore arrivato dalla Siria. All’interno del santuario, nel lato sud sono custoditi, a detta dei monaci, anche i resti dei due mitici re Abreha e Atsebeha.
Micael Imba è, tra tutte le chiese rupestri del Tigray, la più somigliante alle chiese di Lalibela. Per tre quarti monolitica, ha un interno enorme e conta 25 colonne a sostegno del soffitto alto 6 metri. La vista che si gode da questa chiesa è spettacolare. Debre Selam Atsbi è una “chiesa dentro la chiesa”, con un architettura eccezionale: ha un cuore scolpito nella roccia e strutture interne costruite nello stile architettonico axumita antico, che alternano strati di roccia e legno. Un bellissimo arco intagliato conduce alle manda. La chiesa sorge in una posizione incantevole da cui si godono belle vedute panoramiche.
DEBRE DAMO
Vanta quella che probabilmente è la chiesa più antica tuttora esistente nel paese (del X o XI secolo d.C.) e forse dell’intera Africa; è anche uno splendido esempio di architettura in stile axumita.
Secondo la leggenda, Abuna Aregawi, uno dei Nove Santi che arrivò qui dalla Siria nel VI secolo, girovagando ai piedi della collina ritenne la piana di terra che si trovava sopra di lui il posto adatto per vivere da eremita. Dio, per esaudire il suo desiderio, ordinò a un serpente che viveva in cima al monte, di scivolare lungo le pendici e portare su il santo, che fece di Debre Damo la sua dimora. La montagna, a causa della sua effettiva inaccessibilità, più tardi fu trasformata in luogo di detenzione per i maschi della dinastia reale axumita, per impedirgli di cospirare contro il sovrano regnante. In seguito, durante le guerre di Ahmed Gragn, l’Imperatore Lebna Dengel e la sua consorte, la Regina Seble Wengel, allora in fuga, cercarono rifugio a Debre Damo, dove lo sventurato monarca morì nel 1540.
Dal monastero si gode la vista dello splendido paesaggio circostante che dona pace e isolamento ai circa 100 monaci e diaconi che vivono lassù.
MONTI DEL SEMIEN
Non c’è alcun dubbio che i Monti del Semièn, oggi Parco Nazionale, i più alti dell’acrocoro etiopico, sono giudicati a ragione tra le cime più belle d’Africa. Si stagliano tra l’altopiano e la valle del Taccazzè, con una altitudine tra i 2700 e i 4600mt, il Ras Dashan a 4.620 mt di altezza è tra i più alti del continente africano. Queste montagne di origine vulcanica, risalenti all’oligocene, vennero erose nel corso del tempo dal vento e dall’acqua dei fiumi che modellarono i tormentati panorami che si succedono nel contempo simili e diversi l’uno dall’altro, avendo come denominatore comune la fantasiosa spettacolarità. L’isolamento geografico di queste zone montagnose, paragonabili a delle vere e proprie isole vegetali, ha influenzato profondamente le caratteristiche evolutive della flora montana etiope, che risulta essere una delle più interessanti al mondo. Al pari della flora, anche la fauna presenta, grazie all’isolamento del territorio, un insieme di creature unico. Il Parco del Semien venne creato per proteggere la Capra ibex walie o stambecco dell’Abissinia, specie ora protetta essendo arrivata alla soglia dell’estinzione, (si stimano circa 500 animali) dovuta alla distruzione del loro habitat originario. La caratteristica peculiare della specie è il mantello marrone scuro sfumato sul bianco e un forte dimorfismo sessuale: la dimensione del maschio, che raggiunge un’altezza di 110 centimetri e un peso di 100 chili è quasi il doppio rispetto a quello della femmina che giunge a circa 50 chili, inoltre le corna del primo sono grandi e massicce mentre quelle delle seconde raggiungono raramente i 25 centimetri.
Altro mammifero endemico è il babbuino Gelada, detta anche “scimmia leone”, appartenente ad una specie anticamente molto diffusa in Africa che raggiungeva grandi dimensioni. E’ un primate vegetariano che vive anche in altre zone dell’altipiano, ha un manto peloso marrone sfumato sulle punte di beige. Entrambi i sessi hanno una caratteristica area priva di peli, di forma simile a un cuore, alla base del collo, che nelle femmine è contornata da delle protuberanze biancastre che durante il periodo mestruale aumentano di dimensioni e diventano rosse, dando proprio l’impressione di un cuore pulsante.
Il Parco del Semien ospita anche il caberù o lupo etiope (Canis simensis), un canide indigeno dell’acrocoro etiopico. È simile al coyote in forma e grandezza, ma ne viene distinto dal suo cranio lungo e snello, e il suo manto rosso e bianco. La specie fu descritta scientificamente per la prima volta nel 1835 da Eduard Rüppell, che fornì un teschio per il British Museum. Oggi il lupo etiope è ritenuto l’unico e raro, lupo dell’Africa Sub-Sahariana. È fra i canidi più rari, e si tratta del carnivoro africano più a rischio d’estinzione perchè, stando agli studi, sono poco più di 450 i lupi etiopi oggi esistenti, di cui oltre la metà (circa 300) sui Monti Bale, mentre il resto degli esemplari nel Parco del Simien. Al contrario della maggior parte dei canidi, che sono creature generaliste, il lupo etiope è un cacciatore altamente specializzato di roditori afroalpini con bisogni ambientali molto ristretti.
Nel parco sono inoltre presenti ben 50 specie di uccelli, tra le quali, merita una particolare attenzione, per la sua particolare abilità ad usare utensili, il capovaccaio (Neophron percnopterus). Si tratta di un piccolo avvoltoio che, per rompere le uova di cui si nutre, usa percuotere il guscio con una pietra che tiene ben serrata nel becco. Altro interessante comportamento è riscontabile nel gipeto (Gypaetus barbatus), un avvoltoio con un’apertura alare di tre metri. L’originalità di questa specie è dovuta alla sua particolare dieta: infatti si ciba esclusivamente di ossa. Per fare questo attende che le carogne degli animali morti vengano spolpate da altri predatori per poi cibarsi delle ossa piccole, mentre le più grosse vengono trasportate sopra le spianate rocciose dove le fa cadere affinchè, con l’impatto, si frantumino in tanti piccoli pezzi facili da consumare.
Nel 1978 il parco nazionale Semièn è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. A causa di un drastico calo nella popolazione delle specie native della regione, nel 1996 è stato inserito nella lista dei Patrimoni mondiali in pericolo.
Le montagne del Semièn rimangono nel cuore per gli splendidi paesaggi africani, la vista di panorami superbi che aprono a precipizi e a cime che si elevano improvvise ed inaspettate da vallate profondissime. Il Semien, che in amarico significa “il nord”, raccoglie in un insieme unico ed affascinante i più suggestivi paesaggi africani: i contrasti cromatici creati dalla delicata sfumatura del colore rosso della terra e il verde della vegetazione, sofferte guglie, pinnacoli, ambe, profonde erosioni dominate da impressionanti tavolati, suggestionano profondamente l’osservatore. Una natura immensa, carismatica e minacciosa, mai uguale a se stessa, a tratti struggente, che durante la stagione delle piogge è avvolta da nebbie malinconiche ed arcobaleni commoventi, limitata a nord e a est dal fiume Taccazzè e a sud e a ovest dai suoi affluenti Balagas e Dequiquó, un legame stretto tra la terra e l’uomo, legato alla sopravvivenza, che qui non si è mai interrotto. Quasi a sottolineare la provvisorietà e la caducità della vita umana davanti all’immortalità della natura. Un isolamento così intenso da costringere a fare i conti con i propri limiti.
LA DANZA IN ETIOPIA
La danza ha un ruolo estremamente importante nella vita degli etiopi e quasi ogni gruppo etnico ne ha una propria. La danza assolve a una serie di funzioni significative dal punto di vista sociale, in quanto elemento essenziale di celebrazioni delle festività religiose o di eventi sociali quali matrimoni e funerali; anticamente serviva anche a incitare i guerrieri alla battaglia. Nelle aree rurali è ancora possibile assistere a danze di ringraziamento per la natura, ad esempio per un buon raccolto o la scoperta di nuove fonti d’acqua ed anche per consentire ai giovani guerrieri di fare sfoggio della propria agilità ed abilità nella danza. Sebbene il paese vanti innumerevoli tipi di danze, il ballo più popolare e l’iskita, si basa interamente su morbidi ma scattanti sussulti delle spalle, alzandole, e abbassandole, spostandole in avanti e indietro rispettando un preciso ritmo. Osservare una o più danzatrici è un’esperienza unica. E’ un mezzo di comunicazione, allegro e sensuale. Inizia piano piano con movenze che assumono velocità, sinuosità e scaltrezza. Si resta, non solo affascinati dalle danzatrici e dai danzatori, ma esterrefatti, attoniti.
Impossibile riuscire ad imitarli. Impossibile non ammirarli.
DEBRE LIBANOS
Il monastero di Debre Libanos, situato sulla sponda del fiume Jema, è uno dei più famosi e popolari monasteri del XIII secolo. La chiesa, considerata uno dei luoghi più religiosi dell’Etiopia, venne costruita dall’Abuna Tecla Haimanot nel XIII secolo e fu la prima ad essere distrutta dal terribile guerriero mussulmano Gragn. La chiesa, che venne più volte restaurata, si trova in una gola verde bagnata da limpidi ruscelli le cui acque sono considerate miracolose. La sua comunità monastica riceve migliaia di persone, ammalati e storpi che qui giungono anche da molto lontano per chiedere la grazia e che vanno in pellegrinaggio verso questo luogo sacro. Questo monastero fu, in passato, un importante luogo di culto e tra i suoi monaci, che raggiungevano, nei momenti di massimo splendore, anche le 4000 unità, veniva scelto il capo supremo dei religiosi etiopi.
Accanto alla chiesa, situato quasi a filo del dirupo si può ammirare il “Ponte Portoghese”, un ponte di pietra che si crede fosse stato rinforzato con una malta ricavata dall’impasto di sabbia e uova di ostriche.
AXUM
Situata nell’altopiano del Tigrè, Axum, che fu la capitale dell’antico regno e la culla di una delle più interessanti civiltà africane, ebbe origine nel II secolo a.C. e raggiunse il suo massimo splendore intorno al III secolo d.C, quando la popolazione si convertì alla fede cristiano-copta. Anche dopo la decadenza politica essa continuò a rivestire un importante ruolo religioso, grazie alla fama della cattedrale di Santa Maria di Syon, costruita nel 1655 durante il regno di re Fasilidas sulle rovine della chiesa eretta nel IV secolo da re Ezana e distrutta dal cavaliere mussulmano Gragn. La chiesa, realizzata nello stesso stile dei palazzi reali di Gondar, presenta al suo interno pregevoli affreschi e – secondo la leggenda –in una cappella al suo interno è custodita l’Arca dell’Alleanza. L’ingresso alla cappella è severamente interdetto a chiunque, fatta eccezione per il monaco custode, che ha il compito di sorvegliare l’Arca fino alla morte e si dice che celi l’urna in cui sono conservate le due tavole di pietra consegnate da Dio a Mosè sul Monte Sinai.
Di grande interesse i Bagni e il Palazzo della Regina di Saba; il “Bagno” è un ampio bacino idrico artificiale tuttora funzionante, dall’atmosfera suggestiva e tranquilla che esercita un fascino straordinario. Dal’angolo opposto al bagno si erge, in cima ad una collina la necropoli del re Kaleb e del figlio Gebre Meskel. Questo complesso funerario, edificato con grosse pietre perfettamente tagliate, levigate e sormontate con estrema perizia, è formato da cunicoli e camere mortuarie. Si possono osservare le piccole figure di elefanti e croci che furono scolpite con gusto nella dura roccia di rivestimento.
Della gloriosa storia di Axum rimangono notevoli testimonianze archeologiche e monumentali tra le quali il così detto “Parco delle Steli”, il più vasto e importante d’Etiopia e ospita oltre 120 stele, sebbene in origine ce ne fossero molte di più: alcune sono state rimosse e altre potrebbero essere ancora sepolte. Distesa al suolo come un soldato caduto, la Grande Stele (33 m) è ritenuta il singolo blocco di pietra più grande che l’essere umano abbia mai tentato di erigere, e quanto a ideazione e ambizione supera di gran lunga anche gli obelischi egizi. L’imponente monumento, che fu dedicato forse a re Ramhai, vissuto nel III secolo d.C., cadde probabilmente mentre veniva innalzato e lì giace, tuttora spezzato in quattro parti. La stele più maestosa, che ancora oggi svetta di fronte all’entrata dell’area archeologica, venne ricavata da un unico monolito alto 23 metri, ed era, secondo la teoria più accreditata, il monumento funerario in ricordo del re Ezana, vissuto nel IV secolo d.C.. Alcune steli sono lavorate con pregevoli disegni architettonici in modo da assomigliare a un edificio a più piani con portoni, finestre e marcapiani, altre invece venivano erette grezze o lavorate parzialmente. Malgrado la proverbiale durezza del granito, gli artisti di Axum riuscirono a plasmarlo in maniera superba.
ADDIS ABEBA
Sin dalla sua fondazione, nell’Ottocento, Addis Abeba è sempre apparsa come un portale magico ai confini di un mondo antico e mistico che cela una grande saggezza nei remoti monasteri di montagna. A differenza delle capitali precedenti, stabilite dove lo imponevano esigenze politiche, economiche e strategiche, Addis Abeba fu scelta per la bellezza, le sorgenti calde e il clima gradevole dalla regina Taytu, moglie dell’imperatore Menelik. Mille realtà si incontrano e si scontrano in questa bellissima metropoli africana: agli edifici moderni del centro si contrappongono le casupole dal tetto in lamiera; agli impegnati uomini d’affari si oppone la vita tribale di sempre. Addis Abeba città in bilico tra modernità e una sorta di precarietà e vetustà che la rendono viva e affascinante ma anche ricca di contraddizioni; il mixage del nuovo che avanza e la fatiscenza dell’antico la rende una città particolarmente interessante, ricca di colori, profumi e e contrasti.
La capitale vanta inoltre un panorama museale tra i più ricchi e variegati dell’Africa Orientale. Oltre alla Biblioteca Nazionale etiope dove sono conservati gli archivi imperiale di Hailè Sellassie, una menzione a parte meritano gli interessanti Museo Etnografico e la sezione archeologica del Museo Nazionale, divenuto famoso da quando custodisce la copia dei resti fossili, risalenti a 3 milioni e mezzo di anni fa, di “Dinquinesh” o “Lucy, l’Australopitecus Afarensis ritrovato nel 1974 ad Hadar; inoltre sono qui visibili interessanti reperti dell’antico regno axumita. Il Museo Etnografico si trova nella residenza dell’ultimo imperatore d’Ethiopia, Hailè Sellassiè ed è uno dei più bei musei del continente; circondato dagli splendidi giardini e dalle fontane del campus principale dell’Università Sellassie consente di vedere una bella collezione di manufatti e artefatti che offrono uno straordinario spaccato culturale del popolo etiope.
Suggestiva e stimolante la salita dell’affascinante montagna Entoto, che raggiunge la considerevole altezza di 3.000 metri, da dove si gode una splendida vista della città. Dell’antica sede reale, qui voluta da Menelik, rimangono le rovine dell’antico palazzo e la chiesa di Debre Maryam, circondata da portici impreziositi da pregevoli affreschi, dove lo stesso Menelik venne incoronato imperatore nell’1880. In questa chiesa fu incoronato anche il suo successore Haile Sellassie. Nella parte ovest stimolante è il caotico e immenso“Merkato”, che vanta il primato di essere il più grande mercato all’aperto di tutta l’Africa.
Dal 1958 Addis Abeba è sede della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Africa e, dal 1963, del segretariato dell’Organizzazione dell’Unione Africana. Molti considerano la città la “capitale diplomatica dell’Africa”.
LAGO TANA
La scoperta del lago Tana risale ai tempi delle prime esplorazioni occidentali dell’Africa nera, quando missionari ed esploratori battevano le aree del Corno d’Africa alla ricerca delle mitiche sorgenti del Nilo, dilemma che catturò l’attenzione dei viaggiatori per molti secoli. Nel 1613 un gesuita di nome Pedro Paez descrisse il lago Tana, anche se fu il britannico James Bruce che nel 1770 si impadronì della paternità della scoperta, dedicandola al suo sovrano Giorgio III° d’Inghilterra. Presenze di esploratori portoghesi in zona, indicano che, probabilmente, il lago fosse già stato individuato nel 15° secolo.
Il lago Tana, con i suoi 3600 chilometri quadrati è il più vasto lago etiope ed ha una forma grossolanamente cuoriforme, con la vivace città di Bahir Dar nel punto più meridionale e ben 37 isole sulla superficie. Sia queste isole che le coste sono sede di un gran numero di monasteri e chiese risalenti a un periodo di tempo compreso tra il XIII e il XVIII secolo, molti dei quali di grande importanza storica e ancora oggi vivo punto di riferimento per la cristianità etiope.
Visitando il lago si incontrano varie “tanqwas”, le tipiche imbarcazioni di canna di papiro ancora oggi utilizzate dai Woytò, la popolazione del lago Tana, per recarsi al mercato a vendere legna e pesce. Queste fragili imbarcazioni, dal facile galleggiamento, rappresentano per le popolazioni rivierasche il principale mezzo di navigazione; sono del tutto simili, sia nella forma che nel metodo costruttivo, a quelle realizzate dagli antichi egizi, viaggiano a pelo dell’acqua e una volta raggiunto l’approdo vengono tirate in secco affinchè si asciughino.
Nella penisola di Zeghie, coperta da una delle più estese foreste della zona, sorgono alcuni monasteri tra i quali la chiesa di Ura Kidana Merhat, una delle più belle del lago Tana, con splendide tele che coprono completamente le pareti esterne del Maqdas ed un museo ricco di manoscritti, dipinti, corone di re etiopi, croci e oggetti d’argento. All’esterno essa sembra un banale tucul con tetto conico in paglia ma all’interno splendide tele coprono completamente le pareti esterne del Maqdas. Sulla riva nord della penisola di Zeghie si può visitare, immersa nella lussureggiante vegetazione, la chiesa Beta Maryam con il relativo museo. Anche qui le pareti e i battenti delle porte del Maqdas sono decorate da numerose pitture che riescono, grazie alla loro bellezza semplice, ingenua e singolare, a trasmettere l’antico gusto artistico dei pittori locali, che raggiunse il suo apogeo nei secoli XVII e XVIII. Nell’isolotto di Kebran Gabriel si trova l’omonima chiesa realizzata nel XVII secolo e vietata alle donne. Sembra che la tradizione di interdire alle donne l’ingresso ai monasteri derivi da una specie di punizione inflitta loro per le devastazioni operate dalla regina Gudit, durante la guerra santa volta allo scopo di distruggere il cristianesimo e reinstaurare l’ebraismo.
GONDAR
Gondar risulta essere una delle città più interessanti d’Etiopia grazie all’incantevole posizione geografica, al clima mite tutto l’anno, all’antica tradizione culturale e al centro urbano ricco di pregevoli monumenti. La città di Gondar si trova in un bacino fra le colline, dove tra alti alberi di eucalipto s’intravedono case dai tetti di lamiera, sopra cui si stagliano ancora in piedi a sfidare i secoli le mura di castelli la cui origine affonda nel sangue e nei fasti regali. Spesso è chiamata la Camelot d’Africa, ma questa descrizione non rende giustizia alla città: Camelot è leggenda, Gondar è realtà.
E’ davvero particolare Gondar, fu sede degli Imperatori d’Etiopia nei sec. XVII-XVIII, e di quell’epoca conserva i segni del suo passato imperiale nel recinto dei castelli; questi severi edifici del XVII° secolo che costituirono una possente difesa contro i nemici musulmani. La città si trova in un bacino fra le colline, dove tra alti alberi di eucalipto s’intravedono case dai tetti di lamiera, sopra cui si stagliano ancora in piedi a sfidare i secoli le mura di castelli la cui origine affonda nel sangue e nei fasti regali. A renderla così affascinante non è tanto ciò che è oggi, ma ciò che Gondar è stata. Circondata da terre fertili e allo snodo di tre vie carovaniere, in una regione che era una fonte ricca di oro, zibetto, avorio e schiavi, fu scelta dal re Fasilidas (che regnò dal 1632al 1667) come capitale del suo regno. Tra il XIII e il XVII secolo, i governanti etiopici non erano soliti avere una città come capitale fissa, muovendosi continuamente attraverso i loro domini, preferivano vivere in lussuosi accampamenti temporanei. Re Fasilidas stabilì che Gondar fosse una capitale permanente nel 1636. Prima della sua decadenza alla fine del XVIII secolo, la corte reale aveva sviluppato un complesso fortificato chiamato Fasil Ghebbi, composto da sei grandi complessi edilizi e altri edifici accessori, circondato da un muro lungo 900 metri, con dodici ingressi e tre ponti. La città fortezza funzionò come il centro del governo etiope fino al 1864. Ha una ventina di palazzi, edifici reali, chiese riccamente decorate e monasteri. Alla fine del XVII secolo poteva vantare magnifici palazzi, rigogliosi giardini e vaste piantagioni: qui si tenevano sontuosi banchetti e intrattenimenti stravaganti che suscitavano la meraviglia dei visitatori da tutto il mondo, e il suo fiorente mercato richiamava mercanti mussulmani dall’intero paese. Alla morte di re Fasilidas la popolazione di Gondar superava già le 65.000 unità e la sua ricchezza e il suo splendore erano ormai leggendari. La città fiorì nel suo ruolo di capitale per oltre un secolo prima che le lotte intestine indebolissero gravemente il regno.
Gli edifici più famosi della città si trovano tutti nella Cittadella reale, risalente al XVII secolo: l’intero complesso, che copre un’area di circa 70 000 m², è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1979. Il monumento più importante e antico è il Castello di Fasilidas, posto nella parte meridionale del complesso: esso presenta un parapetto merlato, intervallato da quattro torri sormontate dalle caratteristiche cupole. La singolare struttura è frutto di un’insolita mescolanza di elementi locali con influssi moreschi, indiani e portoghesi.
Il Palazzo di Iyasu è situato a nord-est rispetto al castello di Fasilidas. Definito un tempo “più bello della casa di Salomone” per i sontuosi arredamenti, che presentavano sedie e specchi veneziani e pareti decorate con foglia d’oro e avori, venne pesantemente danneggiato da un terremoto nel 1704 e dai bombardamenti inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale.
Alcune delle sue antiche chiese tra cui la chiesa di Debre Berhàn Selassiè, conservano alcuni tra i più bei murali, croci dalle forme più svariate e antichi codici miniati di tutta la regione. La Chiesa di Debre Berhan Selassie, sopravvissuta al saccheggio dei dervisci sudanesi attorno al 1880, secondo la leggenda grazie all’intervento di un enorme sciame d’api, è una delle più belle chiese dell’Etiopia. Fu eretta, a pianta rettangolare ad allineamento tripartitico, nel XIX secolo su un’altura a nord-est della città per volere di Iyasu, nipote di Fasilidas. Ma è all’interno che la chiesa, il cui nome significa “Monte della Luce della Trinità”, mostra tutta la sua straordinaria bellezza: l’assito in legno del tetto è affrescato da varie file di volti di giovani cherubini dai grandi occhi mentre, nelle pareti perimetrali, compaiono varie scene che rappresentano la vita dei Santi, di Cristo e della Madonna. Gli affreschi parietali rappresentano un compendio dell’iconografia e della cultura religiosa etiope: particolarmente famose sono le scene in cui è rappresentato l’Inferno. La chiesa è frutto di una ricostruzione del XVIII secolo, sulle rovine di quella precedente, risalente a più di un secolo prima. L’edificio è circondato da mura intervallate da dodici torri (che simboleggiano gli apostoli), mentre una tredicesima, più imponente e posta all’entrata, simboleggia Cristo, rappresentato sotto forma di Leone di Giuda. Alcuni storici ritengono che Iyasu avesse l’intenzione di trasferirvi l’Arca dell’Alleanza da Axum.
Molto interessanti sono il palazzo dell’Imperatrice “Mentwab” e il monastero di “Qusquam”. In Gondar si possono ammirare una serie di castelli costruiti dal 1632 al 1885 dai vari imperatori che regnarono durante questo periodo. La singolare architettura di questi spettacolari castelli rivela chiare tradizioni axumite, nonché una notevole influenza araba. I massicci castelli di Gondar sono stati restaurati e costituiscono oggi la maggiore attrattiva della città, che gode anche della sua felice posizione nei pressi del lago Tana, dalle acque pescose. E’ la città di Gondar quella che conserva le tracce più evidenti del passato coloniale italiano in Ethiopia.
LALIBELA
Roha, così veniva chiamata Lalibela, era l’antica capitale della dinastia Zagwe, e sorge a quota 2600 metri sul fianco dell’imponente Abuna Josef, un’amba che culmina a più di 4000 metri d’altezza.Rimasta isolata a causa del difficile accesso che ne ha mantenuto intatta l’originalità e la bellezza, Lalibela è sicuramente uno dei posti più belli e affascinanti dell’intero paese, non a torto definita quale l’ottava meraviglia del mondo.
“Mi viene difficile raccontare ciò che ho visto, perché certamente non sarò creduto …..” così, nel lontano 1521 e 1522 frate Francisco Alvarez iniziò, una volta rientrato in patria, il suo racconto che fu poi pubblicato nel 1540. Le chiese di Lalibela, separate dal fiume Giordano in due distinti gruppi, non furono costruite nel vero senso della parola, ma vennero scolpite nel tenero tufo colore rosso mattone. Le raffinate tecniche costruttive che resero possibile una così alta perfezione realizzativa si sono purtroppo perdute nel tempo. I sapienti architetti seguirono due differenti modelli architettonici: la chiesa ipogea veniva realizzata scolpendo la facciata su una parete verticale della montagna mentre quella monolitica veniva ricavata da un unico blocco di pietra preventivamente isolato con una trincea, in modo che solo il basamento restasse attaccato alla roccia madre.
Si possono ammirare ben undici chiese monolitiche. Costruite per iniziative dell’Imperatore Lalibela, sulla cui nascita la leggenda racconta cose uniche, sono sino ad oggi luoghi di preghiera e venerazione per tutto il paese. In ciò che resta delle cronache medioevali di questo Paese del Corno d’Africa, troviamo un’annotazione che riporta l’arrivo di oltre 500 operai, provenienti da Alessandria d’Egitto, alla corte di Lalibela, per costruire, o meglio scavare 11 chiese rupestri, i più grandi monumenti monolitici di tutta l’Africa. Gli architetti del cristianesimo copto costruirono la loro “Città Santa” fra i canyon e le montagne dell’Etiopia. Scolpirono e svuotarono montagne, traforarono colline, intagliarono tunnel e passaggi sotterranei, innalzarono una città invisibile e cattedrali di roccia che sorgevano direttamente dal macigno e le allacciarono ad un groviglio di gallerie. Separarono, come fosse una conchiglia, i versanti di una montagna e chiamarono Giordano il piccolo corso d’acqua che scorre nella valle. Tutte le chiese vennero lavorate sia all’esterno: porte, finestre e fregi, sia all’interno: sale, archi, colonne, secondo uno stile che mostra chiare influenze axumite. Diverse chiese hanno il tetto a livello del terreno e alcune sono affrescate. Quattro chiese sorgono direttamente dalla roccia, saldate alla montagna dal pavimento, massi immensi scolpiti e svuotati. Una chiesa, Bet Abba Libanos, è allacciata alla roccia solo dal soffitto, altre due sono fuse con le colline da una o più pareti. Una delle più belle è la chiesa di Beta Ghiorgis: isolata, invisibile, massiccia, dedicata al patrono dell’Etiopia e unica ad avere la pianta a forma di croce. Non ti accorgi della sua mole fino a quando arrivi alla trincea che la nasconde. E’ a pianta cruciforme e sprofonda per ben 13 metri sotto la superficie della montagna. Tre croci concentriche ne decorano il tetto. Beta Ghiorgis presenta al suo interno delle pregevoli decorazioni come le finestre ogivali con le mensoline rivolte all’interno e incorniciate in un elegante decoro arabesco in bassorilievo; il tetto è impreziosito da croci greche concentriche in rilievo, mentre la facciata presenta varie linee marcapiani che sembrano dividerla in tre piani distinti. Entrando nella chiesa di Beta Mikael, sulla parete sinistra si apre un passaggio che permette di accedere nella chiesa di Bete Golgotha, vietata alle donne e famosa perché conserva la tomba simbolica di Cristo e la tomba di re Lalibela, visitando la quale, si ottiene la certezza dell’ingresso in Paradiso. L’interno, diviso da pilastri cruciformi in due navate, mostra alcuni pregevoli esempi di antica architettura cristiana etiope, quali i bassorilievi e gli altorilievi raffiguranti i Santi e gli Angeli. L’ultima di queste meravigliose opere in pietra è Beta Abba Libanos dedicata appunto ad Abba Libanos uno dei santi più venerati d’Etiopia. Una leggenda narra che questa chiesa sia stata costruita, sempre con l’aiuto degli angeli, in una sola notte da Maska kebra, la moglie di re Lalibela. La chiesa, dall’inconfondibile stile axumita, venne realizzata seguendo una tecnica diversa: la facciata principale, che guarda nell’ampio cortile, è stata ottenuta scolpendo la parete verticale della montagna, mentre una galleria semicircolare scavata intono al monolito la libera dalla roccia madre alla quale resta attaccata soltanto attraverso il tetto.
L’orientamento delle chiese, che per la maggior parte presentano l’entrata a ovest e il Santa Sanctorum a est, ha un preciso significato allegorico: il fedele proviene dalla porta occidentale, che rappresenta le tenebre e avanza dal buio dell’ignoranza verso la luce della conoscenza. Ogni chiesa vi farà rivivere tempi lontani, e potrete immergervi nelle epoche della Regina di Saba, che qui sembrano così prossime.
Yemeherenna Kristos A differenza delle altre chiese di Lalibela, Yemeherenna Kristos è stata costruita e non scavata nella roccia. Considerato che Yemeherenna Kristos precede le altre chiese di 80 anni circa, ci si rende conto di trovarsi di fronte ad un progetto grandioso, veramente notevole. L’intera costruzione poggia su una base di pannelli in legno d’olivo accuratamente disposti, che la tengono sollevata dal terreno acquitrinoso sottostante. Gli intagli e le decorazioni sono di qualità eccezionale, soprattutto le finestre cruciformi e l’elaborato soffitto della navata. La chiesa è diventata famosa per la decorazione dei suoi interni: il tetto piatto mostra pannelli arricchiti da disegni geometrici, mentre la volta del soffitto è intarsiata e lavorata ad esagoni e medaglioni con figure e motivi geometrici. Nel soffitto a cupola del santuario si ammirano inoltre interessanti sculture e dipinti. Si dice che il fondatore della chiesa sia il re Yemerehanna Kristos, un predecessore del re Lalibela.
ADI-QUALA e DA’ARO KHONAT
Il significativo manufatto architettonico è stato eretto nell’ottobre 1939 per ricordare la sanguinosa battaglia di Adua del 1° marzo 1896.
La battaglia di Adua o Abba Garima, momento culminante e decisivo della guerra di Abissinia, ebbe luogo tra le forze italiane, comandate dal tenente generale Oreste Baratieri, e l’esercito abissino del negus Menelik II. Gli italiani subirono una pesante sconfitta, che arrestò per molti anni le loro ambizioni coloniali sul corno d’Africa. La guerra era iniziata nel dicembre del 1895, quando le truppe etiopiche avevano attaccato gli sparpagliati presidi italiani nella regione di Tigrè, occupata nell’aprile precedente; gli italiani erano stati colti di sorpresa, ed erano incappati subito in una sconfitta nella battaglia dell’Amba Alagi il 7 dicembre. A questa sconfitta si aggiunse poi il 22 gennaio 1896 la resa del presidio di Macallè, che aveva resistito ad un assedio durato due mesi. Le forze italiane al comando del generale Oreste Baratieri, ora rinforzate da truppe fresche giunte dall’Italia, si ammassarono nella zona tra Adigrat ed Edagà Amus, ma l’esercito di Menelik aggirò lo schieramento nemico e si diresse nella zona di Adua, trovandosi così in un’ottima posizione per tentare l’invasione della colonia italiana dell’Eritrea. Le nostre unità, nonostante l’epico comportamento, furono costrette al ripiegamento lasciando sul terreno 6.345 caduti, di cui 2.000 indigeni e 1.846 prigionieri. Ancora oggi, sotto un alto obelisco in granito, una grande cripta custodisce i gloriosi resti mortali di 3.025 soldati italiani e 618 indigen
ARCIPELAGO DELLE DAHLAK
L’Arcipelago delle Dahlak rappresenta un ecosistema eccezionale, che ha pochi rivali al mondo. Uno specialista del turismo, al ritorno da una crociera ha così sintetizzato la sua ammirazione per queste isole: “Le Maldive sono la destinazione migliore al mondo dove servizi e natura hanno un mix impareggiabile, ma le Dahlak! Sono le Maldive di 20 anni fa!).
Parte delle isole Dahlak sono riserva naturale e la fauna marina è ricchissima. Già i nomi sono indicativi del circo che è possibile trovare: pesci pappagallo, pesci trombetta, pesci chirurgo (chiamati così per le spine taglienti che si trovano sulla coda) e pesci unicorno, pascolano sulle barriere coralline nutrendosi della parte organica della madrepora. Semplicemente affacciandosi con la maschera se ne possono vedere molti esemplari. In genere i pesci che affollano queste acque non sono spaventati ma incuriositi dall’uomo.
Ai vostri occhi si presenterà un reef madreporico incantevole, multicolore, con decine e decine di varietà di coralli e madrepore, dagli “ombrelli” ai “cervelli” sino alle praterie di coralli di fuoco oltre ad una infinita varietà di conchiglie.
Le isole in superficie sono desertiche ed ostili, ma albergano molte specie di uccelli. Tra i più numerosi, oltre a molte specie di gabbiani, le sterne, le aquile marine, i pellicani, i fenicotteri rosa (flamingos), i falchi marini.
Alcune isole sono letteralmente coperte da uccelli, e potersi avvicinare al momento della nascita dei piccoli, offre emozioni uniche.
RITO DEL CAFFE’ IN ERITREA
Per prima cosa si provvede alla torrefazione del caffè verde sui carboni ardenti in un braciere. Segue poi la macinazione dei chicchi con mortaio e pestello di legno e il caffè macinato versato insieme all’acqua nella tradizionale brocca di ceramica dal collo allungato, il “jebena”. Una volta che l’infuso di caffè raggiunge la temperatura di ebollizione viene versato, per quattro o cinque volte, in un altro contenitore di coccio per contenere l’ebollizione e poi viene travasato nuovamente nel jebena. Una volta pronto, il caffè viene servito in fingial, tazzine senza manico, versato dal jebena, brocca di argilla tonda e panciuta alla base con un luogo collo laterale che termina in un beccuccio, e ogni tazza viene servita piena fino all’orlo.
Il caffè viene servito tre volte: il primo giro si chiama ”awel” in tigrino, il secondo “kale’i” e il terzo “bereka” (benedetto). La cerimonia del caffè include anche la combustione di vari aromi come incenso e gomma arabica, oltre alla preparazione di popcorn, detto “mbaba” e simbolo di prosperità e fortuna. Anche il fumo che si sprigiona durante la tostatura del caffè è un simbolo di prosperità ed è avvicinato all’ospite per augurargli un lieto destino. Le donne eritree che preparano con gioia e affetto il caffè, bevanda dell’amicizia e dell’incontro, dedicano a loro stesse il momento domenicale dell’auel, pausa canonica per sorseggiare la tazza di caffè tranquille, dopo la funzione religiosa cui si recano digiune.
E’ un rito che va gustato attimo dopo attimo e che, di solito, dura dai trenta minuti all’ora intera, con una gestualità dal sapore antico e affascinante.
MASSAWA
Per assaporare la Natura in Eritrea basta percorre una breve distanza dalla capitale e raggiungere uno sperone di roccia lungo la strada fra Asmara e Massawa: si chiama semplicemente Tredicesimo Chilometro. Lì si è sopra le nuvole. Perché da lì comincia il precipizio verso il Mar Rosso, verso Massawa.
L’altopiano più grande dell’Africa, all’altezza di quel chilometro senza nome, va in frantumi, crolla dagli oltre duemila metri di Asmara fino alle sabbie di una meravigliosa costa marina. Le nuvole, spesso, si accatastano lungo il ciglio dell’altopiano e non ce la fanno a scavalcarlo. Chi si affaccia dalle rocce del Tredicesimo Chilometro avrà la sensazione di trovarsi in volo sopra l’Eritrea. Se guarda verso sud vedrà anche un Monastero ortodosso come sospeso nel cielo. Attorno vedrà le braccia spinose dell’euforbia aggrovigliarsi l’una all’altra. E’ un posto da incanto africano.
Lungo la strada, ad una ventina di chilometri da Massaua faremo una breve sosta al monumento di Dogali, dove nel gennaio 1887 furono massacrati dai guerrieri abissini di ras Alula i cinquecento uomini comandati dal Col. De Cristoforis.
Finalmente arriviamo in vista del mare! Le due attraenti isole che formano Massawa si chiamano Taulud e Massawa, ed entrambe sono collegate alla terraferma tramite dei terrapieni che fungono da ponti.
Sull’isola di Taulud ci sono molti uffici governativi, come il palazzo originale del governatore, costruito nel 1872, la cattedrale Santa Maria, e l’originale stazione ferroviaria costruita dagli italiani. L’isola di Massawa contiene il porto, la parte più vecchia della città, che ha degli edifici corallini antichi e arcate che riflettono l’influenza turca, così come le moschee ancora più vecchie – la prima moschea islamica fu costruita in Eritrea – rappresentano l’influenza musulmana. Ci sono anche edifici costruiti in stile ottomano del XVIII secolo. Qui si trova la vecchia città moresca, coi suoi negozi splendidi, arcate, caffè e ristoranti che offrono cucina eritrea, araba, esotica e occidentale.
ZONA ARCHEOLOGICA DEL KOHAITO
ASMARA – DEKAMERE’ – SEGHENEYTI – ADI KEY – ALTOPIANO KOHAITO – ASMARA
Basata sui diversi nomi nella zona che sono legati agli elefanti, Kohaito si ritiene essere stato un centro di commercio dell’avorio e una area agricola per via dei molti resti di pietre per la macinazione. All’inizio vi erano solo 46 siti individuati, ma ora il numero è salito a 900.
Particolarmente interessante la diga chiamata Safira a Kohaito, vecchia di 2500 anni, la cui costruzione è attribuita al VI° secolo a.C. Lo stile e la solidità della diga mostra quanto la popolazione possedesse una tecnologia avanzata di costruzione. Secondo la leggenda, la regina di Saba si è dissetata con le acque di questa diga. Sebbene dettagliate ricerche scientifiche debbano ancora essere completate, la civiltà di Kohaito è durata circa 1.000 anni ed è antecedente alla civiltà Axumita. La posizione, strategicamente importante, di Kohaito ha fatto sì che questa zona servisse da “ponte” tra Adulis e altre civiltà, come Metera, Keskese e Belew-Kelew.
Un altro luogo storicamente importante è Keskese, situato in una zona di 11 chilometri quadrati a 125 chilometri da Asmara, vicino Senafe. Tra i molti resti nel posto, di grande interesse sono alcune stele cadute, (10 metri di lunghezza), cinque pilastri di pietra che riportano scritte Sabee, resti di grandi e piccoli muri, e cimiteri. Inoltre sono sparsi in tutta la zona diversi lavori di artigianato, arnesi di pietra, ornamenti di pietra e ottone. Anche se non sono state condotte finora ricerche scientifiche dettagliate, basandosi sullo studio dei materiali ritrovati in superficie e sui reperti scritti in lingua Sabea, si ritiene che Keskese si sia sviluppata verso il IX secolo prima di Cristo.
KEREN
La città di CHEREN col suo sparso abitato aggrappato ai fianchi della montagna, si offre a quanti sono in grado di apprezzare uno spicchio d’Africa ancora autentico e quella sua atmosfera riservata e nostalgica la rende affascinante.
Il richiamo più vivo e colorito di CHEREN è il suo mercato, fulcro di vita operosa e punto d’incontro di tutte le tribù del vasto circondario. Attraverso il mercato coperto degli alimenti, le vie dei sarti, le vie degli argentieri e il mercato dedicato alle donne (oggetti per la casa e cosmetici) si raggiunge il letto del fiume, dove si tiene il mercato di legna e carbone.
La città di CHEREN col suo sparso abitato aggrappato ai fianchi della montagna, si offre a quanti sono in grado di apprezzare uno spicchio d’Africa ancora autentico e quella sua atmosfera riservata e nostalgica la rende affascinante.
Merita sicuramente una visita il Santuario di Mariam Dearit, dove è venerata una Madonna nera inserita nella cavità di un maestoso baobab, e considerata da tutti la regina e protettrici del paese. La “Madonna del Baobab” è molto venerata anche dai mussulmani e spesso vi si svolgono pellegrinaggi ecumenici e interreligiosi; i pellegrini che ogni anno raggiungono tale santuario sono circa quarantamila. Il santuario è curato dai monaci cistercensi che qui risiedono dal 1960. Ci sono diverse versioni e leggende a proposito dell’origine di questo Santuario.
Visita ai cimiteri di guerra in cui sono sepolti soldati italiani e ascari (gli indigeni eritrei che combattevano a fianco alle nostre truppe) e a quello britannico.
FERROVIA ERITREA
Escursione in treno a bordo della mitica “littorina” o del treno trainato dalle locomotive a vapore Mallet dei tempi coloniali.
Si avrà la rara opportunità di percorrere una delle più ardite ferrovie al mondo, la cui costruzione è iniziata nel 1897, a bordo dei treni che risalgono ai tempi delle colonie, ancora efficienti grazie ad una “amorosa” manutenzione. Si percorrerà il tratto Asmara-Nefasit, la parte del tratto più suggestivo e panoramico dell’intero itinerario. All’altezza della stazione, in cima ad uno sperone roccioso, si intravede il superbo monastero copto di Bizen, il più importante centro religioso dell’Eritrea.
Un secolo fa gli italiani costruirono un’avveniristica ferrovia in Eritrea. Oggi, in mezzo alle ferite di una guerra recente, le locomotive a vapore sono tornate a correre sui binari dell’ex colonia italiana. Un’impresa straordinaria voluta dal Governo di Asmara e compiuta da ferrovieri ultrasettantenni. La linea ferroviaria che collega le città di Asmara e Massaua, superando quasi 2.400 metri di altezza, viene unanimemente considerata un capolavoro dell’ingegneria italiana. Oggi come allora, quando venne inaugurata, nel novembre del 1912, la stampa internazionale, anche la più ostile e avversa, parlò di «una stupefante prodezza».
Centodiciassette chilometri di rotaie si snodavano tra gole, strapiombi e montagne scoscese. Lungo il tragitto sono dislocate 29 gallerie, 13 stazioni, 5 serbatoi d’acqua e 45 tra ponti e viadotti.
Il tracciato è emozionante ed il principale materiale di trazione è composto da locomotive a vapore del tipo Mallet. La stazione ferroviaria di Asmara è un casermone coi muri sbrecciati e le insegne scolorite. I vetri della biglietteria non sono in buono stato e la campanella che dovrebbe annunciare i treni resta inesorabilmente muta. La sorpresa si cela al di là del portone d’ingresso. Varcare quella soglia significa entrare in una straordinaria macchina del tempo e trovarsi improvvisamente catapultati nel passato, indietro di cento anni, in una storia impregnata di magia e di fascino. Il tragitto ferroviario, in parte coincidente con quello stradale, è ripido e spettacolare: percorre i fianchi della montagna, completamente ricoperti dalle piantagioni di fichi d’india, offrendo paesaggi mozzafiato.
Asmara, capitale del paese, conserva una chiara impronta del periodo coloniale italiano, negli edifici e nell’arte; ma oltre alle sue notevoli opere architettoniche e giardini perennemente fioriti, questa città è intimamente segnata dall’impronta lasciata dagli italiani nelle abitudini degli abitanti. Visitare Asmara è un viaggio a ritroso nel tempo, in un passato che un po’ è anche nostro perché appartiene ai ricordi dei nostri genitori, perché l’abbiamo studiato sui libri di storia e ripetutamente visto nei documentari alla televisione.
Si potrà ammirare il Palazzo Imperiale, in Liberation Avenue. Oggi palazzo del Governo, ospitava fino a pochi anni fa il National Museum. Era stato costruito da Ferdinando Martini, il primo governatore civile italiano dell’Eritrea, nel 1897, per essere il Palazzo del Governatore. Con il suo frontone sorretto da colonne corinzie e interni spaziosi, è considerato uno degli edifici in stile neoclassico più belli dell’Africa. Molto curati sono i suoi giardini sia quelli interni, che quello antistante. Non mancherà di affascinare il Teatro dell’Opera, costruito nel 1918 dall’architetto Cavagnari. E’ un bellissimo esempio di architettura eclettica, conserva un interno delizioso, a quattro piani di palchi e uno spettacolare soffitto art noveau affrescato da Saverio Fresa con scene, tra il neoclassico e l’art nouveau, di danza. Un tempo vi si esibivano numerose e famose compagnie, come quella di Renato Rascel o di Renato Carosone.
Cattedrale Cattolica di Santa Maria
Consacrata nel 1923, è ritenuta una delle più belle chiese in stile romanico lombardo al di fuori dell’Italia. L’interno della cattedrale è magnifico: l’altare è in marmo di Carrara, mentre il battistero, i confessionali e il pulpito sono in legno di noce italiano. L’interno è completamente affrescato. Il campanile della chiesa, in stile gotico, domina la città ed è il punto di riferimento della Harnet Avenue, la strada principale. E’ uno dei massimi monumenti della città. Dal campanile, che contiene otto campane, si gode di una bella vista panoramica. Le campane del campanile si confondono con la voce dei muezzin emanata dagli altoparlanti dei minareti e con le preghiere dei monaci ortodossi a testimonianza dell’atmosfera multi religiosa tipica delle grandi città orientali, e testimonianza della grande tolleranza religiosa che esiste in eritrea, dove convivere con le altre religioni è ormai un dato acquisito.
Cattedrale Copta Nda Maria
La chiesa, che è stata costruita nel 1938 durante l’occupazione italiana domina la città, essendo stata edificata su una collina. Costruita nel 1938 , è una curiosa combinazione di architettura italiana ed eritrea. La cappella d’ingresso è a pianta quadrata, sormontata da tamburo cilindrico con pitture di santi e coperta da tetto conico a largo spiovente. Ai lati, due brevi tratti di portico a travate di legno, con parete in fondo a struttura listata: notevoli i pannelli della trabeazione, di legno scolpito a motivi axumiti e l’arcosolio interno di legname dipinto, tratti dalla demolizione della vecchia chiesa primitiva. La chiesa, costruita (progetto dell’arch. E. Gallo, 1920) sull’area dell’antica, è preceduta da due torri quadrate, che servono come sacrestia e magazzino. Dal piazzale antistante la chiesa, si possono incrociare con lo sguardo le croci copte, il minareto della Grande Moschea e il campanile della Cattedrale cattolica.
La Grande Moschea
Ultimato nel 1938 da Guido Ferrazza, questo grandioso complesso coniuga elementi razionalistici, classici e islamici. La simmetria della moschea è accentuata dal minareto, che si innalza da un lato come una colonna romana scanalata al di sopra di cupole e archi tipicamente islamici. All’interno il “mihrab” (la nicchia che indica la direzione della Mecca) è impreziosito da mosaici e colonne in marmo di Carrara. Lo stile di Ferrazza risulta evidente anche nel disegno della maestosa piazza e nel complesso del mercato che circonda la moschea.
MATUSADONA NATIONAL PARK
Il Matusadona National Park, è stata proclamata nel 1958 area dove la caccia era vietata. Con la costruzione della diga di Kariba si è poi formato il lago che ne costeggia la parte nord. È ampio 1400mq, ed è formato da tre aree ecologiche distinte: la prima è il lago Kariba con le sue sponde ricche di erbe particolarmente ricercate dagli erbivori, la seconda è la valle del fiume Zambesi e la terza è formata dalle zone boscose delle scarpate, che ospita in particolare rinoceronti neri.
È divenuto parco nazionale nel 1985. È casa per moltissimi mammiferi, ed ospita una importante popolazione di elefanti, bufali, impala, zebre waterbuck. E non possono mancare i predatori, leoni e leopardi.
MANA POOLS NATIONAL PARK
Il Parco Nazionale delle Mana Pools è situato nel cuore della Valle dello Zambezi, lungo il fiume Zambezi. E’ un luogo isolato e bellissimo con scorci spettacolari del fiume che scorre, le piane alluvionali, le creste degli alberi e il versante delle montagne Rift Valley che degradano fino al confine con lo Zambia.
“Mana” significa quattro in lingua Shona e si riferisce ai quattro piccoli laghi formati dallo Zambesi a metà del suo corso: Main, Chine, Long e Chisambuk che si susseguono in questa zona lungo ilcorso del fiume Zambezi. Il Mana Pools National Park, inserito dall’UNESCO nell 1984 tra i Patrimoni dell’Umanità, fu istituito nel 1963, ha una superficie di 219.600 ettari, ed è costituito da un insieme di fiume, isole, arenili e foreste, la cui morfologia cambia radicalmente durante la stagione delle piogge, dove l’esondazione del fiume rende percorribile l’area solo con canoe. Di contro, durante la stagione secca, diventa un luogo ideale dove osservare la ricca fauna del parco, alla ricerca di pozze d’acqua. Di conseguenza, l’osservazione faunistica è davvero eccellente, con la possibilità di avvistare grandi concentrazioni di bufali ed elefanti che si trovano sulle rive del fiume, inoltre si possono vedere spesso predatori come leoni, licaoni, leopardi e ghepardi. Il kudù maggiore, la zebra di Burchell, l’impala, il facocero e la comune antilope d’acqua possono essere avvistati nelle piane circostanti e il grugnito dell’ippopotamo si può sentire tutto il giorno; non è una sorpresa, considerando che il fiume ospita la più grande concentrazione di ippopotami di tutta l’Africa.
Le Mana Pools offrono anche fantastiche opportunità per l’osservazione dei volatili, poiché il fiume e le pozze stagionali attraggono grandi quantità di uccelli acquatici e un’eccellente mescolanza di specie nella vegetazione fluviale e nelle foreste di mopane.
Tribal Textiles
Tribal Textiles è un laboratorio artigiano la cui attività è nata dieci anni or sono per volere di Gillie Lightfoot, una ragazza inglese da tempo residente in Zambia.
Gille ha scelto una parte remota del parco di Mfuwe con l’obiettivo di creare lavoro e fare formazione a beneficio degli abitanti dei villaggi, insegnando loro ad integrare le tecniche artistiche tradizionali con competenze di tipo commerciale. Tribal Textiles impiega tra le 60 e le 80 persone dei villaggi della zona, in relazione alla domanda. Il loro scopo, a lungo termine, è quello di stabilire una serie di partnership commerciali che permettano una certa continuità di ordini nel corso dell’anno e di impiegare così un sempre maggior numero di persone a tempo indeterminato assicurando loro un reddito regolare.
L’arte dei batik artigianali di Tribal Texitiles è un progetto che nasce dall’incontro tra tradizione e contemporaneità, tra Africa e Occidente. Lo spunto per disegni dei batik viene direttamente dal rinnovamento dell’arte tradizionale dell’Africa centro-meridionale utilizzando anche stimoli provenienti dall’arte contemporanea occidentale e prestando una forte attenzione allo studio dei colori.
Le tecniche di produzione dei batik implicano un elevato impiego di tempo e di manodopera. Ogni pezzo prodotto è unico ed originale, richiede fino a tre giorni di lavoro e per le sue caratteristiche è considerato un’opera d’arte. Il processo di lavorazione consiste di diverse fasi preparatorie che comprendono lo sfilacciare, pulire, tingere ed inamidare la tela. In seguito viene la parte prettamente artistica che consiste nel dipingere utilizzando la tecnica della “cera a perdere” (qui la cera è sostituita dalla più pratica pasta d’amido), nella “cottura” dei pezzi realizzati, ossia l’essiccazione in appositi forni a circolazione di aria calda, ed infine nella rimozione dello strato di amido e nel lavaggio.
HARARE
Harare è la capitale dello Zimbabwe, una grande città da oltre due milioni di abitanti che svolge il ruolo di cuore politico, economico e culturale del Paese dalla fine dell’Ottocento. Il territorio dove sorge Harare, nell’Africa sud orientale, si trova a quasi 1.500 metri di altitudine su di un grande altopiano chiamato il plateau dello Zimbabwe che dal fiume Zambezi a nord si estende fino al massiccio di Lesotho.
Una delle principali attrazioni è la National Gallery of Zimbabwe, il principale museo d’arte dello Stato, dove si conserva una vastissima raccolta di opere d’arte contemporanea e moltissimi esempi di arte tradizionale provenienti da tutte le regioni dello Zimbabwe. La Galleria partecipa ogni anno alle più importanti manifestazioni d’arte internazionali ed è spesso la sede di importantissime mostre temporanee dedicata agli esiti più recenti della scena artistica e fotografica africana.
Non ci si può perdere una visita alle altre due più importanti istituzioni di Harare, i National Archives e lo Zimbabwe Museum of Human Sciences. I National Archives raccolgono e custodiscono tutti i documenti più importanti dello Stato dello Zimbabwe e anche chi non è uno storico di professione troverà interessante scoprire la storia del Paese dai tempi dell’impero Monomotapa fino alla storia più recente. Un approfondimento di particolare rilevanza è dedicato all’arrivo dei primi esploratori europei, dapprima portoghesi e successivamente inglesi; sono ancora conservate le lettere e i resoconti nei quali venivano descritte le meraviglie naturali di questa terra.
Lo Zimbabwe Museum of Human Sciences è il luogo più indicato per scoprire la storia più antica dello Zimbabwe, grazie ad una ricchissima collezione archeologica e alla presenza di ricostruzioni che permettono di ripercorrere i primi secoli della presenza umana in questi territori, in particolare alla storia di Grande Zimbabwe, la capitale dell’antico impero. Uno dei reperti più suggestivi del museo è la Ngoma lungundu, da alcuni considerata l’Arca dell’Alleanza di cui parla l’Antico Testamento.
Un’altra “chicca” che Harare offre è una passeggiata nel suggestivo giardino botanico di Harare, che ospita alcune delle più caratteristiche piante della regione e una incredibile varietà di fiori, per poi raggiungere il Chapungu Sculpture Park. Questo particolarissimo parco è una vera galleria d’arte a cielo aperto che raccoglie il meglio della produzione statuaria degli artisti dello Zimbabwe e di tutta l’Africa meridionale, ospitando il Chapungu Sculpture Centre un’accademia d’arte molto prestigiosa che ogni anno organizza un importante festival artistico.
Interessanti anche le Foreste Mukuvisi (Mukuvisi Woodlands); solo in parte possono essere considerate uno zoo nella città di Harare, infatti solo due terzi di questa riserva forestale, complessivamente di 277 ettari, sono destinati ad aree ideali per picnic, passeggiate e osservazione dei volatili. Il resto del territorio è un parco naturale che ospita di alberi msasa e una grande varietà di specie volatili ed animali selvatici come giraffe, zebre, impala, gnu, tragelafi striati, raficeri campestri e antilopi alcine.
GREAT ZIMBABWE RUINS
Il complesso megalitico del Great Zimbabwe, il più grande dell’Africa sub sahariana, è sito del Patrimonio Mondiale Unesco dal 1986: si tratta infatti delle vestigia della più grande città precoloniale dell’Africa meridionale, che testimonia la grandezza della civiltà Shona tra l’11° e il 15° secolo.
Quando la scoprirono i portoghesi, che nel 500 commerciavano con le tribù di quest’area, considerarono la fortezza di pietra la leggendaria capitale della Regina di Saba, sebbene si sarebbe scoperto più tardi che le ricche miniere d’oro della zona cominciarono ad essere sfruttate almeno cento anni prima della sua fondazione. I portoghesi erano particolarmente colpiti dall’uso di murature a secco, spesse fino a cinque metri, i cui blocchi di pietra non erano saldati né da giunti né da malta.
Per secoli si attribuirono a queste rovine le pèiù disparate paternità: vennero scomodati fenici ed egizi, poiché non sembrava possibile ipotizzarne la realizzazione da parte di un popolo bantu.
Furono due archeologi britannici all’inizio del 900, Randall-MacIver e Caton-Thompson, a chiarirne le originni, pur avendo il sito perso quasi tutti i reperti culturali che conteneva dopo le razzie dell’800.
MATOPOS NATIONAL PARK
Tra tutti i panorami offerti dai diversi parchi dello Zimbabwe, quelli del Matopos National Park sono indubbiamente i più impressionanti. Paesaggi scolpiti da milioni di anni dal lavoro congiunto di vento, precipitazioni e calore, un immenso ammasso arenario si è trasformato, a poco a poco, in un curioso accatastamento di enormi rocce che sta in equilibrio come per magia, e che è attraversato da pianure erbose. Oltre alla sua geologia, altre due particolarità caratterizzano il parco: una fauna molto variegata che conta 300 specie di uccelli, tra cui il rarissimo gufo aquila del Capo, il falco aquila o l’aquila nera di Verreaux; e pitture rupestri che testimoniano la presenza dei San (i boscimani) da 40.000 anni.
Nshima Zambiano
La preparazione del nshima (chiamata anche nsima o ugali) è simile a quella della polenta.
La farina di mais viene bollita in acqua fino a formare una poltiglia che viene poi battuta e contemporaneamente addensata con altra farina, fino a ottenere la consistenza desiderata, che come nel caso della polenta può variare a seconda delle tradizioni locali.
In molti paesi (per esempio Zambia e Malawi) la preparazione del nshima viene considerata una forma d’arte, e la tecnica per ottenere la consistenza e il sapore considerati ideali viene preservata con cura di generazione in generazione.
Il nshima viene in genere consumato appallottolandolo e intingendolo in salse e contorni a base di carne, pesce, verdure o talvolta arachidi; fra le verdure più usate si possono citare le foglie di zucca o il cavolo. In genere lo si mangia con le mani; una depressione praticata con le dita in una palla di ugali può servire come contenitore in cui versare o raccogliere salse, brodo o altri condimenti.
Luangwa Feira
Il villaggio di Luangwa Feira è situato alla confluenza dei fiumi Luangwa e Zambesi ed è stato probabilmente il primo insediamento europeo in Zambia. La posizione della città è di importanza strategica dato che il Luangwa forma il confine dello Zambia con il Mozambico e lo Zambesi fa da confine con lo Zimbabwe.
Il Luangwa sorge nelle colline di Lilonda e Mafinga, nella zona nordorientale dello Zambia ad un’altitudine di circa 1500 metri, presso il confine con Tanzania e Malawi, e scorre in direzione sudovest attraverso un’ampia vallata.
La valle del Luangwa è geomorfologicamente una rift valley, o graben, che nasce come biforcazione della Grande Rift Valley a sudovest, mentre a sud essa origina il complesso dei laghi Malawi e di Rukwa. La rift valley del Luangwa raggiunge quasi l’abitato di Lusaka. La connessione tra le due fosse tettoniche non è ovvia perché fu riempita dal materiale eruttato da un antico vulcano estinto. Vi sono almeno 20 hot springs, caratteristiche di tutte le fosse tettoniche, nella vallata e nelle sue scarpate.
Il fiume Luangwa fluisce attraverso quattro quinti della Rift Valley fino al punto d’incontro con il Lukusashi ed il Lunsemfwa, proveniente dalla direzione opposta. Milioni di anni fa, la fossa non aveva uscite, e fu riempita da un lago delle Rift Valley chiamato lago Madumabisa, che poteva competere con il lago Malawi in dimensioni. L’acqua straripava in un fiume a sudovest, verso quello che è ora il Kalahari, dove si combinava con il fiume Okavango, la parte alta dello Zambesi, il fiume Cuando, il fiume Kafue, fino ad affluire nel Limpopo ed infine raggiungere l’Oceano Indiano.
KAFUE NATIONAL PARK
Situato nella parte occidentale dello Zambia, il Kafue National Park è il più antico e il più grande parco nazionale di tutto lo Zambia, ed è così chiamato grazie allo scorrere del fiume Kafue, copre un’area di 22.400 km² ed è il secondo parco nazionale più grande in Africa e ospita più di 55 specie di mammiferi, tra i quali molti esemplari della rara antilope Sitatunga, del lechwe rosso e moltissimi felini.
Nonostante la sua grandezza e la sua locazione (circa 2 ore da Livingstone), resta ancora un luogo poco conosciuto e largamente inesplorato con vaste aree ancora incontaminate. Grazie alla sua dimensione e alla varietà di tipi di habitat presenti nel Kafue questi possiede una enorme varietà di fauna selvatica. Purtroppo il parco è stato uno dei luoghi preferiti dai bracconieri in cerca di avorio data la numerosa popolazione di elefanti e rinoceronti neri. Si calcola che negli anni 60 vi fossero 60000 elefanti nel parco, mentre oggi ne rimangono solamente 4000. Di rinoceronti neri invece non ne è rimasto neanche uno all’interno del parco; questa specie è ora infatti una delle specie animali più protette al mondo a causa del bracconaggio.
Nato come primo parco del Paese nel 1924, presenta vaste pianure alternate a colline ondulate: la zona è tra le più remote d’Africa e presenta una grande gamma di foreste che crescono non solo lungo il corso del fiume Kafue ma anche lungo i suoi due affluenti principali : il Lunga ed il Lufupa. Territorio boschivo alternato a sconfinati altipiani e a grandi piane erbose, la cui biodiversità ha favorito l’ insediamento di diverse specie animali, tra cui il più grande numero di specie di antilopi. Luogo di grande bellezza e suggestione è costituito dalle Busanga Plains:situate nella porzione a nord del parco, si tratta di un’ area che da marzo a maggio, grazie alle piene dei fiumi, diviene una enorme pozza d’ acqua dove si bagnano e si abbeverano centinaia tra mammiferi ed uccelli. Quando in seguito le acque si ritirano viene fatto spazio ad una vegetazione a dir poco rigogliosa, che ospita grandi mandrie di bufali, zebre e grandi predatori.
Proclamato “Parco Nazionale” nel 1950, il Kafue National Park è uno dei parchi naturali più grandi del mondo ma l’unicità è data dal fatto che il 67% della superficie è delineata come “area selvaggia” , non percorribile con mezzi di trasporto. Il fiume Lufupa, che percorre la pianura crea immense distese erbose, paradiso per le antilopi. La parte sud del parco è invece caratterizzato da boschi di Miombo, foreste di mopane per poi aprirsi nella vasta pianura di Nanzhila. Questa scenografia é ideale per i branchi di antilopi (17 specie differenti tra cui il’antilope d’acqua e l’endemica antilope roana) ed i loro numerosi predatori (leoni, leopardi, ghepardi).
La particolarità di questo parco è rappresentata infatti proprio dalla diversità di animali visibili: è il regno di più specie di ungulati, di cui custodisce la popolazione più numerosa rispetto a qualsiasi parco nazionale a sud del bacino del Congo, con antilopi rare come il cefalofo dal dorso giallo, sitatunga e lichi oltre ad antilopi roane, antilopi nere e alcelafi. Il parco è considerato inoltre uno dei migliori posti in Africa per l’avvistamento del leopardo, predatore misterioso e sfuggente visto soprattutto nei game-drive notturni (ammessi nel Kafue) o durante le crociere in barca nel pomeriggio lungo il fiume Kafue nei mesi più caldi, quando il leopardo scendere a bere. Il Kafue custodisce le ultime popolazioni vitali di un animare raro in Zambia: il ghepardo.
Il parco nazionale del Kafue, con i suoi spazi enormi, le colline e la lontananza dai parchi più frequentati, è un rifugio quasi unico per il viaggiatore amante della natura selvaggia e incontaminata. Una delle principali attrazioni del Kafue è la sua incredibile avifauna. Questo territorio può vantare la presenza di circa 500 specie, la grande varietà di habitat che si trovano nel parco assicurano la possibilità di vedere di tutto, dalla gru caruncolata al bulbul collogiallo. Il parco è considerato la principale roccaforte dei licaoni, una specie a rischio, seguito dal parco del Luangwa Meridionale. Un’altra specie a rischio, che ultimamente sta conoscendo una ripresa, è quella degli elefanti del Kafue; stanno avendo una straordinaria crescita e un certo numero di aree del parco ora ospitano grandi mandrie di questi giganti gentili. Naturalmente il paesaggio varia molto nelle diverse zone di questo territorio, sebbene le eccellenti opportunità per l’osservazione naturalistica e le acque permanenti del fiume Kafue siano caratteristiche costanti di tutto il parco. Esplorare il selvaggio Kafue equivale a un vero corso di “master del bush”. Si ritorna a casa con un bagaglio carico di ricordi indimenticabili e di scoperte uniche
Likumbi Lya Mize
La cerimonia Likumbi Lya Mize dura cinque giorni.
Inizialmente tenuta anche in Angola, risale ad un’antica tradizione, interrotta e poi ripresa negli anni ’50. I Makishi (maschere che rappresentano gli spiriti dei morti), dopo aver dormito nel cimitero nel lato orientale del fiume Zambesi, entrano nel villaggio al ritmo dei tamburi tradizionali accompagnati da un corteo di gente festosa appartenente a tutti i ceti, dirigendosi alle Chilende, aree della spiaggia dove si eseguono le danze tradizionali.
Si spostano poi nel vicino villaggio di Mize, la capitale della dinastia reale, proprio accanto alla casa del Re dei Luvale, nella Menarena, dove il penultimo giorno si esibiscono fino a notte fonda per presentare la giornata Ufficiale, dove tutti i personaggi più importanti – solitamente anche il Presidente dello Zambia – si recano alla casa del Re per omaggiarlo.
Il rito del Likumbi Lya Mize ha inizio da 1 a 3 mesi prima con una cerimonia chiamata Mukanda, quando i bambini vengono portati via dalle proprie famiglie, per simboleggiare la loro “morte” come bambini da parte dei tundanji, coloro che non appartengono più al mondo dei vivi.
Il Mukanda prevede la circoncisione dei bambini, prove di coraggio e lezioni sul loro futuro come uomini e mariti. Ciascun iniziato viene assegnato ad uno specifico personaggio mascherato che rimarrà con lui per tutta la durata del rito. Tra queste maschere si riconosce Chisaluke, che rappresenta un uomo dotato di grandi ricchezze e influenza sugli spiriti; il Mupala, che è il “Re” del Mukanda e spirito protettivo dotato di capacità sovrannaturali; Pwevo, che rappresenta l’ideale di donna ed è responsabile di insegnare ai bambini la musica e le danze. Altri personaggi sono i Makishi, che rappresentano lo spirito degli antenati defunti che ritornano nel mondo dei vivi per aiutare i loro discendenti a diventare uomini.
Il termine del Mukanda viene celebrato con una cerimonia chiamata Chilende. Tutto il villaggio assiste alle danze dei Makishi e alle rappresentazioni simboliche, fino a quando i bambini non riemergono dal luogo in cui erano rimasti nascosti per “tornare alla vita” come uomini adulti. Questo rito ha un forte valore educativo e insegna ai ragazzi le tecniche di sopravvivenza ed altre nozioni fondamentali riguardanti la natura, la sessualità, la religione ed altri valori sociali.
Barotseland, regno dei Losi
Il regno dei Losi è sempre stato ricco di materie prime: il fiume Zambesi oltre ad essere fonte di acqua e territorio di pesca, con il suo periodico straripare riempie la piana circostante di “black soil”, una terra particolarmente fertile, perfetta per la coltivazione di riso. I Losi, abitanti di queste terre, hanno sempre vissuto in sintonia con il grande fiume spostandosi periodicamente dalla piana all’upland, la terra ferma, dove da coltivatori e pescatori si trasformavano in allevatori di mandrie e cacciatori nelle ricche foreste di legno pregiato.
Più a valle il fiume diventa irrequieto: incontra scogli di roccia, gorgoglia tra mille cataratte, schiuma in un dedalo di rapide, prima di rovesciarsi nelle maestose cascate Victoria, ma nello Barotseland lo Zambesi sembra un innocuo serpente che striscia indolente per centinaia di chilometri alla ricerca della sua strada. Le sue acque verdi scorrono lente e pacifiche accarezzando ampie praterie in cui scorazzano mandrie di buoi sfiancate dal caldo e solitari pastori alla vana ricerca di un po’ di ombra.
Politicamente il regno del Barotseland è sempre stato una monarchia, grazie alla presenza del Litunga, il re dei Losi, ma effettivamente la gestione amministrativa, non ha nulla da invidiare alle più floride democrazie parlamentari.
Il popolo Losi è rappresentato nella “Kuta”, il parlamento del regno, il cui portavoce ultimo rimane il re, ma i partecipanti con potere di voto sono gli “Induna” rappresentanti delle varie zone del regno eletti meritocraticamente dagli abitanti dei villaggi di riferimento.
SIOMA NGUESI
Le Cascate Ngonye o Cascate Sioma sono delle cascate del fiume Zambesi, e si trovano nello Zambia occidentale, vicino alla città di Sioma, circa 250 km più a monte rispetto alle cascate Vittoria.
Partendo da Lusaka, la capitale dello Zambia, possono essere raggiunte con un impegnativo viaggio di due o tre giorni, questa difficoltà nel raggiungimento delle cascate le ha rese molto meno note rispetto alle cascate Vittoria. Le cascate non sono particolarmente alte, la loro altezza varia dai 10 ai 25 metri, ma si caratterizzano per una impressionante ampiezza.
Formano una ampia mezzaluna interrotta da affiormenti rocciosi. Più a monte rispetto alle cascate, il fiume Zambesi attraversa le sabbie del Kalahari, e in quella zona è ampio e poco profondo, ma dopo le cascate il fiume attraversa strette gole di roccia basaltica e forma una serie di grandi rapide. L’ambiente circostante dà ospitalità a un gran numero di specie animali, specialmente nei pressi nel parco nazionale di Sioma Ngwezi. Si possono frequentemente avvistare elefanti vicino al fiume nelle vicinanze delle cascate.
MOSI OA TUNYA NATIONAL PARK
Situata lungo le rive del fiume Zambesi, questa riserva naturale comprende circa 12 chilometri di fiume al di sopra delle Cascate Victoria, da cui prende il nome. Dall’altra parte del fiume, il Parco Nazionale delle Cascate Victoria è quasi l’immagine speculare del parco nazionale Mosi-oa-Tunya, ed entrambi includono le cascate Vittoria nei loro territori.
Il Mosy-oa-Tunya National Park è il più piccolo parco nazionale dello Zambia, ma ricchissimo di animali, oltre ad ospitare gli ultimi rinoceronti bianchi superstiti dello Zambia. Si estende per circa 12 chilometri lungo il fiume Zambesi sopra le cascate e copre un’area di soli 66 km2, ma, nonostante le ridotte dimensioni, molte specie prosperano in questo piccolo spazio: zebre, giraffe, bufali, ippopotami, coccodrilli, facoceri e numerose specie di uccelli sono facilmente individuabili in questa riserva, e gli elefanti vagano liberamente, attraversando avanti e indietro il fiume Zambesi.
Il Mosi-oa-TunyaNational Park è diviso in due sezioni: una che comprende le Cascate Vittoria e una zona selvaggia per le attività di safari. La parte del parco con le Cascate Vittoria comprende la foresta pluviale con le sue piante rare ed interessanti, come le palme d’avorio, alberi di mogano ed ebano, attorniati da numerose piante rampicanti e liane. Passeggiare in questa foresta, unica nel suo genere, è una delle attività più popolari in Zambia ed è una grande opportunità per avvistare le piccole antilopi e i facoceri, che vagano liberamente tra i sentieri della foresta.
La caratteristica più spettacolare dello Zambesi sono le cascate che si formano lungo il suo corso, tra queste vi sono le cascate Vittoria, che sono tra le cascate più grandi del mondo. Altre cascate di notevole importanza sono le cascate Ngonye nello Zambia occidentale e le cascate Chavuma al confine tra Zambia e Angola. Nonostante la sua lunghezza lo Zambesi è scavalcato da solo 5 ponti: a Chinyingi, a Katima Mulilo, alle cascate Vittoria, a Chirundu e a Tete. Lo Zambesi, nel suo percorso di quasi 3700 chilometri, dai monti del Katanga, dove nasce, all’Oceano Indiano dove sfocia, attraversa molti Stati dell’Africa sub-equatoriale e, a 1200 chilometri dalla sorgente, si allarga, pigro e placido, sul tetto uniforme di un altopiano per sparire, d’improvviso, come fosse ingoiato dalla terra, in un immane nube di fumo candido. E’ il punto dove si spalancano le Cascate Vittoria. Il fiume è largo 1700 metri e precipita in un baratro profondo in media 128 metri, dalle nette pareti verticali, come fossero tagliate da un coltello. L’enorme massa d’acqua che cade da quell’altezza su un fondo roccioso e strettissimo (appena 50 metri di letto) evapora e si solleva nell’aria, dando vita a spettacoli di suggestiva e selvaggia bellezza. Nelle notti di luna piena si può assistere ad uno degli spettacoli più rari e belli della Natura: l’arcobaleno prodotto dai raggi lunari. Le tinte dell’arco sono opalescenti e delicate dando allo spettacolo una pennellata di magia.
Lower Zambesi National Park
Proclamato parco nazionale nel 1983, il Lower Zambesi National Park copre una superficie di 4200 km quadrati lungo le sponde nord occidentali dello Zambezi, ed è Patrimonio dell’Umanità protetto dall’UNESCO.
Diversi fiumi più piccoli scorrono nel parco, che si sviluppa attorno ad una magnifica pianura alluvionale punteggiata da acacie e da altri alberi di grandi dimensioni, tra i quali si possono avvistare puku, impala, zebre, bufali, leopardi, leoni, ghepardi e più di 400 specie di uccelli acquatici e non. Lo spettacolo degli elefanti che nuotano nel fiume potrebbe diventare uno dei ricordi memorabili del viaggio Il Lower Zambesi National Park, caratterizzato dalla possibilità di straordinari avvistamenti di grandi animali e dalle splendide acque del fiume Zambesi, ha molto da offrire. Situato nella distesa della Valle del Basso Zambesi, il parco nazionale deve la sua abbondanza di fauna alle acque permanenti del fiume Zambesi, dei suoi numerosi affluenti e delle lagune che si sono formate nei suoi meandri. Il fiume scorre lungo il confine tra lo Zambia e lo Zimbabwe e costituisce una grande attrazione per la sua fauna, con gli elefanti che amano attraversarlo spesso. La presenza dello Zambesi è altrettanto apprezzata dai visitatori, poiché i safari in canoa sono il modo ideale per osservare gli animali su entrambe le sponde del fiume.
All’interno del parco vivono oltre 300 specie di uccelli, moltissimi leoni, leopardi, branchi di elefanti e bufali, ippopotami, il paesaggio è caratterizzato dalla presenza di giganteschi baobab e acacie. I bufali e gli elefanti sono facili da avvistare nel parco, lungo le rive dello Zambesi o, magari guadando da una sponda all’altra – un’esperienza che potrebbe risultare davvero eccitante se un elefante decidesse di attraversare il fiume a pochi metri dalla vostra canoa. Purtroppo giraffe, rinoceronti e ghepardi non sono presenti; tuttavia, la loro assenza è compensata dalla possibilità di avvistare leoni, iene e leopardi.
L’osservazione dell’avifauna nel parco è veramente eccezionale, con circa 350 specie registrate nella zona. Una serie di belle sorprese attendono gli appassionati di avifauna: il fiume Zambezi è una meta amata da aquile pescatrici, cicogne e aironi, mentre occasionalmente si possono vedere i falchi pescatori. Dal confine con il Mozambico, lo Zambesi scende di 42m, su una distanza di oltre 150 km. Questa pendenza (circa 1: 3.500) spiega perché scorre così lentamente creando le condizioni ideali per il safari in canoa.
South Luangwa National Park
Il parco sorge lungo le rive del fiume Luangwa, dove si concentrano centinaia di specie animali e si estende per 9.050 chilometri quadrati. I primi ‘safari a piedi’ o ‘walking safaris’ iniziarono proprio in questo parco. E’ il migliore parco nazionale in Zambia, sia come scenario che per gli animali che si possono vedere.
La vegetazione varia da fitta boscaglia ad aperte pianure erbose e lagune. Rappresenta il cuore di un incantevole ecosistema che vanta antilopi, zebre, bufali, elefanti e un’abbondanza di predatori: leoni, sciacalli, iene, ghepardi, piccoli branchi di licaoni ormai in via d’estinzione e, non ultimo e relativamente semplice da avvistare, il leopardo. Il parco ospita inoltre due rarità endemiche: la giraffa di Thornicroft e lo gnu di Cookson.. Il parco ospita anche una delle più grandi popolazioni di elefanti di tutta l’Africa ed è famoso per i suoi leopardi e uccelli. Nel fiume Luangwa si possono vedere ippopotami e coccodrilli.
La valle del Luangwa è geomorfologicamente una rift valley, o graben, che nasce come biforcazione della Grande Rift Valley a sudovest, mentre a sud essa origina il complesso dei laghi Malawi e di Rukwa. La rift valley del Luangwa raggiunge quasi l’abitato di Lusaka. La connessione tra le due fosse tettoniche non è ovvia perché fu riempita dal materiale eruttato da un antico vulcano estinto. Vi sono almeno 20 hot springs, caratteristiche di tutte le fosse tettoniche, nella vallata e nelle sue scarpate. Il Luangwa sorge nelle colline di Lilonda e Mafinga, nella zona nordorientale dello Zambia ad un’altitudine di circa 1500 metri, presso il confine con Tanzania e Malawi, e scorre in direzione sudovest attraverso quattro quinti della Rift Valley fino al punto d’incontro con il Lukusashi ed il Lunsemfwa, proveniente dalla direzione opposta. Milioni di anni fa, la fossa non aveva uscite, e fu riempita da un lago delle Rift Valley chiamato lago Madumabisa, che poteva competere con il lago Malawi in dimensioni. L’acqua straripava in un fiume a sudovest, verso quello che è ora il Kalahari, dove si combinava con il fiume Okavango, la parte alta dello Zambesi, il fiume Cuando, il fiume Kafue, fino ad affluire nel Limpopo ed infine raggiungere l’Oceano Indiano.
Sul lato occidentale, la catena dei monti Muchinga costituisce il confine del parco e della valle e da essa scendono molti affluenti durante la stagione delle piogge. Il fiume attraversa il parco e in molti tratti costituisce il suo confine orientale. Nel fiume abbondano ippopotami e coccodrilli. Gli ippopotami sono i più numerosi e vivono in gruppi vicino alle rive e nelle lagune. Di giorno stanno immersi nell’acqua e riposano, di notte salgono sulle rive in cerca di pascoli e si cibano di erba fresca. La specie diffusa nel parco è l’Ippopotamus amphibius.
LUSAKA
Lusaka è la capitale ed è la più grande città dello Zambia, una città dagli incredibili ritmi e contrasti, le architetture coloniali di Livingstone e le atmosfere magiche come il sole che si prepara allo spettacolo serale del tramonto. Si trova nella parte centromeridionale del paese, su un altopiano a 1400 metri di altezza, nei pressi del fiume Lunsemfwa.
Prima del XX secolo, Lusaka era solo un villaggio; deve il nome a uno dei capi locali, Lusaaka. Nel 1905, i coloni britannici iniziarono a costruire nei pressi del villaggio, fondando la città moderna. Nel 1935 divenne capitale della Rhodesia settentrionale sostituendo Livingstone, in posizione meno centrale. Nel 1953, quando la Rhodesia settentrionale e meridionale furono unite, Lusaka divenne il centro di un importante movimento di contestazione che, mettendo in atto pratiche di disobbedienza civile, ebbe un ruolo determinante nella nascita dello Stato indipendente dello Zambia (1964), di cui Lusaka divenne capitale.
La città è sorprendentemente ricca di gallerie d’arte dove sono esposti i lavori di artisti locali. Tra le migliori ci sono l’Henry Tayali, la Visual Arts Gallery nell’area di esposizione pochi chilometri a est del centro, la Mpala Gallery, a circa metà strada tra le due, e il giardino con sculture al Garden House Hotel, pochi chilometri a ovest del centro. A nord-ovest del centro si trova lo Zintu Community Museum, dove vengono esposti lavori d’arte tradizionale e artigianato. L’altra principale attrattiva della capitale è l’animatissimo mercato all’aperto di Kamwala, pochi isolati a sud del centro. Interessante il museo nazionale che contiene, tra l’altro, un’interessante collezione di oggetti legati al mondo della stregoneria e un’ottima ricostruzione del tipico villaggio africano.
INHAMBANE
Inhambane, un corridoio ricchissimo di plancton al largo di Praia do Tofo, è il percorso preferito dagli squali balena: si possono incontrare tutto l’anno, e un loro avvistamento è quasi garantito.
La baia di Tofo, sede dell’unica popolazione permanente di squali balena, è uno dei posti che più rimane nel cuore dei viaggiatori: la spiaggia è una lingua dorata su cui si infrangono le vigorose onde dell’Oceano Indiano. Da un lato, sotto gli alberi, sono accatastate le barche colorate dei pescatori, dall’altro la spiaggia sembra correre via infinita. La spiaggia di Tofo si allunga a semiluna. La sabbia bianca e le acque cristalline sono una calamita per gli amanti delle immersioni che qui vengono a immergersi tra squali balena, chiamati gentili giganti, e il grande numero di mante che si possono osservare tutto l’anno, mante giganti che si muovono sinuose nelle acque oceaniche come fantasmi e possono arrivare a misurare fino a 7 metri. E come non parlare del reef, i giardini di corallo variopinto, gli anemoni colorati, la possibilità di incontrare i grossi pelagici dalle balene agli squali balena, squali di vario genere, delfini e, con un po’ di fortuna è possibile trovare i dugonghi, e molto altro ancora, fanno di questa baia una chicca per la gioia dei fotografi e dei subacquei.
HLILWANE E MLILWANE NATIONAL PARK
L’Hlane Royal National Park fu proclamato Parco Nazionale nel 1967, successivamente al Mlilwane Wildlife Sanctuary (1961), sotto la guida del re Sobhuza ll. Il Hlane (termine che significa “selvaggio”) Royal National Park è situato nei pressi dell’ex riserva di caccia reale. Questo parco è l’area protetta più vasta dello Swaziland e ospita un gran numero di elefanti, leoni, ghepardi, leopardi, rinoceronti bianchi e molte specie di antilope, che potrete osservare in assoluta tranquillità. All’interno di questo parco si trovano diversi percorsi escursionistici guidati e itinerari di birdwatching, che permettono di avvistare elefanti e rinoceronti ed altre specie come leoni, avvoltoi e marabù.
La Mlilwane Wildlife Sanctuary è una splendida e tranquilla riserva situata nei pressi di Lobamba ed è stata la prima area protetta dello Swaziland, essendo stata istituita negli anni ’50 del XX secolo dall’ambientalista Ted Reilly all’interno della sua fattoria di famiglia. In seguito Reilly fondò la Mkhaya Game Reserve e supervisionò la creazione del Hlane Royal National Park. Mlilwane significa “Piccolo Fuoco”, un nome che fa riferimento ai numerosi incendi che vengono provocati ogni anno dai fulmini nella regione. Sebbene questa riserva non possa vantare il fascino o la vastità che caratterizzano altri parchi nazionali sudafricani, in compenso è raggiungibile senza problemi e merita assolutamente una visita. Il suo territorio è dominato dal ripido picco Nyonyane (Piccolo Uccello), i cui dintorni si prestano a fare bellissime passeggiate. Tra gli animali che si possono avvistare nei dintorni meritano di essere citate le zebre, i facoceri, numerose specie di piccole antilopi (tra cui il raro cefalofo), i coccodrilli, gli ippopotami e parecchie specie di uccelli anche piuttosto rari. Durante i mesi estivi può capitare di vedere le aquile nere che volteggiano sopra il Nyonyane.
XAI XAI
Xai Xai (pronunciato ‘shai shai’) è una città nel sud del Mozambico. Il suo sviluppo risale ai primi anni del 1900, quando il Mozambico era ancora una colonia portoghese. Nota come João Belo fino a quando il Mozambico divenne indipendente nel 1975, fu ribattezzata con il nome di Xai Xai.
Xai Xai si trova su una pianura pianeggiante, larga e fertile, sul fiume Limpopo (e ha sofferto notevolmente dopo le inondazioni massicce dell’anno 2000) a circa 200 chilometri da Maputo, capitale del paese. La rinomata spiaggia di Xai-Xai e la laguna distanti dalla città circa 10km, appaiono al visitatore come una cartolina, per la sua soffice sabbia bianca in contrasto con il grandioso spettacolo cromatico offerto dall’oceano indiano con i suoi magnifici colori blu turchese.
VILANCULOS E BAZARUTO
Vilanculos, una piccola cittadina che si estende per pochi km lungo uno dei tratti di costa mozambicana più famosi, che negli ultimi anni si è sviluppata e attrezzata turisticamente mantenendo però l’atmosfera originale del villaggio di pescatori. A soli 5 km dalle sue spiagge, separato da un mare turchese e color giada, si trova, infatti, il paradisiaco Arcipelago delle Isole di Bazaruto. Al presente pop, la cittadina affianca un passato ancestrale: questa è la terra dei Matswas, popolo dalle forti tradizioni, conosciuto ed apprezzato per l’abilità nella pesca. Nel porto vi sono moltissimi pescherecci, vederli rientrare dopo una giornata di pesca è molto emozionante, la spiaggia si affolla di barche, gente, pesce fresco, odori e rumori.
La Riserva Naturale di Vilanculos è sorta per la tutela dell’ambiente marino e costiero ed include la bellissima penisola di San Sebastian, si estende su una superficie di 30.000 ettari incorporando parte della penisola e l’area costiera; comprende un insieme di ecosistemi differenti: laghetti di acqua dolce, foreste di mangrovie, dune sabbiose, estuari, barriera corallina, spiagge incontaminate.
L’Arcipelago di Bazaruto, senza dubbio uno dei luoghi più belli di tutto il continente, famoso per le sue acque cristalline, le spiagge di sabbia sottile, le barriere coralline incontaminate popolate da rarissimi pesci tropicali e i grandi pesci che fanno la gioia dei pescatori. L’area compresa tra la terraferma e la barriera posta a circa 300 m dalla riva è stata dichiarata zona protetta di livello internazionale, diventando Parco Nazionale Marino. Situato a circa 25 Km al largo della costa di Vilanculos L’arcipelago di Bazaruto è composto da un insieme di piccole isole – Benguerra, Magaruque, Bangue, Santa Carolina e Bazaruto – tutte incluse nel Worldwide Fund of Nature.
Uno straordinario ecosistema permette di ammirare, in poche centinaia di metri quadrati di terra e oceano, una sorprendente varietà di specie animali. Tra i quali spicca il dugongo, strano animale che forse non tutti conoscono, un sirenide che si nutre delle alghe che coprono i fondali marini. All’interno, regna la natura incontaminata, tra praterie, laghetti popolati da fenicotteri e barriere coralline. La più grande delle cinque, Bazaruto Island, è considerata un santuario per gli amanti dello snorkeling in Mozambico.
INHABANE E BARRA BEACH
Barra è una delle più belle spiagge di tutta la regione. Ancora poco conosciuto, è un lido fatto di dune sabbiose, mangrovie e boschetti di palme, circondati da pappagalli e scimmiette, un luogo che emana pace e tranquillità, dove ci si dimentica immediatamente dello stress. Le immersioni al largo di Barra offrono alcuni dei siti più spettacolari al mondo. Il caldo reef dell’oceano indiano attira una grande varietà di grandi pesci come Mante, squali balena, mereno, aragoste giganti, mentre il corallo serve da parco giochi per miriadi di pesci più piccoli dai colori sgargianti come Domino’s, pesci Leone, Piovre, pesci Pappagallo, pesci Balestra e pesci dalle incredibili sfumature rosse e dorate.
Inhambane è una città del Mozambico meridionale, capoluogo della provincia omonima. Si affaccia sull’Oceano Indiano nella Baia di Inhambane. Fondata da mercanti di lingua swahili e controllata principalmente da indiani, nel XVIII secolo la città fu un nodo importante nel commercio di schiavi e avorio. Nel 1834 fu distrutta da Soshangane, ma fu presto riedificata; a quest’epoca risalgono alcune delle principali opere architettoniche della città, fra cui la cattedrale e la moschea. Nella città si trovano un museo, un importante mercato (il Mercado Central) e diverse spiagge rinomate, fra cui Tofo e Barra. Il Mercado Central è un vivace mercato dell’artigianato con un’offerta di intagli su legno, dipinti e tante cose che cattureranno il vostro sguardo, mentre l’architettura della città è infinitamente curiosa ed è interessante da ammirare. Grazie alla sua articolata storia potrete osservare il particolare scenario di edifici musulmani, portoghesi e africani che si ergono uno accanto all’altro. Con il suo ricco passato, Inhambane è una delle più antiche e più affascinanti città del Mozambico. Un tempo era uno scalo per i velieri dei mercanti arabi (i dhow), poi, nel XVIII secolo, è diventata un grande porto commerciale incentrato sul traffico di avorio e di schiavi. Distrutta nel 1834, è stata ricostruita ed è diventata una delle più grandi città del paese. Nel XX secolo è caduta in declino, ma si possono scorgere ancora molte dimore coloniali. L’antica cattedrale ubicata sulle rive del mare e la vicina moschea restano luoghi interessanti da visitare.
Inhambane, un corridoio ricchissimo di plancton al largo di Praia do Tofo, è il percorso preferito dagli squali balena: si possono incontrare tutto l’anno, e un loro avvistamento è quasi garantito. La baia di Tofo, sede dell’unica popolazione permanente di squali balena, è uno dei posti che più rimane nel cuore dei viaggiatori: la spiaggia è una lingua dorata su cui si infrangono le vigorose onde dell’Oceano Indiano.
Da un lato, sotto gli alberi, sono accatastate le barche colorate dei pescatori, dall’altro la spiaggia sembra correre via infinita. La spiaggia di Tofo si allunga a semiluna. La sabbia bianca e le acque cristalline sono una calamita per gli amanti delle immersioni che qui vengono a immergersi tra squali balena, chiamati gentili giganti, e il grande numero di mante che si possono osservare tutto l’anno, mante giganti che si muovono sinuose nelle acque oceaniche come fantasmi e possono arrivare a misurare fino a 7 metri. E come non parlare del reef, i giardini di corallo variopinto, gli anemoni colorati, la possibilità di incontrare i grossi pelagici dalle balene agli squali balena, squali di vario genere, delfini e, con un po’ di fortuna è possibile trovare i dugonghi, e molto altro ancora, fanno di questa baia una chicca per la gioia dei fotografi e dei subacquei.
MAPUTO
Maputo, capitale del Mozambico, è sempre stata considerata come una delle città più cosmopolite dell’intera Africa. Una località molto vivace, attiva e dinamica, una delle caratteristiche principali è la presenza di mercati colorati e di persone sempre molto ospitali e disponibili, con il sorriso sulle labbra. Maputo, oltre ad essere affascinante dal punto di vista naturalistico, possiede delle bellezze di alto valore storico, artistico e culturale.
Maputo è una città dai mille volti che vi ammalierà ad ogni passo con il suo fascino esotico e decadente che mischia enormi palazzi di gusto sovietico a villette d’epoca coloniale… Perché qui la storia sembra aver battuto percorsi differenti e le strade si chiamano ancora “Avenida Karl Marx”, “Avenida Lenin”, “Avenida Ho Chi Min” e, naturalmente, “Avenida Samora Machel”, leader della Frelimo e primo Presidente mozambicano. E così, mentre l’imponente cattedrale della Nostra Signora della Concezione imprime la sua bianca silhouette sul cielo, di fronte ad essa la severa scultura del capo della rivoluzione sembra sfidarla.
Interessanti i suoi musei, tra gli altri lo sono particolarmente il Museo di Storia Naturale e il Museo Nazionale d’Arte. Il primo vi accoglierà con il fascino antico di vecchie tecniche di imbalsamazione e collezioni sulla fauna locale che sembrano spuntar fuori da un polveroso tomo di tassonomia. Da non perdere sulle mura esterne dell’edificio il murales firmato dall’artista mozambicano Malangatana. Altri suoi dipinti li troverete nella collezione permanente del Museo Nazionale d’Arte che annovera fra gli altri, opere del grande Alberto Chissano e alcuni pezzi fra i più rappresentativi della moderna scultura mozambicana.
Maputo, oltre ad essere affascinante dal punto di vista naturalistico, possiede delle bellezze di alto valore storico, artistico e culturale. Città multiculturale nella quale convivono popoli estremamente differenti tra loro come indiani, arabi, europei e cinesi, ognuno dei quali nel rispetto più profondo. Uno dei simboli più rappresentativi di Maputo è la Cattedrale Nostra Signora di Fatima, di antica fondazione, molto grande e con uno stile moderno. Dallo stile art decò è invece la Cattedrale dell’Immacolata Concezione, edificio emblematico della città, dal particolare colore bianco, progettato nel 1936 dall’architetto Marcial Freitas e Costa e consacrata nel 1944. Nella città di Maputo si possono visitare diversi edifici e opere d’arte, come la casa di ferro progettata da Gustave Eiffel, e il maestoso monumento a Samora Machel, primo storico presidente del Mozambico. Per gli amanti del verde e della natura, da non perdere una visita al meraviglioso giardino botanico Tunduru, ricco di piante tropicali rare e di edifici molto antichi.
GRAAFF REINET
Situata in posizione riparata in un’ansa del Sundays River e vicinissima al Camdeboo National Park, Graaff-Reinet viene spesso definita il “gioiello del Karoo”. Il nome “Camdeboo”, che in khoekhoen significa “vallate verdi”, è dovuto alle colline che circondano la città che, fondata nel 1786, è il quarto insediamento europeo più antico del Sudafrica. In questa città di 30 mila abitanti tutto sembra rimasto come nell’Ottocento. Non solo l’architettura delle case colorate di Stretch’s Court, della chiesa riformata olandese e del Drostdy Hotel (1806), dove si dorme fra vecchi lampadari e trofei di caccia. Ma anche i ritmi e gli stili di vita. Come se il tempo si fosse fermato tra i massi della Valle della Desolazione, attrazione geologica a pochi chilometri dall’abitato. Graaff-Reinet vanta uno splendido patrimonio architettonico con oltre 220 edifici classificati come monumento nazionale, dagli edifici in stile olandese del Capo con i loro caratteristici frontoni ai tradizionali cottage dal tetto piatto tipici del Karoo, fino alle elaborate ville di epoca vittoriana. Se a tutto questo aggiungete un’atmosfera da cittadina di provincia, un’ottima offerta alberghiera e alcuni eccellenti ristoranti non avrete difficoltà a capire i motivi del suo soprannome.
LESOTHO – MALEALEA
Il rilievo molto montuoso del Lesotho gli vale il soprannome di “Regno nel cielo”. Infatti l’insieme del territorio culmina a 1.300 metri di altitudine, il suo punto culminante è il Monte Thabana Ntlenyana con i suoi 3482 metri a nord-est. La scoperta di questo piccolo paese con i suoi paesaggi montani da favola, una popolazione fiera che conserva tradizioni secolari, in simbiosi con un ambiente aspro e affascinante, è un “must” che non si può perdere.
Il Lesotho si trova nell’Africa australe, all’estremità sudorientale del continente, interamente circondato dal territorio del Sudafrica di cui costituisce un’enclave e da cui dipende in modo pressoché assoluto sia economicamente sia politicamente. Il Lesotho, già protettorato britannico col nome di Basutoland, cioè “terra dei Basuto”, ha tuttavia saputo conservare le proprie caratteristiche etniche e culturali, in ciò favorito dalla natura del Paese, vertice montagnoso dell’Africa meridionale, sui cui aspri altopiani si arroccarono le tribù dei basotho (o basuto), trovandovi la migliore protezione dalle aggressioni dei popoli vicini e salvaguardando l’individualità nazionale. Il villaggio tipico del Lesotho è quello caratterizzato dai kraal, raggruppamenti di costruzioni dove vivono i componenti di una stessa famiglia; ogni costruzione è adibita a un uso diverso, e comprende anche un recinto per gli animali. Il costume tradizionale è una coperta molto colorata, che protegge dal freddo e dalla pioggia; gli uomini indossano il caratteristico copricapo a cono, che secondo la tradizione riproduce la forma del monte Qiloane.La cultura del Lesotho è strettamente connessa alla popolazione dei Basotho. Questa etnia possiede una tradizione musicale e orale particolarmente ricca. La musica e la danza fanno parte della vita quotidiana; tipici sono alcuni strumenti musicali, come il setolo-tolo (strumento a corde che si suona a iato, usato dagli uomini), il thomo (strumento a corde usato dalle donne) e il lekolulo (una sorta di flauto). La manifestazione più importante è il Morija Arts and Cultural Festival, che ha cadenza annuale e si tiene nel mese di ottobre; seguito da un pubblico molto numeroso, propone spettacoli di danza, canto e teatro.
Malealea è un paesino del Lesotho occidentale noto per il magnifico paesaggio montano che lo circonda e per una comunità locale che ha realizzato con successo strutture e servizi turistici di livello davvero eccellente. Molti visitatori entrano in Lesotho e puntano direttamente verso Malealea per avere una autentica introduzione alla vita e alle usanze del paese o semplicemente per seguire il consiglio della targa situata all’ingresso del villaggio, sulla quale si legge “fermati, viandante, e contempla una delle porte del Paradiso”. Questa zona è abitata dall’uomo da secoli, come testimoniano le numerose pitture rupestri dei san rinvenute nei dintorni di Malealea. Oggi il fulcro della vita locale è rappresentato dal Malealea Lodge, che propone una vastissima gamma di attività culturali e sportive all’aria aperta.
UKHAHLAMBA-DRAKENSBERG PARK
Questa regione, che comprende una vasta distesa di ben 243.000 ettari di un meraviglioso scenario dinamico con valli fluviali, torrenti di montagna, scogliere frastagliate, sentieri e paesaggi mozzafiato che attraggono migliaia di turisti ogni anno, è stata formalmente dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel novembre del 2000 e ribattezzata Ukhahlamba-Drakensberg Park. Il parco fa parte della più ampia regione del Drakensberg, che si estende dal Royal Natal National Park (nel nord) a Kokstad (nel sud) e comprende la zona e i campi di battaglia intorno a Estcourt e Ladysmith nonché le Midlands meridionali. Oggi, alcuni dei suoi panorami sono diventati emblematici del Sudafrica, in particolare l’indimenticabile curva dell’Amphitheatre all’interno del Royal Natal National Park. Tra le cime principali figurano il Mont-aux-Sources, il Sentinel, l’Eastern Buttress e il Devil’s Tooth.
L’Ukhahlamba Drakensberg è la più grande catena montuosa in Sud Africa, un luogo davvero magico. Non stupisce che J.R.R. Tolkien abbia visto in questo paesaggio la sua ispirazione per i racconti della Terra di Mezzo chiamate Le Montagne Nebbiose. Drakensberg significa “montagne dei draghi”, ma gli zulu chiamavano questa catena Quathlamba, che vuole dire “bastione delle lance”. Il termine zulu riflette meglio la conformazione geografica della scoscesa scarpata, tuttavia il nome afrikaans riesce a evocare con una certa efficacia l’atmosfera fantastica che pervade il Drakensberg. Queste montagne sono abitate dall’uomo da migliaia di anni – come testimoniano i numerosi siti di pitture rupestri san.
IMFOLOZI GAME RESERVE
La Hluhluwe-Imfolozi Game Reserve, situata nella provincia del KwaZulu-Natal, è un’oasi di protezione dal pericolo di estinzione non soltanto per rinoceronti bianchi e neri, ma anche il resto dei Big Five: bufali, elefanti, leoni e leopardi. Istituita nel 1895, Hluhluwe-Imfolozi è la più antica riserva naturale del continente africano e una delle più estese del Sudafrica, il luogo migliore per incontrare i rinoceronti, poiché accoglie al suo interno la più alta concentrazione al mondo di questi animali. Il parco è gestito dall’Ezemvelo KZN Wildlife, l’ente provinciale preposto alla conservazione dell’ambiente, ed è costituito da due aree distinte.
La regione settentrionale di Hluhluwe è montuosa e ricoperta da boschi, mentre la zona sud di Imfolozi è caratterizzata da un’ondulata savana. Hluhluwe-Imfolozi è un autentico paradiso per gli appassionati di fotografia, che avranno di che divertirsi tra ghepardi, ippopotami, iene, sciacalli, giraffe e cani selvatici, per non parlare della varietà di rettili e anfibi che popolano le rive di fiumi e torrenti: coccodrilli, tartarughe, serpenti, lucertole. La varietà di questo habitat ha attratto oltre 340 diverse specie di uccelli, ivi comprese alcune specie in via di estinzione, quali il falco giocoliere e il bucorvo. Il parco abbina splendidi paesaggi a una fauna inattesa. Oltre ai rinoceronti bianchi e neri, sono molto numerosi anche gli elefanti, il che rende altamente probabili incontri ravvicinati con gli animali terrestri più grandi al mondo, magari mentre attraversano la strada proprio di fronte alla vostra auto oppure scorgendoli mentre si abbeverano al tramonto.
SANTA LUCIA
Oggi usciamo dallo Swaziland e torniamo in Sud Africa, dirigendoci verso la città di Santa Lucia e proseguendo verso sud fino a raggiungere Zululand, un tempo regno del potente Re Shaka che univa i clan Zulu. Questa sera avremo l’opportunità per un’interessante esperienza culturale in cui impareremo di più sulle tradizioni e la lingua Zulu.
Il Regno Zulu, a volte chiamato Impero Zulu, è stato un regno sviluppatosi all’interno del Sudafrica attuale nel XIX secolo grazie all’opera di Shaka Zulu. Il Regno Zulu divenne noto in occidente a causa delle guerre contro i colonialisti britannici. Le regole per la successione nella monarchia Zulù sono assai imprecise, ma per tradizione diviene re il primo figlio della Grande moglie; il re può decidere in qualunque momento quale sia la Grande moglie e anche cambiare idea. Shaka Zulu era uno dei figli illegittimi di Senzangakona, capo degli zulu. Nato verso il 1787, la madre, Nandi, venne esiliata insieme a lui da Senzangakona. Il giovane Shaka divenne un guerriero dei mthethwa, un clan a cui gli zulu pagavano un tributo, dove la madre aveva trovato rifugio, sotto il capo Dingiswayo. Alla morte di Senzangakona, Dingiswayo sostenne il giovane Shaka nel suo tentativo di divenire il capo degli zulu. Shaka riuscì nel suo intento e fu capace di estendere il suo controllo su di un vasto territorio, inglobando clan avversari e spingendo altri popoli fuori dai loro territori ancestrali.
Gli Zulu sono circa 11 milioni e si trovano principalmente nell’area della provincia di KwaZulu-Natal in Sudafrica. Parlano lo isiZulu, una lingua bantu appartenente al sottogruppo nguni. Il loro nome deriva da amazulu, che in isiZulu significa “gente del cielo”. Il Regno Zulu svolse un ruolo determinante nella storia del Sudafrica nel XIX secolo. Durante il regime dell’apartheid, gli Zulu venivano considerati come cittadini di livello inferiore; oggi sono il gruppo etnico più numeroso del paese e godono degli stessi diritti degli altri cittadini sudafricani.
SWAZILAND
Il Regno dello Swaziland, una delle poche monarchie assolute ancora esistenti, è un luogo unico al mondo: se non si fosse certi di trovarsi in Africa ci si potrebbe confondere e pensare di essere in qualche incontaminata zona montana europea, viaggiando sull’orlo dei duemila metri di quota tra lussureggianti pinete. Swaziland, l’ultimo regno assoluto d’Africa! Affascinante, ammaliante ma anche controverso, criptico: quattro aggettivi che descrivono le sensazioni che un osservatore prova visitando lo Swaziland.
Lo Swaziland è uno Stato minuscolo (17mila chilometri quadrati) incastonato dentro al Sudafrica, tra le poche monarchie assolute rimaste al mondo e l’unica del continente africano, governata dal Re Mswati III, 66° figlio dell’ultimo sovrano Sobhuza, popolato da un milione di persone, il 50% dei quali ha meno di quindici anni. Il Regno dello Swaziland rappresenta oggi un anacronismo in un continente che cerca di lasciarsi passato e tradizione alle spalle e avviarsi verso la democrazia.
Lo Swaziland è uno dei più piccoli Paesi africani, ma anche uno dei più affascinanti per gli amanti dell’avventura. Il Regno dello Swaziland (o Ngwane, nome adottato alla proclamazione dell’indipendenza ma poco usato, è situato sul fianco orientale dei monti Drakensberg e confina con il Sudafrica a nord, ad ovest e a sud e con il Mozambico a est; non ha sbocco sul mare. Dista 80 km dall’Oceano Indiano, ed è fra i pochi in Africa ad avere una composizione etnica omogenea, con gli Swazi che sono il 90% della popolazione. Il territorio è montuoso ad ovest, diventa pianeggiante nella parte centro-orientale. Artefatti che indicano attività umana risalenti all’età della pietra risalenti a 200.000 anni fa sono stati rinvenuti nel Regno dello Swaziland. I dipinti preistorici di arte rupestre risalgono a circa il 25.000 a.C. I primi abitanti della zona erano cacciatori-raccoglitori di Khoisan. Le prime popolazioni furono boscimani e ottentotti. Furono in gran parte sostituiti dalle tribù Bantu durante le migrazioni che provenivano dalle regioni dei Grandi Laghi dell’Africa orientale. Nel XVII secolo i bantu cacciarono i boscimani dando origine agli odierni swazi.
Il fascino dello Swaziland deriva dalla sua storia singolare. Durante le guerre anglo-boere in Sudafrica tra il 1899 e il 1902 il popolo Swazi ha scelto di sostenere gli inglesi e ciò gli è valso una relativa autonomia divenendo un protettorato britannico. Tale condizione gli ha permesso di mantenere il suo sistema monarchico feudale basato su proprie radicate tradizioni. Nel 1968 lo Swaziland ha ottenuto l’indipendenza senza alcuna guerra pur restando membro del Commonwealth e non ha mai conosciuto alcun conflitto interno, caso più unico che raro nel continente africano. Il segreto di questa stabilità è dovuto in parte ad un altro fattore: il suo popolo è composto da un solo gruppo etnico, gli Swazi che derivano dagli Zulu e dai Ndebele.
L’orgoglio swazi e l’affezione alle proprie tradizioni si manifestano ancora oggi. Una delle cerimonie più importanti per il popolo swazi, durante la quale il sovrano di una delle ultime monarchie assolute al mondo sceglie la nuova sposa tra migliaia di vergini, provenienti da ogni angolo de paese. Ogni anno migliaia di giovani donne sfilano per omaggiare re Mswati III, attuale sovrano dello Swaziland e ultimo monarca assoluto d’Africa, nel primo giorno dell’Umhlanga o “danza delle canne”.
In questa occasione le giovani vergini del regno si radunano nelle zone limitrofe alla residenza della regina madre Indlovukazi, non molto lontano dalla capitale Mbabane. Per una settimana compiono una serie di riti, tra cui una danza finale in costumi tradizionali, con il seno scoperto, portando delle canne da utilizzare per rafforzare la recinzione del palazzo reale, che prevede una sfilata di fronte al re, alla fine della quale egli può scegliere tra le ballerine di età compresa tra gli 8 e i 22 anni, che si andrà ad aggiungere alle altre 15 consorti.
PANORAMA ROUTE
L’itinerario della Panorama Route si snoda dall’impervia catena montuosa dei Drakensberg fino al Kruger National Park, toccando il punto panoramico di God’s Window e le splendide Bourke’s Luck Potholes, fenomeno geologico unico con spettacolari cavità nella roccia nel punto d’incontro tra i fiumi Treuer e Blyde. Le giganti sculture rocciose cilindriche sono il risultato dei forti mulinelli d’acqua che si creano quando il fiume Treuer si immerge nel fiume Blyde. Qualcosa di straordinario, tanto da sembrare artificiali! Non di meno il “God’s Window” (“la finestra di Dio”) da cui, come suggerisce il nome, si gode di un panorama particolarmente suggestivo, le cascate Mac Mac e il Blyde River Canyon: un susseguirsi di ruscelli di montagna, colline ondulate, cascate spettacolari e imponenti gole montuose. Il Blyde River Canyon è il terzo canyon più grande del mondo con i suoi 26 km di lunghezza e 800 metri di profondità. Maestose montagne, profonde gole, imponenti cascate e splendide formazioni rocciose danno prova della bellezza della natura. Si trova nella parte settentrionale dei monti Drakensberg, ed è costituito principalmente di pietra arenaria. Il canyon è stato scavato nel corso dei millenni dai fiumi Blyde e Olifants. Fra i luoghi più celebri del canyon ci sono le “Three Rondavels”, con le sue formazioni rocciose che si innalzano per 700 metri. La parola “rondavels” è un’espressione gergale sudafricana per indicare le capanne circolari con tetto di paglia dei villaggi. Queste tre formazioni cilindriche di scisto e quarzite nell’iconografia xhosa dovrebbero ricordarle. Ogni rondavel ha un proprio nome, che corrisponde a quello delle tre mogli di uno storico capotribù locale: Magabolle, Mogoladikwe e Maseroto. Le tre cime sono gigantesche e si ergono a picco sul sottostante canyon del fiume Blyde, che scorre sinuoso circa 1000 metri sotto, aprendosi poco più avanti in un lago montano.
BLYDE RIVER CANYON
Il maestoso Blyde River Canyon, una delle più celebri meraviglie naturali del Sudafrica, è il terzo canyon più grande del mondo con i suoi 26 km di lunghezza e 800 metri di profondità. Si trova nella parte settentrionale dei monti Drakensberg, ed è costituito principalmente di pietra arenaria. Il canyon è stato scavato nel corso dei millenni dai fiumi Blyde e Olifants .. Percorrendo il ciglio superiore di questo canyon si incontra il Pinnacle, una gigantesca roccia a forma di colonna. Più a nord ci sono due spettacolari punti panoramici: Wonder View e God’s Window, così chiamati perché effettivamente la grandiosità del panorama del sottostante Lowveld ha qualcosa di divino. Subito dopo si incontrano due suggestive cascate: le Berlin Falls e le Lisbon Falls. Proseguendo verso nord c’è il Three Rondavels, formazioni rocciose di grandi dimensioni, caratterizzate da una forma tronco-conica che le fa rassomigliare alle capanne africane da cui prendono il nome.
DANZA NGOMA
Africa: terra di danze tribali, riti e tradizioni arcaiche. Un numero infinito di ritmi e generi musicali affonda le radici in questo continente. Il Sudafrica, con la sua travagliata storia fatta anche di segregazione razziale, è un esempio della varietà culturale di questa parte del mondo. Come per tutti i popoli africani, enorme è l’importanza della musica e della danza per gli zulu – il gruppo etnico più numeroso del Paese – che, con la fine dell’apartheid nel 1994, hanno recuperato il proprio diritto di cittadinanza sudafricana.
Tipica del Sudafrica è la danza Ngoma (presente anche in altri stati dell’area), una delle più coinvolgenti per la popolazione dei villaggi. E’ la tipica danza tribale, descritta tra l’altro da Karen Blixen nel celebre libro “La mia Africa”, che rappresenta anche un evento ricco di significati per la comunità, e si svolge in cerchio con l’accompagnamento di tamburi e altri strumenti con lo stesso nome. Caratteristica di questa danza rituale è lo strettissimo legame tra canto e danza; corpo e voce sono tutt’uno, insieme alle percussioni, ai costumi e ad altri eventuali accessori come lance e scudi. Naturalmente esistono molte versioni di questo tipo di danza, i cui movimenti vanno inseriti nel contesto dei riti tribali.
MATIMBA BUSH LODGE
Il Matimba Bush Lodge è collocato perfettamente a meno di 5 minuti dall’ingresso del Kruger NP in un’area naturale dell’Hans Merensky Golf Course, con vista sul laghetto denominato Mala Mala. Numerosi animali come Ippopotami, coccodrilli giraffe antilopi e molti uccelli come la bellissima aquila pescatrice sono di casa donando alla struttura un’atmosfera magica e rilassante.
Matimba bush lodge offre una sistemazione di classe ed e’ una perfetta destinazione sia a chi vuole cimentarsi con il golf, sia a chi vuole invece esplorare il Kruger e le aree limitrofe ma anche a chi vuole trascorrere alcune ore rilassanti in riva al lago in compagnia dei suoi abitanti. Solamente 4 camere, eleganti, arredate con cura e molto spaziose: si tratta di una soluzione davvero straordinaria ed in grado di offrire il massimo del relax, soggiornando in mezzo al bush ma senza dover rinunciare alle comodità di un servizio ricercato. Il grande spazio verde antistante offre una bella piscina con vista sul lago, un deck panoramico e molto altro ancora.
Matimba è una struttura di proprietà italiana, piccola, intima, decisamente ricercata: i proprietari italiani (Alberto e Daniela) vi faranno sentire a casa vostra.
Le belle camere sono affacciate direttamente sul lago antistante il lodge, ed i panorami di cui si può godere sono veramente rilassanti ed al tempo stesso emozionanti: non è rado ricevere la visita di giraffe, zebre ed altri animali del bush. Tutto nel lodge è curato in modo maniacale, e la grande esperienza “africana” dei proprietari rende il soggiorno veramente unico.
MPUMALANGA (BLYDE RIVER)
‘Il luogo dove il sole sorge!’ Formalmente conosciuto come Transvaal orientale, Mpumalanga è considerato uno dei luoghi più geograficamente diversi e incredibilmente bello in Sud Africa e, nonostante sia una delle più piccole tra le province del Sudafrica, ciò che manca in termini di dimensioni viene compensato con la spettacolare varietà naturale e possiede anche una vasta gamma di siti storici e di meraviglie naturali. Il Mpumalanga ospita il parco nazionale più famoso del mondo, il terzo canyon più profondo al mondo, e il sistema di caverne piu’ antiche del mondo, la provincia è anche costellata da numerose riserve ricche di flora e fauna. La provincia comprende due ben distinti tipi di paesaggio: la spettacolare topografia della grande scarpata e la macchia del bassopiano. Quattro miliardi di anni fa l’Antartide e il Madagascar si sono separati dal Blyde River Canyon del Mpumalanga, lasciando dietro di sé un paesaggio spettacolare che sale verso le montagne del nord-est e termina in una enorme scarpata che scende a picco verso la pianura sottostante.
Ed è in questa provincia che si trovano alcune delle più belle riserve del Sudafrica e parte del famosissimo Kruger National Park, oltre al maestoso Blyde River Canyon, una delle più celebri meraviglie naturali del Sudafrica. Percorrendo il ciglio superiore di questo canyon si incontra il Pinnacle, una gigantesca roccia a forma di colonna. Più a nord ci sono due spettacolari punti panoramici: Wonder View e God’s Window, così chiamati perché effettivamente la grandiosità del panorama del sottostante Lowveld ha qualcosa di divino. Subito dopo si incontrano due suggestive cascate: le Berlin Falls e le Lisbon Falls. Proseguendo verso nord c’è il Three Rondavels, formazioni rocciose di grandi dimensioni, caratterizzate da una forma tronco-conica che le fa rassomigliare alle capanne africane da cui prendono il nome.
Altra zona di interesse è Pilgrim’s Rest, un antico villaggio minerario ottocentesco, dichiarato monumento nazionale che è oggi un buon posto per lo shopping di articoli di artigianato ed una buona base per iniziare un percorso di bird-watching. Proseguendo troviamo ancora Graskop situata a quasi 1500 mt di altitudine offrendo così meravigliosi panorami e Sabi, centro principale dell’industria forestale sudafricana ed ottima base per l’esplorazione dell’area e delle meraviglie naturali circostanti..
Il Blyde River Canyon è il terzo canyon più grande del mondo con i suoi 26 km di lunghezza e 800 metri di profondità. Si trova nella parte settentrionale dei monti Drakensberg, ed è costituito principalmente di pietra arenaria. Il canyon è stato scavato nel corso dei millenni dai fiumi Blyde e Olifants.Fra i luoghi più celebri del canyon ci sono “Three Rondavels”, con le sue formazioni rocciose che ricordano le capanne dei popoli locali (rondavels è il termine afrikaans per “capanna”) e “God’s Window” (“la finestra di Dio”) da cui, come suggerisce il nome, si gode di un panorama particolarmente suggestivo.
La Timbavati Nature Reserve è stata creata negli anni 1950 dai fattori desiderosi di fare dei loro territori un unico terreno di caccia. Il fiume Nhlaralumi, spesso a secco, attraversa i 65 000 ha di savana, dove crescono principalmente mopani. Timbavati è un’esclusiva riserva privata del Kruger centrale, salita agli onori delle cronache per i leggendari leoni bianchi immortalati da Chris McBride negli anni ‘70 (The white lions of Timbavati). Grande abbondanza di animali, tra cui elefanti, rinoceronti, leoni, leopardi e iene.
PARCO DEL KRUGER
Il Sudafrica possiede all’incirca 600 tra riserve e parchi nazionali e vanta una varietà di flora (con 24.000 specie di piante pari a circa il 10% del totale mondiale) e di fauna che non ha confronti al mondo. Incontaminati e selvaggi, i parchi si presentano come meravigliosi paradisi senza tempo dove la natura regna sovrana. Visitarli è un’esperienza unica e indimenticabile che permette di vedere un’immensa varietà di specie che vivono protette nel loro habitat naturale e che seguono solo i ritmi e le regole dettate dal proprio istinto. Qui convivono i mammiferi più grandi del pianeta.
Situato nel Mpumalanga, al confine con il Monzambico, il Kruger National Park nasce nel 1898 per volere dell’allora presidente Paul Kruger da cui appunto prende il nome. Si tratta del parco più importante ed esteso dei 18 Parchi nazionali del Sudafrica e del secondo più antico del mondo dopo Yellowstone negli Stati Uniti. Chiamato dagli abitanti il “wildtuin” (giardino selvaggio), copre circa 20.000 chilometri quadrati con un’estensione di 350 km da nord a sud e 67 km da est a ovest è la riserva naturale più estesa del Sudafrica, terza in tutto il continente africano. Recentemente, il Kruger è entrato a far parte del Parco transfrontaliero del Grande Limpopo, che lo unisce al Parco nazionale di Gonarezhou dello Zimbabwe e al Parco nazionale del Limpopo del Mozambico. Il parco appartiene alla “Kruger to Canyons Biosphere”, una zona designata dall’UNESCO come Riserva Internazionale dell’Uomo e della Biosfera. Il Kruger ospita tutti i membri del gruppo dei big five con una cifra stimata di 2500 bufali, 1000 leopardi, 1500 leoni, 5000 rinoceronti (sia neri che bianchi) e 12000 elefanti. L’espressione “big five”sta a indicare i cinque grandi animali della savana: elefante, leone, leopardo, rinoceronte e bufalo. L’origine viene dal safari inteso come battuta di caccia, e i big five erano le 5 prede più ambite dai cacciatori, i 5 trofei più prestigiosi.
Altri mammiferi presenti nel parco includono zebre, ghepardi, licaoni, giraffe, kudu, ippopotami, impala, molte specie di antilopi, iene, facoceri, gnu e tanti altri. Nel parco si trovano inoltre 120 specie di rettili (tra cui circa 5000 coccodrilli) e molte specie di serpenti (mamba nero incluso), 52 specie di pesci, e 35 di anfibi oltre a 500 diverse specie di uccelli, alcune residenti, altre migratorie o nomadi.
Il Kruger Park è suddiviso in 6 ecosistemi con diversi tipi di vegetazione, dai fitti boschi di acacie e sicomori del sudovest alla savana della regione centrale. Complessivamente, il parco ospita circa 1.900 specie di piante.
L’interazione dell’uomo con l’ambiente che si è avuta qui nel corso di molti secoli risulta evidente dalle pitture rupestri dei Boscimani e dai maestosi siti archeologici, come Masorini e Thulamela. Tesori di storia e cultura, conservati gelosamente insieme a tutti gli altri beni naturali del parco. Oggi il Kruger è anche un validissimo centro di ricerca e di conservazione del patrimonio naturale, che in larga parte si autofinanzia.
Per tutta l’area del Kruger sono state completamente vietate costruzioni ed insediamenti, ad eccezione di piccole ed isolate aree in cui l’amministrazione del parco ha creato delle zone destinate ad ospitare i visitatori (potremmo definirle l’equivalente di ciò che sono gli autogrill in una grande autostrada verde).
OUDTSHOORN – CANGO CAVES
Ai piedi della catena Swartberg, le Cango Caves sono la vera e propria meraviglia sotterranea del Klein Karoo. Le Cango Caves costituiscono una delle maggiori attrazioni del paese per le loro surreali formazioni di stalattiti e stalagmiti, originate dai depositi di carbonato di calcio e dalla natura carsica del suolo che 650 anni fa era sommerso dal mare. Una delle attrazioni più popolari del Sud Africa, le grotte risalgono a milioni di anni fa e le formazioni calcaree che troverete all’interno sono affascinanti. Passeggerete attraverso pareti di calcare, stalagmiti e stalattiti, che si possono visitare con un facile percorso standard di un’ora attraverso tunnel che sfociano in vasti saloni con formazioni torreggianti e con grotte di stalattiti e stalagmiti, sapientemente illuminate da suggestivi effetti di luce.
Oudtshoorn una piccola cittadina sulla Route 62, è situata nella regione del Klein Karoo, a 55 km dalla città costiera di George, inserita in un paesaggio caratterizzato da ampi spazi e fertili vallate racchiuse da due catene montuose: Swartberg a nord e Outeniqua a sud. La cittadina, fondata nel 1839 deve il suo nome al barone Pieter van Rheede van Oudtshoorn che era Governatore della Provincia del Capo nel 1772.
Oudtshoorn è famosa per il clima particolarmente favorevole, con estati calde e secche e inverni miti e soleggiati. E’ conosciuta anche come “Capitale Mondiale delle Piume”, a causa dell’intensiva attività di allevamento degli struzzi.
GARDEN ROUTE
Strana strada, la Garden Route. Una striscia d’asfalto tortuosa che arranca per 400 chilometri da Mossel Bay fino a Port Elizabeth, tra spiagge battute dal vento, solitari passi montani, lagune e foreste intricate come una giungla primordiale. Una strada dove ogni bivio è una tentazione. Perché se dalla Garden Route ci si spinge verso l’interno, ci si accorge che in questa striscia di terra c’è tutto il Sudafrica. Quello delle immense spiagge candide e quello colorato di fiori dove le montagne sono lame scure che tagliano la terra in due: da un lato la foresta, dall’altro il deserto.
Ciò che la rende unica sono la varietà dei paesaggi, della fauna, della vegetazione e delle molteplici attività che si possono svolgere ovviamente all’aperto. Boschi, fiumi, lagune, scogliere a picco sul mare, spiagge bianche e deserti, tutto in 400 km di strada. Non è un caso che la Garden Route sia considerata un’esperienza imperdibile da chi visita il Sudafrica. La varietà dei paesaggi, della vegetazione e della fauna, la rendono una straordinaria sintesi dell’accecante bellezza naturale del Paese. Così come il susseguirsi dei centri abitati, tra eleganza coloniale, offerte turistiche di alto livello, e township eredità dell’apartheid, raccontano l’enorme complessità che caratterizza ancora la società sudafricana.
TSITSIKAMMA NATIONAL PARK
Valli, spiagge, montagne… e ancora, centinaia di animali e attività all’aperto: questa è solo una parte di quello che vi aspetta in una delle riserve naturali più grandi di tutto il Capo Orientale. Il Parco nazionale Tsitsikamma incarna il lato più selvaggio e autentico della natura, è un vero e proprio paradiso terrestre, fatto di sconfinate valli, maestose montagne e spiagge da cartolina. Tra panorami mozzafiato, sport e attività all’aperto le alternative non mancano di certo! Garden of the Garden Route», questo è il motto dello Tsitsikamma National Park, che si si snoda lungo circa 80 km di costa rocciosa e comprende un braccio di mare antistante la costa, una delle più estese aree marine protette del mondo, la più antica del Sudafrica, penetrando nelle terre fino ai piedi dei monti Tsitsikamma. Tra mare e montagna, l’immensa foresta primaria ricca di alberi centenari e felci è attraversata dal profondo letto dei fiumi. I 42 km costieri dell’Otter Trail consentono agli escursionisti di ammirare la ricchezza faunistica e di scorgere una di quelle lontre marine che hanno dato il nome al sentiero. Il nome del parco significa “luogo con tanta acqua” in lingua khoisan; inclusa nel parco si trova, tra l’altro, la foce del fiume Storms. Il parco È un’importante meta turistica lungo la strada Garden Route; vi si possono avvistare balene, delfini, lontre, antilopi e numerosissime specie di uccelli. La vegetazione varia da foreste di sempreverdi a felci, gigli, orchidee e fynbos marini, compresa la protea. Nella foresta dello Tsitsikamma si trova l’imponente albero di Outeniqua Yellowwood, di 36 m di altezza.
GREATER ADDO ELEPHANT NATIONAL PARK
Il parco nazionale Addo Elephant, uno dei venti parchi nazionali del Sudafrica, e molto probabilmente l’unico parco al mondo a ospitare i cosiddetti Big 7 (“i grandi 7”): elefante, rinoceronte, leone, bufalo, leopardo, balena e squalo bianco. Il parco Addo Elephant propriamente detto copre una superficie complessiva di 1.480 km².
Recentemente, al parco sono state unite altre due riserve, il Woody Cape Nature Reserve (dalla foce del fiume Sundays fino ad Alexandria) e una riserva marina che include St. Croix Island e Bird Island e ospita, tra l’altro, la seconda più grande colonia di pinguini africani. L’insieme dell’Addo e di queste due riserve aggiuntive ha un’area di 3.600 km² e prende il nome di Greater Addo Elephant National Park. Prima dell’avvento dei coloni europei, gli elefanti erano diffusi in quasi tutta la parte meridionale del Sudafrica; furono gradualmente cacciati per far posto alle coltivazioni. All’inizio del XX secolo la caccia si intensificò e la strage di pachidermi finì per interessare l’allora nascente movimento della “protezione animali”. Nel 1931, quando fu istituito il Parco, si contavano appena 11 elefanti sopravvissuti; questi esemplari furono protetti all’interno del nucleo originale dell’Addo (che assomigliava più a uno zoo che a un parco naturale, poiché era completamente recintato). Da questa zona iniziale, l’area del parco venne gradualmente estesa, a partire dall’inclusione dei monti Zuuberg.
Oggi il parco ospita oltre 420 elefanti, 450 bufali del Capo, una trentina di zebre, una quindicina di rinoceronti neri (di una sottospecie keniota, qui introdotti nei primi anni sessanta), centinaia di facoceri e una grande varietà di specie di antilopi, tra cui molti kudu e ghepardi. Recentemente sono stati introdotti nel parco leoni e iene maculate. Vi si trova anche una specie endemica di scarabeo stercorario incapace di volare, il Circellium bacchus. Gli elefanti femmina del parco Addo sono sprovvisti di zanne. Questa caratteristica è dovuta al ristretto bacino genetico da cui la popolazione degli elefanti dell’Addo discende (11 esemplari), e dal fatto che questa popolazione originaria era costituita dagli ultimi individui risparmiati dai cacciatori, proprio a causa delle dimensioni ridotte delle loro zanne.
PORT ELIZABETH
Tra le città portuali del Sud Africa più importanti, Port Elizabeth è una deliziosa città balneare che si affaccia sulla parte ovest dell’Algoa Bay. La storia della città ha visto alternarsi diversi colonizzatori: prima i portoghesi che si appropriarono della baia di Algoa come stazione di rifornimento per le navi, poi arrivarono gli olandesi che finirono per controllare la fascia costiera meridionale del Sudafrica, rendendo Port Elizabeth il confine orientale della Colonia del Capo. Poi nel 1799 arrivarono gli inglesi che vi costruirono il fortino di Fort Frederick per difendere da un possibile arrivo dei francesi. E’ così che il luogo prese il nome di Port Elizabeth in onore della moglie della governatore inglese Sir Rufane Donkin. Al suo nome si ispira il nome della collina che ospita il centro storico, ricco di edifici dallo stile vittoriano, alternandosi ad edifici moderni e grandi parchi. Molto interessanti il Museo d’Arte Metropolitano Nelson Mandela e il Prince Alfred Memorial, entrambi nel parco di St George, il più antico parco di Port Elizabeth e il famoso faro che guidava una volta le navi a Algoa Bay, ora contrassegnato da una maestosa piramide.
Port Elizabeth, non ha solo splendide spiagge, interessanti musei e pluri-premiate destinazioni faunistiche, ma è anche chiamata la Città dell’Amicizia per la gentilezza e affabilità dei suoi abitanti. Polo industriale e culturale, è sede di diversi stabilimenti automobilisti e della prestigiosa università Nelson Mandela Metropolitan University, ma anche di tantissime attrazioni turistiche.
TWYFELFONTEIN
Twyfelfontein, autentico museo a cielo aperto, dichiarato monumento nazionale per la presenza di incisioni e pitture rupestri risalenti probabilmente a circa 6000 anni fa, ha la più grande concentrazione della Namibia di incisioni su roccia risalenti all’età della pietra. Si ritiene che la maggior parte di queste incisioni, scolpite nella dura patina superficiale dell’arenaria, furono realizzate dai cacciatori San (boscimani). I San ed i Khoi-khoi, antichi abitanti di queste terre, raccontarono le loro avventure sulle pareti rocciose di questa terra ostile: vere e proprie gallerie a cielo aperto ci mostrano questi graffiti che ritraggono leoni, giraffe, elefanti, struzzi e rinoceronti con tutte le gamme del rosso, giallo, ruggine ed ocra. Nelle grotte del Brandberg sono state rinvenute 43.000 incisioni rupestri, le meglio conservate delle quali si trovano nella Tsisab Ravine: la più nota è la “Dama Bianca” che si trova nella grotta di Maack e risale a 16.000 anni fa. La foresta pietrificata, situata circa 45 km a ovest di Khorixas, è il più grande accumulo di tronchi fossili dell’Africa meridionale. I tronchi sono in un ottimo stato di conservazione e sono stati dichiarati monumento nazionale. L’ampia pianura è cosparsa da tronchi pietrificati lunghi fino a 30 m con una circonferenza di 6 che risalgono a 260 milioni di anni fa. Privi di rami e di radici, si ritiene che siano stati trasportati da una gigantesca alluvione al termine dell’era glaciale. La maggior parte dei fossili, molti dei quali parzialmente sepolti nell’arenaria e altri pietrificati nella silice appartengono a sette differenti tipi di piante del tipo Dadoxylon arberi Seward, una conifera appartenente all’ordine Cordaitales, ora estinto, della classe delle Gymnospermae, a cui oggi vengono classificate le conifere, le cicadacee e le welwitschie, curiosa pianta rara, tipica del deserto del Namib.
KAOKOLAND
Il Kaokoland è una delle zone più incontaminate dell’Africa meridionale. Conta circa 16.000 abitanti (5.000 dei quali di etnia Himba) e ha una densità di popolazione che è un quarto della media nazionale della Namibia, che è già di suo tra le più basse al mondo. Meta di diversi itinerari turistici per osservare la fauna selvatica, il Kaokoland è visitato soprattutto per la popolazione di elefanti che si sono adattati a sopravvivere nel deserto comportandosi in modo particolarmente rispettoso dell’ambiente.
Caratterizzati da zampe particolarmente grandi, gli elefanti con habitat nella steppa arida del Kaokoland hanno sviluppato l’estrema capacità di resistere a periodi di siccità trovando sostentamento tra le scarse risorse disponibili. Branchi di elefanti si aggirano ogni giorno per centinaia di chilometri alla ricerca di vegetali e di pozze d’acqua residua negli alvei asciutti dei fiumi che, nei periodi di siccità, riescono a scavare nel sottosuolo. Altri animali selvatici liberi nella natura incontaminata sono i rinoceronti neri (reintrodotti dopo l’estinzione), giraffe, zebre di montagna, orici, kudu, springbok, struzzi.
WATERBERG PLATEAU
Conosciuto in lingua hereo come l’Oueverumue o “porta stretta”, Il Waterberg Plateau National Park è un parco nazionale della Namibia orientale, l’unico parco montano, e, pur non essendo molto grande, è davvero un ambiente incantevole.
Il parco è un’oasi di pareti rocciose caratterizzato da un colore rosso mattone, tipico della roccia arenaria, e da una grande varietà di flora e fauna, che offrono un incredibile spettacolo naturale E’ formato da un’altopiano di arenaria che si erge 150 metri al di sopra della pianura. L’acqua piovana viene assorbita dall’arenaria fino a scendere lungo le pareti verticali dell’altopiano dove si creano delle oasi lussureggianti.
E’ uno dei siti geologici più interessanti della Namibia, dove specie minacciate dall’estinzione vengono protette e reinsediate; nel 1972 è stato dichiarato area protetta e tutelata per la riproduzione di specie a rischio di estinzione. La cima dell’altopiano, che può essere visitato solo con guide e veicoli del parco nazionale, è l’habitat di molte specie rare tra cui il rinoceronte nero o bianco, il leopardo, l’antilope nera o roana, il ghepardo, più di 200 specie di uccelli, tra cui l’unica colonia di avvoltoi del Capo della Namibia che vive sulle cime di Okarakuvisa, che dominano il plateau; nel parco sono registrate inoltre circa 500 specie diverse di piante.
MONTAGNE DEL CEDERBERG
Nelle montagne del Cederberg, si trova un lago artificiale molto suggestivo: il Clanwilliam Dam, circondato da grandi piantagioni di agrumi e percorso da una strada panoramica sterrata dalla quale si possono ammirare paesaggi mozzafiato. Tra la costa e le montagne si estende lo Swartland, una regione caratterizzata da colline coltivate a frumento e vigneti.
Lo Swartland (“terra nera”) prende il nome da un tipo di vegetazione autoctona a rischio di estinzione chiamata “renosterveld” che, durante i mesi estivi, assume una colorazione grigio scura. All’inizio della primavera (tra agosto e settembre) questa zona si accende di vivaci colori, con il veld che si ricopre di un tappeto di meravigliosi fiori selvatici.
L’area è stata dichiarata Wilderness Area nel 1973 e comprende circa 71.000 ettari di selvaggio territorio montagnoso, rinomato per il suo spettacolare paesaggio e le bizzarre formazioni rocciose. Le montagne più alte della catena si avvicinano ai 2000 metri, la cima dello Sneeukop, la vetta più alta, raggiunge i 2070 metri. Spesso durante l’inverno le cime più alte della catena sono innevate. Il Cederberg è il paradiso degli escursionisti, molti sono i sentieri di trekking da poter percorrere in questa zona selvaggia.
ORANGE RIVER
La sorgente dell’Orange si trova nelle montagne Drakensberg al confine fra il Sudafrica e Lesotho, a 193 km dall’Oceano Indiano e oltre 3000 m d’altitudine. Sono ignoti i nomi degli Europei i quali giunsero per primi alle sponde dell’Orange, nel suo tratto più vicino al mare. In seguito alle prime incursioni nel Piccolo Namaqualand (1685, 1704, 1705) e alla scoperta di giacimenti di rame, esploratori e cacciatori movendo all’intorno portarono notizia del grande fiume settentrionale. Soltanto nel 1761, a riconoscerlo, venne inviata dal governo olandese del Capo una spedizione comandata dal capitano E. Hop, che peraltro si limitò ad attraversare il fiume e a seguirlo per breve tratto. Esso era indicato dagli Ottentotti col nome di Garib (grande acqua), dagli Europei con quello corrispondente di Groote-Rivier (grande fiume).
Del corso medio-superiore ebbe prima notizia da indigeni il naturalista svedese Andrea Sparrman, durante la sua esplorazione degli Sneeuw Bergen (1776). Sulle sue indicazioni R. J. Gordon raggiungeva il “grande fiume” e gli dava l’odierno nome in onore del principe di Orange (1777). La foce fu esplorata nel 1779 dal Gordon stesso e da W. Paterson. Altre esplorazioni del basso corso furono fatte dal naturalista Fr. Le Vaillant (1781-1785).
Il maggiore corso d’acqua dell’Africa australe; si svolge con larghe divagazioni in direzione da E. a O. attraversando quasi tutta la fascia del continente compresa fra i paralleli 28° e 31° Sud. ll bacino è anche molto esteso, ma di difficile determinazione nei suoi limiti, poiché vi si possono aggregare vaste superficie aride o semiaride, prive in realtà di scolo superficiale. Comunque, l’estensione media supera 1 milione di kmq. Il ramo sorgentizio principale, il Senku, ha origine a oltre 3000 m. s. m. nel fianco meridionale del Mont-aux-Sources. Corre quindi a sud-ovest, ricevendo da sinistra i primi affluenti dai M. dei Draghi e da destra quelli minori dei M. Maluti; poi volge a O. ed entra nella grande piattaforma, essendo sceso a 1600 m. s. m. in poco più di 300 km. di corso. Circa 70 km.
più a valle l’Orange è raggiunto dal primo dei grandi affluenti di destra, il Caledon, pur esso originato dal Mont-aux-Sources (ma sul versante occidentale) e ricco di acque perenni. Dopo altri 350 km. di corso, prima verso SO. poi con un brusco gomito a NO., l’Orange riceve l’altro ancor maggiore affluente, il Vaal, sceso dai M. dei Draghi settentrionali e lungo a sua volta circa 1200 km. Negli ultimi 800 km del suo corso riceve numerosi altri affluenti, (quasi tutti dalla scarsa portata e secchi nelle stagioni calde). Dopo la confluenza del Hartebeeste il paese intorno tende a rialzarsi e il fiume deve farsi strada con successivi gradini sul livello del mare, dando luogo anche alle “cento cascate” dell’Augrabies Falls National Park., con un dislivello di 120 m. in 25 km.
NAMIB NAUKLUFT NATIONAL PARK
Attraverso paesaggi che mutano continuamente in un territorio stupefacente e vario: spazi sconfinati e dune che entrano nel mare, paesaggi dolci e poi drammatici e aspri, savane e montagne, raggiungeremo l’accampamento al limite con il deserto del Namib. Il Namib è uno dei più antichi deserti del mondo; conta la veneranda età di 43 milioni di anni e il suo nome significa ‘il nulla’. Si estende per 1600 Km lungo la costa e per altri 500 Km verso l’interno. In nessun altro luogo al mondo esistono paesaggi così desolati e al tempo stesso così affascinanti.
Le dune del deserto del Namib sono “scappate” in un momento di ira divina. Così vuole la leggenda. In realtà questo è uno dei punti più suggestivi della Namibia. Se la rabbia di Dio ha un colore, allora non può essere che un arancione che a tratti sconfina nel rosso, a tratti s’aggrappa al giallo. È il colore delle dune del deserto del Namib. Perché – almeno così dicono – Dio creò la Namibia in un momento di rabbia. E pur con tutta l’ira divina non si può certo dire che la Namibia e il deserto del Namib siano venuti male, e non c’è dubbio che le dune del Namib siano tra gli spettacoli naturali più insoliti al mondo. Soprattutto quando sono seminascoste dalla nebbia. Strano o no, ma qui – nel deserto del Namib – può capitare di “navigare” nella nebbia. Di strano ci sono anche gli animali – elefanti, leoni, giraffe e rinoceronti, per esempio – non propriamente tipici di un deserto.
Fra le specie vegetali più insolite si deve citare la Welwitschia mirabilis, dotata solo di due foglie, che possono arrivare a diversi metri di lunghezza, perché crescono durante tutta la vita della pianta, che in alcuni esemplari si ritiene possa superare i 2000 anni. A causa delle loro caratteristiche uniche, le Welwitschia furono citate da Charles Darwin come “l’ornitorinco del regno vegetale”. Una zona particolarmente ricca di esemplari di questa specie è la Moon Valley, un complesso di formazioni rocciose modellate dal corso del fiume Swakop
BRANDBERG
Il Massiccio Brandberg è il più alto rilievo della Namibia; il punto più alto si chiama Königstein (2573 m). Il nome Brandberg in Tedesco e Afrikaans significa “montagna di fuoco” e fu dato al massiccio a causa del brillante aspetto color ruggine che esso assume al tramonto del sole. I Damara lo chiamano Daures che significa “la montagna che brucia” mentre per gli Herero è Omukuruvaro, cioè “la montagna degli dei”. Geologicamente il Brandberg è un’intrusione granitica che dà luogo ad un rilievo a forma di cupola. La regione del Damaraland è costellata di montagne erose, colline e alture costituite da rocce granitiche. Queste strutture granitiche erano antiche camere magmatiche formatesi milioni di anni fa quando l’attività vulcanica sotterranea era piuttosto comune nella parte più meridionale dell’Africa. Nel corso dei millenni i depositi magmatici si sono raffreddati e sono stati esposti dalle forze di erosione. Tuttavia il Brandberg non è di per sé un vulcano, ma è piuttosto assimilabile ad un enorme monolite, in quanto si tratta di un unico blocco di granito spinto verso la superficie dalla pressione del sottostante vulcano in un’era databile a circa 120 milioni di anni fa.
Il Brandberg è sempre stato un centro di grande importanza spirituale per i Boscimani che tra le sue pareti rocciose e nelle grotte o ripari naturali hanno realizzato migliaia graffiti e pitture rupestri. Soggetto delle rappresentazioni sono in genere le scene di caccia, con gli animali presenti nella regione e i guerrieri con archi e frecce. I San ed i Khoi-khoi, antichi abitanti di queste terre, raccontarono le loro avventure sulle pareti rocciose di questa terra ostile: vere e proprie gallerie a cielo aperto ci mostrano questi graffiti che ritraggono leoni, giraffe, elefanti, struzzi e rinoceronti con tutte le gamme del rosso, giallo, ruggine ed ocra. Nelle grotte del Brandberg sono state rinvenute 43.000 incisioni rupestri, le meglio conservate delle quali si trovano nella Tsisab Ravine: la più nota è la “Dama Bianca” che si trova nella grotta di Maack e risale a 16.000 anni fa.
LIVINGSTONE
Livingstone è una storica città coloniale conosciuta sopratutto per la sua vicinanza alle Cascate Vittoria. La città porta il nome dell’esploratore scozzese David Livingstone, il primo europeo ad esplorare la zona. Nel 1911 Livingstone divenne la capitale della colonia inglese della Rhodesia Settentrionale, fino a quando la sede del governo si spostò a Lusaka, nel 1935. La città ha vissuto una rinascita negli ultimi dieci anni, sono stati ristrutturati ci vecchi edifici coloniali in stile che costeggiano il viale principale ombreggiato, che ospitano ora negozi, abitazioni, caffè e una varietà di imprese locali. Livingstone offre una vasta gamma di attività, dalla sfida di rafting e bungee jumping, ai safari a dorso di elefante e crociere al tramonto.
La città ha un piccolo museo dell’era coloniale che contiene una straordinaria collezione di oggetti legati a David Livingstone.
Le Cascate Vittoria, “un luogo creato per gli angeli” come sono state definite dal missionario esploratore inglese David Livingstone la prima volta che le vide, sono una delle sette meraviglie naturali del mondo ed hanno il primato di essere la più vasta massa d’acqua che precipita in cascata – uno spettacolo affascinante e ipnotico. L’enorme massa di acqua che fa un salto di ben 100 metri, mostrando tutta l’imponenza della sua energia, in circa 2 km dà luogo ad un rombo fragoroso e crea un magnifico arco d’acqua che può essere visto per miglia Si trovano lungo il corso del fiume Zambesi, che in questo punto demarca il confine geografico e politico tra lo Zambia e lo Zimbabwe. Partendo da Città del Capo, l’esploratore inglese David Livingstone scoprì molte terre nuove, discese in piroga il fiume Zambesi e il 16 novembre 1855 giunse alle cascate. Sembra che, a uso e consumo dei biografi, il celebre esploratore abbia esclamato: “Solo gli angeli, nei loro volti celesti, possono ammirare cose egualmente stupende”. Poi chiese agli indigeni Ba-Toka, che popolavano la zona, come essi chiamassero la cascata: gli risposero che il nome era Mo-ku-sa Tunya, che vuol dire pressappoco “fumo che sale”. Livingstone, traducendo la parola tunya in base al suono, che è un po’ simile a quello di thunder (tuono in inglese), le chiamò “acque dal fumo che tuona”. Ma nell’imposizione del nome ufficiale, che è un diritto dello scopritore di terre ignote, volle rendere omaggio alla sua patria e le dedicò alla grande regina: da quel giorno, dunque, il precipizio in cui si getta lo Zambesi si chiamò “Cascate Vittoria”.
L’accesso alle Cascate Victoria è a pochi passi dal centro del paese. Il flusso dell’acqua sulle cascate varia nel corso dell’anno. La stagione della piena annuale del fiume è da febbraio a maggio, quando il getto può raggiungere un’altezza di oltre 400 metri, è una visione spettacolare dall’alto, ma rende molto difficile vedere le cascate a livello del suolo dato l’enorme acquazzone e nebbia che si formano. A questi insoliti acquazzoni, che invece di provenire dal cielo, nascono dalla terra, si deve il carattere lussureggiante della vegetazione limitrofa, una vera e propria foresta pluviale in miniatura, ricca di felci, palme e ficus dai tronchi contorti, perennemente irrorata. Il livello dell’acqua inizia a scemare nel mese di agosto fino a raggiungere il livello più basso nei mesi di ottobre-dicembre, quando gran parte della parete rocciosa diventa secca. Ma anche durante la stagione secca, lo spettacolo delle cascate non ha eguali. Paradossalmente, nonostante la massa d’acqua sia meno impressionante, lo spettacolo della gola risulta ugualmente ricco di fascino, e mostra scorci altrimenti nascosti dalla nube d’acqua, onnipresente durante la piena del fiume. Queste alcune delle attività che potete prenotare in anticipo od organizzare localmente durante i periodi liberi a Victoria Falls, a pagamento: * Tour of the Falls * Boma Dinner * Sunset Cruise * Full Day Canoe * Half Day Canoe * 12/13 Minute Helicopter Flight * 15 Minute Microlight Flight (Zambia) * 30 Minute Microlight Flight (Zambia) * Elephant Back Safari Half Day * Half Day Lion Walk * Horse Back Safari – Per maggiori info: Victoria Falls Info
CENTRAL KALAHARI GAME RESERVE
Quella del deserto del Kalahari è una regione magica, destinata agli amanti della quiete, della solitudine e del silenzio dei grandi spazi. C’è chi sostiene che sia sbagliato parlare di “deserto” quando si tratta del Kalahari perché si tratta di un luogo magico in cui impera un’atmosfera unica e avvolgente. Ricco di fascino inconsueto e conturbante, pervaso da una sensazione di paciosa solitudine, il Deserto del Kalahari presenta colori e luci uniche al mondo, dove crescono alberi e dove corsi d’acqua appaiono e scompaiono come nei più riusciti giochi di prestigio.
Il Kalahari è un immenso e suggestivo deposito di sabbia, il più grande ed esteso luogo di sabbia scevro di interruzioni, la cui origine è antichissima, e risale a circa 100 milioni di anni fa, quando in seguito alla rottura del Gonswana, il supercontinente primordiale, il frammento che sarebbe divenuto l’Africa iniziò un lento sollevamento. Questo fenomeno generò tre immense depressioni circondate dalle terre sollevate: quella del Chad, nel nord del continente; quella del Congo, nell’Africa centrale; e quella del Kalahari nell’Africa australe. Con il trascorrere dei millenni, questo territorio subì varie modificazioni, ma restò sempre e comunque un grande bacino naturale.
La parte più aspra e selvaggia del Kalahari è senza dubbio la parte centrale, occupata oggi dalla Central Kalahari Game Reserve.
Qui la sabbia profonda rende difficile l’accesso e l’assenza di corsi d’acqua non favorisce certo la vita. Eppure il deserto pullula di fauna adattatasi alle severe condizioni imposte dall’ambiente; perfino l’uomo si è adattato a vivere in un luogo tanto inospitale. In particolare, le comunità autoctone dei boscimani san, spinti sempre più all’interno del deserto dalle invasioni nguni, costituiscono un mirabile esempio di adattamento. Presenti nell’area da più di 30.000 anni, essi hanno sviluppato uno stile di vita basato sulla caccia e sulla raccolta di tuberi, radici e bacche, unico nel suo genere. Nonostante l’aridità del clima e l’asprezza del territorio, le antilopi sono numerose, e tra tutte spicca per notorietà il grande orice /Oryx gazella), mitica e ambita preda dei cacciatori boscimani. Questa relativa abbondanza di erbivori consente la sopravvivenza di predatori quali il ghepardo e il leone e, nelle zone più periferiche del Kalahari anche del leopardo e della iena.
Ma con l’arrivo delle piogge, tutto cambia. Il deserto rinasce improvvisamente, trasformandosi da desolata distesa semiarida in un giardino fiorito con distese erbose verde brillante, che si popolano di migliaia e migliaia di springbok e orici. Leoni, iene, ghepardi e leopardi divengono così numerosi che se ne perde il conto. Splendidi fiori sbocciano in ogni angolo, come se il Kalahari avesse dimenticato di essere un deserto. Gli arbusti di Sesamo selvatico (Sesamothamnus lugardii) aprono i loro grandi fiori a campana, mentre l’Arbusto trombettiere (Catophractes alexandri) alterna il bianco dei suoi fiori con il giallo delle infiorescenze di Righozum occidentale (Rhigozum bbrevispinosum). Le False Acacie ad ombrello (Acacia luederitzii) e le Acacie bere (Acacia mellifera) rinverdiscono le chiome e il deserto, per alcuni mesi all’anno, rinnega la propria fama di terra arida e inospitale.
SPITZKOPPE
Spitzkoppe (che in afrikaans significa “cappello a punta”), chiamato anche “il Cervino della Namibia”, è un imponente blocco di granito di origine vulcanica situato nel cuore di un deserto con grandi massicci dalle forme geologiche incredibili e dai colori rossastri. Spitzkoppe è uno dei luoghi naturali più accattivanti della Namibia, è infatti una formazione montuosa davvero molto particolare: la sua altezza è notevole, pari a ben 1.784 metri, ma è soprattutto la sua morfologia a renderla accattivante.
Nel cuore del Namib, uno dei più aridi deserti del pianeta, svetta l’inconfondibile silhouette di questa montagna irreale e maestosa. Le sue tre cime granitiche s’innalzano sulla piana circostante. La roccia, completamente spoglia di vegetazione, ha più di 700 milioni di anni; la vetta più alta tocca i 1784 m s.l.m., e si staglia quasi a picco per 1728 m dall’altopiano circostante: un’isola di granito che brilla di un bagliore rosa. Il poeta Gordon Howard ha così cercato di evocare la magia dello Spitzkoppe. “Grandiosi monoliti intonano la solenne sinfonia dei tempi; un’altalena di giorni e notti scheggia la pelle di granito di pendio in pendio”.
WINDHOEK
La città di Windhoek è tradizionalmente conosciuta con due nomi: Ai-Gams per i Nama (il nome fa riferimento alle sorgenti calde che un tempo facevano parte della città) e Otjomuise (che significa “posto del vapore”) per gli Herero. I primi insediamenti a Windhoek si devono all’acqua delle sue sorgenti calde. A metà dell’800 il Capitano Jan Jonker Afrikaner si insediò vicino a una delle principali sorgenti calde. Windhoek, città dai molti volti è pulsante di vita, opportunità e promesse di avventure, una città multiculturale, caratterizzata dalla tranquilla coesistenza e ampio spazio vitale per la sua gente. Il fascino della città di Windhoek sta nel suo armonioso mix di culture africane ed europee e la cordialità della sua gente. La città è una bomboniera che racchiude strutture color pastello di delicata bellezza, in stile coloniale circondate da giardini e lussureggianti parchi. Molti interessanti edifici e monumenti sono stati conservati quale testimonianza della storia. Alcuni sono rappresentativi del periodo coloniale, mentre altri testimoniano la conquistata indipendenza della Namibia.
L’edificio più caratteristico e storico di Windhoek è la chiesa luterana Christuskirche. Progettata da Gottlieb Redecker all’inizio del XX secolo, questa chiesa presenta una inedita ibridazione fra il neogotico e l’art nouveau. I muri sono stati realizzati con una qualità di pietra saponaria tipica della zona. L’altare è decorato con una Resurrezione di Lazzaro copia di un celebre lavoro di Rubens. Alte Feste, il più antico edificio sopravvissuto di Windhoek, risale al 1890-92, e in origine serviva come sede della Schutztruppe; oggi ospita la sezione storica del Museo Nazionale della Namibia, che contiene cimeli e le foto del periodo coloniale e manufatti indigeni
TULI
Tuli è una zona di straordinaria bellezza naturale con rocce maestose, strana vegetazione, una ricca fauna selvatica, una profusione di uccelli e un ricco patrimonio archeologico.
I siti archeologici forniscono una prospettiva storica importante di questa regione. I luoghi di ritrovamento, risalenti all’età del ferro, testimoniano che le tribù degli Zhizo, di Leopard Kopje e Mapungubwe, che in questa zona si dedicavano all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, possedevano un’abilità rimarchevole nei campi della ceramica, dei lavori minerari e della tecnica di fusione del ferro.
La parte più interessante è quella nord-orientale, che include la Mashatu Game Reserve, Tuli Nature Reserve e altre riserve minori. La vegetazione è costituita prevalentemente da mopane e dai bellissimi “nyala trees”, detti anche alberi di Mashatu, ma non mancano baobab e acacie. Abbondante la fauna, che annovera elefanti, leopardi, leoni, iene, gnu, zebre, giraffe, licaoni, eland, waterbuck, kudu, impala, caracal, aardwolf e ghepardi. Notevole anche l’avifauna, soprattutto nei mesi estivi.
L’area di Tuli è ricca di beni archeologici e nei numerosi siti archeologici sono state scoperti alcune pitture San, risalenti all’età della pietra. I San antichi abitanti di queste terre, raccontarono le loro avventure sulle pareti rocciose di questa terra ostile: vere e proprie gallerie a cielo aperto ci mostrano questi graffiti che ritraggono leoni, giraffe, elefanti, struzzi e rinoceronti con tutte le gamme del rosso, giallo, ruggine ed ocra.
KHAMA RHINO SANCTUARY
Il Khama Rhino Sanctuary (che porta il nome del primo Presidente del Botswana, Sir. Seretse Khama) è una piccola riserva di circa 4.000 ettari, gestita dalla popolazione locale come cooperativa, i cui amministratori sono eletti tra i cittadini di Serowe, Paje e Mabeleapodi. Si estende su un terreno prevalentemente composto da fine sabbia del Kalahari, sul quale crescono una boscaglia bassa e ampie distese erbose, ambiente ideale per il vero principe di questo luogo: il rinoceronte bianco.
Il progetto della riserva per rinoceronti di Khama nasce nel 1989, a Serowe, con l’idea di restituire un’antica area di caccia al suo originario splendore. L’area adiacente a Serve Pan venne scelta per la realizzazione del progetto innanzitutto per l’eccellente habitat che l’area costituiva per il rinoceronte bianco e per molti altri erbivori e poi per la vicinanza dell’area alla base militare di Paje, che poteva fornire un servizio di antibracconaggio 24 ore su 24. Così 4 anni più tardi, nel 1993, i 4300 ettari attorno a Serve Pan vennero assegnati al Khama Rhino Sanctuary. Nonostante (come preannuncia il nome) il rinoceronte sia il protagonista indiscusso di questa felice impresa, nel Khama Rhino Sanctuary, si possono facilmente incontrare numerose altre specie di erbivori quali zebre, giraffe, gnu, eland, springbok, kudu, impala, orici e molte altre specie di antilopi. Ma non mancano piccoli e medi predatori, quali il gatto selvatico africano, il leopardo, il caracal, la genetta, la iena bruna, lo sciacallo dalla gualdrappa e l’otocione. Infine oltre agli struzzi, è possibile osservare almeno altre 230 specie di uccelli.
FISH RIVER CANYON
Il Fish River Canyon è una delle più grandi meraviglie naturali dell’Africa. La formazione del canyon viene fatta risalire a circa 500 milioni di anni fa, epoca in cui questa parte d’Africa era soggetta a piogge molto abbondanti; l’erosione provocata dal fiume unita ai movimenti tettonici della crosta terrestre che causarono lo sprofondamento della valle in cui scorreva il Fish River hanno provocato la formazione di questo magnifico canyon che, con la sua profondità di circa 550 metri, la larghezza massima di 27km e la lunghezza di 161 km è per dimensioni il secondo della Terra dopo il Grand Canyon statunitense. Proprio come il suo fratello maggiore, il Fish River Canyon è insieme un museo archeologico all’aperto e uno straordinario terreno di avventura. Per quanto isolato e selvaggio, il canyon percorso dal Fish River è stato conosciuto dall’uomo fin da tempi molto lontani. Secondo i San, uno dei primitivi popoli del deserto, il canyon fu creato dal serpente Koutelga Kooru, che si ritirò qui in una profonda tana per sfuggire ai cacciatori che lo inseguivano.
Il momento migliore per visitare il canyon è l’alba per godere il magico ed indimenticabile spettacolo di colori ed ombre di cui si ammanta il canyon. Il più forte motivo di interesse del sentiero sono le forme bizzarre delle rocce e la straordinaria imponenza delle muraglie che chiudono i fianchi del canyon, nelle quali si alternano arenaria, calcare, scisti e granito; inconsueta ed emozionante è anche la vicinanza del fiume, il più lungo della Namibia e uno dei pochissimi in grado di ospitare pesci. Ricchissima la fauna della zona: zebra di montagna, numerosi babbuini ed in casi eccezionali si lascia avvistare anche il signore della savana, il leopardo. Facili da osservare dal fondo del canyon sono gli avvoltoi e le aquile.. Numerosi anche i rettili tra i quali i temibili cobra: il Cobra del Capo e il Cobra nero spruzzatore. Interessante anche la flora con esemplari della velenosissima Euphorbia e parecchie varietà di Aloe una delle quali è Albero nazionale: l’Aloe dichotoma, detta kokerboom (“albero faretra”) perché i San svuotano i rami della pianta per farne contenitori per le loro frecce.
Savuti – Chobe National Park
Storicamente il canale di Savuti è stato un enigma che scorreva in modo irregolare, ma attualmente l’area è in una fase di transizione, all’inizio di quello che sembra essere un altro ‘ciclo bagnato’. Il canale ha iniziato a scorrere di nuovo nel 2009, per la prima volta dopo quasi 30 anni, dato che l’ultimo periodo in cui l’acqua scorreva regolarmente risale al 1950-1981.
Affascinante e interessante il lago Makgadikgadi, un grande lago preistorico, prosciugatosi in seguito a movimenti tettonici. Oggi ad alimentare, quello che è ormai solo uno stagno rimane solo il canale di Savuti, il cui flusso d’acqua durante l’anno è fortemente irregolare. A differenza della stragrande maggioranza del paese, Savuti non è un paesaggio totalmente piatto: grandi affioramenti di roccia vulcanica raggiungono fuori dalle sabbie del Kalahari che sovrastano l’infinita savana. Queste colline forniscono un habitat per una vasta gamma di piccoli animali selvatici, uccelli e piante. La cresta di sabbia, Goha Hills, ei tronchi degli alberi morti per cause alluvionali che si trovano sul Savuti Marsh e che rappresentano una caratteristica saliente di questo luogo, offrono alcune spettacolari opportunità fotografiche. Il Savuti Marsh è stato il palcoscenico per molti dei più drammatici documentari della fauna selvatica in Africa. Nella regione si trovano ampie zone di savana e di prateria, con abbondanza di fauna (facoceri, cudù, impala, zebre, gnu, elefanti, leoni, iene, ghepardi e così via).
Il Chobe National Park, con i suoi diversi e suggestivi paesaggi, è una straordinaria zona faunistica a causa della sorgente d’acqua permanente del fiume Chobe. Inoltre la sua vicinanza a Kasane e alle vicine città di Victoria Falls e Livingstone ha stimolato la costruzione di grandi alberghi e lodge nella zona più remota del delta dell’Okavango, agevolando il turismo Pochi altri luoghi al mondo possono competere con questo parco per varietà e abbondanza della fauna, che include i grandi predatori e la più alta concentrazione di elefanti in Africa (se ne contano 120.000 esemplari). La crociera lungo le rive del fiume Chobe è una tra le esperienze più entusiasmanti e coinvolgenti che si possono fare in Botswana. Grazie alla costante presenza di acqua, le rive di questo grande fiume sono frequentate da numerosi animali che si possono ammirare con facilità a bordo di piccole imbarcazioni che solcano le scure acque di questo fiume. Merita una visita il Parco del Chobe anche solo per i suoi tramonti spettacolari. Si informa che le attività sono limitate all’interno del parco nazionale, in conformità con le norme e regolamenti governativi: non è permesso guidare fuoristrada, né passeggiate o guide dopo il tramonto.
PARCO TRANSFRONTALIERO DI KGALAGADI
Il Kgalagadi è una terra selvaggia caratterizzata da condizioni climatiche estreme e da frequenti periodi di siccità, le cui sabbie rosse e bianche in perenne movimento sono interrotte solo da arbusti spinosi e da letti di fiumi asciutti. Tuttavia, nonostante l’aridità e la desolazione del paesaggio, questo territorio brulica di vita ed è uno dei migliori posti del mondo in cui avvistare i grandi felini, in particolare i ghepardi. Dai leoni dalla criniera nera ai branchi di ululanti iene maculate, il parco ospita infatti circa 1775 predatori, tra cui si contano circa 200 ghepardi, 450 leoni e 150 leopardi. Se a tutto ciò si aggiunge lo spettacolo degli immensi tramonti infuocati e dei vellutati cieli notturni trapuntati da milioni di stelle, vi sembrerà di essere entrati in un libro di fiabe.
Il Parco Kgalagadi, che si estende su una superficie di circa 3,6 milioni di ettari, è nato nel 2000 dall’unione del Gemsbok National Park (Botswana), parco nazionale che era stato istituito nel 1931, con il vicino Kalahari Gemsbok National Park (Sudafrica); il parco costituisce ufficialmente il primo parco transfrontaliero dell’Africa. Priva di recinzioni o di barriere, la riserva permette la migrazione indisturbata delle antilopi, costrette nei periodi di siccità a coprire enormi distanze per trovare acqua e cibo. E’ una delle poche aree di conservazione naturalistica di tale grandezza (3,6 milioni di ettari) rimasta al mondo, il Parco Transfrontaliero di Kgalagadi trasporta nel mondo reale le pagine dei libri di riferimento sulla fauna selvatica. Springbok al galoppo e subdoli predatori in attesa della loro preda sono riuniti in un’oasi di bellezza selvaggia.
Tutto l’ambiente circostante è un habitat adatto per i grossi predatori. Regno dell’orice (da cui deriva il nome di Gemsbok National Park), il Kgalagadi Transfrontier Park offre la dimora a specie uniche ed endemiche, che difficilmente possono essere avvistate altrove. Ne sono un esempio i suricati, curiosi mammiferi della stessa famiglia delle manguste, le otarde di Kori, gli uccelli volatori più grandi dell’Africa meridionale e i serpentari o uccelli segretari, così denominati a causa della testa che ricorda i vecchi scrivani con la penna dietro l’orecchio. Ad esclusione di alcuni erbivori (elefanti, rinoceronti e zebre), tutti gli altri animali africani sono presenti. Le antilopi più comuni sono gli springbok Dune, deserto del Kalahari, e tra i grossi predatori sono facilmente avvistabili i leoni del Kalahari nell’area di Nossob, facilmente riconoscibili grazie alla loro criniera nera, e i ghepardi che al tramonto attraversano la strada in gruppi di cinque alla volta! E gli avvistamenti non finiscono qui: aquile di Bateleur sempre in coppia, aquile pescatrici dal collo bianco e gufi giganti appollaiati tra i rami degli alberi sono i rapaci più numerosi; gli sciacalli sono onnipresenti e durante i fotosafari al tramonto, ci s’imbatte in istrici, spring hare, lepri che saltano come canguri e gatti selvaticiL’importanza di questo parco travalica la sua ricchezza naturale. Fa parte infatti di un’iniziativa fortemente voluta da Nelson Mandela detta dei “parchi della pace”, aree protette che travalicano i confini degli stati sia per istituire corridoi naturali fondamentali per il libero movimento delle specie animali, sia per inviare un forte messaggio di tolleranza e amicizia tra i vari popoli dell’africa arcobaleno.
PARCO NAZIONALE DELLE CASCATE DI AUGRABIES
Incastonato in un meraviglioso paesaggio naturalistico ricco di flora e fauna, con il possente boato delle maestose cascate come sfondo, il Parco Nazionale delle Cascate di Augrabies, rifugio del raro rinoceronte nero, fa trattenere il respiro dalla meraviglia.
È stato costituito nel 1966 e si estende su un’area di 820 km² costeggiando il fiume Orange. L’area è molto arida. Qui il fiume Orange scava una gola profonda nella roccia e con un salto di ben 56 metri crea queste bellissime cascate, facilmente accessibili da camminamenti attrezzati da cui si godono delle viste mozzafiato. Le Cascate sono illuminate di notte e sono piuttosto spettacolari, alte circa 60 metri e mozzafiato quando il fiume è in piena. Sono visitabili tramite un vero e proprio cammino guidato che si effettua su una vasta serie di passerelle e terrazze in legno che permettono di godere lo spettacolo da punti d’osservazione emozionanti e da posizioni anche piuttosto ardite.La gola in fondo alla cascata è profonda in media 240 metri e si estende per 18 chilometri. La gola costituisce un impressionante esempio di erosione di basamento granitico. Lungo il fiume Orange esistono molti depositi di diamanti alluvionali e la leggenda vuole che il deposito più ricco si trovi proprio all’interno della cavità scavata nel granito alla base della cascata dalle acque tumultuose.
Gli originali popoli Ottentotti chiamavano le cascate Ankoerebis, che significa “luogo molto rumoroso”. I Trekboers che successivamente si stabilirono in questo luogo storpiarono il nome in Augrabies. Il nome è talvolta sillabato Aughrabies. Ma l’autentica pronuncia è impossibile per la maggior parte dei non madrelingua.
Il Parco Nazionale Augrabies ha inizio in prossimità delle cascate ma sarebbe limitativo dire che queste ultime sono la sua unica attrattiva: esso riserva dei panorami straordinari e fauna e flora interessanti. La flora è molto particolare e concorre a generare un paesaggio lunare, ove le caratteristiche semidertiche del sito sono puntellate di cespugli e delle immense e stranissime aloe giganti, piante dalla forma incredibile; la fauna è ricchissima ed inoltrandosi nel parco si possono incontrare molte specie di rettili, mammiferi, piccole volpi, antilopi, giraffe, oltre al leopardo, al caracal ed il curioso irace delle rocce. La pianta più caratteristica del parco è l’aloe gigante (Aloe dichotoma) localmente nota come albero della faretra o kokerboom. Questa pianta si è perfettamente adattata alle aree semi-desertiche aride e rocciose del Nama-Karoo, capaci di sopportare le temperature estreme e il suolo sterile. Quest’albero, che può raggiungere anche i cinque metri di altezza, deve il proprio nome al fatto che gli indigeni (San) sfruttavano i rami più teneri per farne faretre per le proprie frecce. Il vistoso profilo dell’albero della faretra è tipico di questa parte del paesaggio della Provincia del Capo. Quando l’albero fiorisce in inverno, stormi di uccelli sono attratti dal suo copioso nettare, ed è possibile osservare i babbuini strappare i fiori per suggerne il liquido zuccherino. Il Parco ospita anche 50 specie di rettili, tra i quali la famosa lucertola di Broadley, conosciuta come la lucertola di Augrabies. Questa specie di lucertola si trova solo in ques’area ed è facilmente avvistabile dai punti di osservazione sulle cascate e sulla gola del fiume Orange.
Namaqualand
Il Namaqualand è arido e secco per la maggior parte dell’anno, ma durante la breve primavera, tra agosto e settembre, qualche goccia di pioggia incredibilmente trasforma il paesaggio arido, con vaste distese di fiori selvatici di ogni colore …. senza dubbio uno dei più imponenti e suggestivi spettacoli naturali del mondo.
Il tratto inferiore del fiume Orange divide la regione in due parti – Little Namaqualand a sud e Great Namaqualand a nord. La Great Namaqualand è abitata all’etnia Namaqua, un popolo Khoikhoi. Nel Little Namaqualand il “Paesaggio culturale e botanico di Richtersveld” subito a sud del parco nazionale, venne dichiarato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. La parte settentrionale dell’area venne proclamata “Parco nazionale Richtersveld” nel 1991, dopo 18 anni di negoziazione con la locale popolazione Nama che continua a vivere all’interno del parco. Il parco ospita 650 specie vegetali, ed ha la più ricca collezione mondiale di piante succulente che formano un ecosistema unico come quello di Karoo
Il parco ospita numerose piante alquanto strane, molte delle quali non si trovano in nessun’altra zona del mondo. Prima fra tutte la “Halfmensboom” (Pachypodium namaquanum). Tradotto letteralmente significa “pianta mezzo-uomo” e prende questo nome a causa della forma antropomorfa. La parte superiore è composta da un gruppo di foglie spesse ed arricciate, che possono far pensare ad una testa umana. Queste piante sono adorate dagli indigeni Nama che le ritengono personificazioni degli antenati, mezzi uomini e mezze piante
Città del Capo
Città del Capo è situata in un luogo spettacolare: incastonata tra Table Mountain, (recentemente selezionato come una delle nuove 7 meraviglie naturali del mondo) e Table Bay, Città del Capo offre panorami indimenticabili e affascinanti attrazioni storiche e culturali.
Ha fama di essere la città più aperta e rilassata del Sudafrica, dalla doppia personalità: europea, per le sue origini culturali, ma al tempo stesso profondamente africana. La si potrebbe definire un ibrido fra il mondo occidentale e il Terzo mondo. Forse proprio questo mix di elementi contrastanti rendono Città del Capo una delle città più belle e particolari del mondo e anche il viaggiatore più distratto non potrà che conservare nella memoria la fotografia di questa straordinaria città.
A pochi chilometri dal centro si trova il Capo di Buona Speranza e la colonia di Pinguini di Boulders, la Chapman’s Peak Drive attraversa paesaggi incantevoli con spiagge da sogno come quella di Camps Bay. Il centro si sviluppa attorno al moderno Waterfront e la storica Greenmarket Square, circondata da quartieri tipici. Clima delizioso, posizione incantevole, attrazioni naturali indimenticabili, storia ricca di fascino: questo è il biglietto da visita che Città del Capo consegna ai visitatori, che resteranno incantati dalla bellezza di questa città che può tranquillamente rientrare nella classifica delle più belle ed affascinanti del mondo Il centro racchiude i monumenti e le attrattive principali della città, dal castello di Buona Speranza, la struttura più antica del Sudafrica, eretto a difesa della città nel XVI secolo e mai attaccato, si passa alla Greenmarket Square, la centralissima piazza circondata da palazzi storici, che ospita un caratteristico mercato di artigianato e numerosi fiorai.
Tra gli edifici più importanti, si distinguono l’Old Town House, il vecchio municipio, St. George’s Mall, la più affascinante strada pedonale, con negozi e artisti di strada e la St George’s Cathedral, la Cattedrale Anglicana della città. La Groote Kerk è la chiesa più antica del Sudafrica e la Grand Parade è la piazza più grande della città, dominata dalla City Hall, il grande Municipio, e dove ogni mercoledì e sabato si svolge un animato mercato.
La Penisola del Capo è una riserva protetta a circa 60 km dal centro. Una funicolare permette di raggiungere la cima di Cape Point e ammirare un inquietante paesaggio, con il rabbioso oceano che si infrange sulle scogliere, spiagge deserte e belle passeggiate. Uno stretto sentiero scende al vecchio faro, e sembra di essere sospesi nel vuoto. Una strada secondaria, nelle vicinanze, conduce al Capo di Buona Speranza, che viene erroneamente indicato come il punto più a sud dell’intero continente ed immaginario punto d’incontro tra le calde acque dell’Oceano Indiano, con quelle gelide dell’Atlantico. Lungo la penisola, è impossibile non imbattersi in zebre di montagna, antilopi, babbuini, struzzi. Nella giusta stagione poi, da giugno a novembre, scrutando il mare, si possono scorgere ed ammirare le acrobazie delle balene e dei delfini
Il tour della penisola continuerà lungo la costa atlantica, passando Hout Bay e Peak del Chapman al Parco Nazionale di Table Mountain. Qui avrete la possibilità di esplorare Cape Point – punta sud-occidentale dell’Africa, nonché il Capo di Buona Speranza – doppiato per la prima volta nel 1488 dai portoghesi nel loro tentativo di stabilire rotte commerciali con l’Oriente. Sulla via del ritorno si passa attraverso Simon Town, un caratteristico e storico villaggio navale originariamente chiamato Simon Vlek in onore di Simon van der Stel, il governatore olandese della Colonia del Capo. Tempo permettendo, si visiterà la spiaggia di Boulders per vedere la colonia di pinguini africani (escursione opzionale a pagamento), prima di tornare lungo la costa dell’Oceano Indiano via Fish Hoek, Kalk Bay e Muizenberg.
Pinguini in Africa, possibile? Certo, basta allontanarsi di poco dal centro di Cape Town, seguire la strada che porta verso la riserva naturale del Capo fino a Simon’s Town. Qui, su una spiaggia bianchissima, bagnata dal più azzurro dei mari, si trova una colonia di buffissimi pinguini che resistono a temperature piuttosto calde. A Boulders si trovano ben 3000 esemplari, discendenti dalla prima coppia che si è stabilita qui nel 1982. dopo di che si può tranquillamente esplorare la zona grazie a passerelle che lambiscono la spiaggia. Pinguini che covano, che prendono il sole, che fanno il bagno…un vero spasso
PARCO NAZIONALE DI HWANGE
Il Parco nazionale Hwange è una riserva dello Zimbabwe istituito nel 1949, situata al confine con il Botswana, nella sezione centro-occidentale del paese, adiacente al deserto del Kalahari.Il nome “Hwange” viene da un capo tribù boscimane. Quando questo vasto territorio divenne parco nazionale, qui viveva ancora una comunità di boscimani e il parco inizialmente fu chiamato Wankie National Park, traslitterazione in lingua inglese del nome di un capo tribù locale: Hwange. Nel processo di re-africanizzazione del Paese alla fine degli anni Ottanta, che coinvolse anche i nomi geografici, da Wankie si passò al più autentico Hwange.
Fu riserva di caccia del capo supremo del popolo Ndebele.Il parco si estende per una pianura di quasi 15.000 km², un territorio arido che comprende una vasta parte delle sabbie del Kalahari e zone boscose ricche di teak. Il parco vanta la più alta concentrazione di grandi animali di tutta l’Africa e forse del mondo. Nel parco vivono circa 30.000 elefanti, 15.000 bufali, giraffe, zebre, diverse specie di antilopi, qui sono stati reintrodotti i rinoceronti, sia bianchi che neri. I predatori più diffusi sono leoni, leopardi e ghepardi nonché iene, licaoni e serval. Il parco ospita inoltre 400 specie di uccelli, fra gli altri, le eleganti aquile pescatrici, le gru, le cicogne, i tessitori, le averle dal petto rosso e le ghiandaie marine dal petto lilla. Questo parco ospita i famosi “Cani dipinti”, noti anche come African Wild Dogs o Licaoni che possono tracciare le loro origini a circa 40 milioni di anni fa, diffusi solo in Zimbabwe, Tanzania, Botswana e Sud Africa. Sono tra le specie più minacciate di questo continente, si stima che ce ne siano circa 4000 e sono quindi ad alto rischio di estinzione. La Painted Dog Conservation (http://us.tusk.org/painted-dog-conservation.asp) mira alla conservazione e alla tutela di questa specie con il progetto “The Painted Dog Conservation (PDC) project”.
NXAI PAN NATIONAL PARK
Lo struggente Nxai Pan National Park si trova a est dell’Okavango, copre 2578 kmq e si estende lungo l’antico Pandamatenga Trail, lungo l’estremità più settentrionale delle saline e che un tempo collegava una serie di pozzi e fino agli anni ’60 veniva utilizzato per le transumanze del bestiame.
Meno vasto del Makgadikgadi National Park, si sviluppa lungo l’antico percorso del bestiame che dallo Ngamiland conduceva a Pandamatenga, lungo l’estremità più settentrionale delle saline. E’ un territorio di acacie ad ombrello (Acacia tortillis) e baobab (Adansonia digitata), che si alternano ad ampie zone erbose e pianeggianti attorno a tre grandi depressioni: Kudiakan Pan, Nxai Pan e KgamaKgama Pan.
Il paesaggio qui è vasto e remoto, con alcune attrazioni mozzafiato come i famosi Baobab di Baines, 7 Baobab (stranamente raggruppati) risalenti a circa 150 anni fa, che si trovano nella parte meridionale del parco. I Baines’ Baobabs, un tempo chiamati Sleeping Sisters, sono un gruppo di Adansonia digitata di notevoli dimensioni, che debbono il loro nome e la loro fame al pittore e cartografo del IX secolo Thomas Baines,il quale, durante un viaggio con l’esploratore e commerciante Jon Chapman, condotto nel 1861, li ritrasse in uno splendido dipinto. Confrontando il paesaggio attuale con i dipinti si nota che in 150 anni nulla è cambiato. Sul versante nord-occidentale, sorge, infine un complesso di pozze che un tempo costituivano una preziosa fonte d’acqua per il bestiame che percorreva la pista per Pandamentenga.
Con l’arrivo delle piogge migliaia di zebre iniziano la loro migrazione annuale, seguite da elefanti, antilopi saltanti e gnu, oltre a grandi branchi di giraffe. Questi, naturalmente, attirano molti predatori – leoni, ghepardi, sciacalli e l’elusiva iena maculata, così come il cane selvatico (in via di estinzione) e il leopardo. Ci sono un gran numero di volpi e rapaci a caccia di roditori e rettili. Potrete avvistare anche i rinoceronti, l’eland gigante, il kudu maggiore e l’antilope sudafricana rossa. Osservare le stelle a Nxai Pan sarà una esperienza indimenticabile.
FIUME KWANDO
Attraverso la base di sabbia del Kalahari, il fiume Kwando scorre calmo, lungo le sue rive foreste, palme e papiri. Durante le inondazioni stagionali le zone allagate si allargando in un labirinto di canali e danno origine alle tranquille acque stagnanti delle Paludi di Linyanti. Questo è il Paese delle meraviglie con le sue acque magiche, territorio prediletto da alcune specie di animali Africani più uniche che rare e da una varietà enorme d’avifauna.
Kwando è conosciuto anche per la più alta concentrazione di mammiferi, innumerevoli sono i branchi di elefanti e bufali, numerosi i predatori, leoni, leopardi, ghepardi, iene, licaoni (cani selvatici) e nelle pianure non mancano zebre e giraffe.. Circa 10.000 anni fa, il Kwando continuava verso sud fino al lago Makgadikgadi, ma ora il fiume gira improvvisamente verso est lungo il confine con il Botswana. Da questo punto il fiume è conosciuto con il nome di Linyanti. Nella sua parte finale, dal lago stagionale Liambesi fino alla confluenza con lo Zambesi, è noto con il nome di Chobe.
L’area racchiusa tra i fiumi Kwando, Linyanti e Okavango, è una delle più isolate ed intatte del Botswana ed è famosa per essere il territorio dei grandi predatori. La linfa vitale che alimenta i sistemi Linyanti, Savuti e Chobe è rappresentata proprio dal fiume Kwando, che nasce insieme all’Okavango nelle alte terre dell’Angola e scorre al suo fianco per oltre mille chilometri. Nascosto al mondo, nella regione settentrionale del Botswana, giace questo paradiso segreto, una delle aree più belle, esclusive e remote dell’Africa. Attraverso la base di sabbia del Kalahari, il fiume Kwando scorre calmo lungo le sue rive foreste, palme e papiri. Durante le inondazioni stagionali le zone allagate si allargando in un labirinto di canali e danno origine alle tranquille acque stagnanti delle Paludi di Linyanti. La sera, il tramonto sull’acqua è uno spettacolo unico, i tramonti africani sono veramente speciali: i riflessi delle luci sull’acqua cambiano colore in ogni istante e ammirare questo spettacolo è un momento magico che incide la nostra anima, nella solitudine assoluta di questa terra selvaggia.
CAPRIVI
La regione di Caprivi è una sottile striscia di territorio, lunga 450 chilometri e larga appena 35, che si estende verso l’interno nel nordest della Namibia. Si tratta di uno dei pochi punti di incontro al mondo tra cinque paesi: Namibia, Botswana, Angola, Zambia e Zimbabwe. Caprivi costituisce un’anomalia rispetto al resto della Namibia, soprattutto dal punto di vista geomorfologico. La sua superficie è coperta da una florida vegetazione di latifoglie e il suo clima è tropicale, con un’alta piovosità che mantiene le pianure alluvionate e paludose anche nelle stagioni più secche. Su di esse si riflette l’impareggiabile luce africana, rendendo i colori ancora più brillanti e nitidi, conferisce a questo angolo africano un supplemento di autenticità. Una primordiale magia sfrigola nell’aria pulita. La percezione a fior di pelle è di una pace minata in ogni istante dal pericolo incombente di un predatore. Gli impala scappano sollevando gocce schizofreniche, mentre le famiglie di elefanti arrivano al tramonto per abbeverarsi nelle grandi pozze, coi cuccioli sempre protetti tra le possenti gambe degli adulti. Eppure è proprio a star lì, in mezzo a un niente apparente, con l’occhio che inciampa su alberi uguali a loro stessi, su qualche mastodontico baobab, su fili di sterpaglia disordinata, con un silenzio così rumoroso da scavare dentro, che può capitare di sentirsi vivi. È a star dove nulla pare accadere, piccoli e indifesi davanti alla potenza della natura, che talvolta ci si sente improvvisamente tornati alle proprie origini.
Il bracconaggio senza regole, negli anni ’70 e ‘80, durante le guerre per l’indipendenza dal governo centrale, compromise la ricchezza naturalistica di questo luogo, ma l’istituzione di diversi Parchi Nazionali nell’ultimo decennio ha contribuito a ripopolare l’area. Ora, non del tutto abolita, la caccia viene regolamentata con delle regole ferree e costi elevati, che la rendono un vizio di pochi ricchi. I turisti interessati ai safari fotografici invece trovano ampio godimento dall’avvistamento degli animali e dall’accoglienza nei lodge o nei camping situati nei punti più suggestivi del bush. .
PARCO NAZIONALE DI ETOSHA
Il Parco di Etosha è considerato uno dei “santuari” della fauna africana e con I suoi 22.270 kmq è una delle più grandi aree di protezione del mondo. E’ uno dei parchi più belli della Namibia ed inoltre la meta ideale per un bel viaggio in famiglia. In questo parco potrete avvistare gli animali simbolo del continente africano e cimentarvi in emozionanti safari fotografici. Durante la stagione delle piogge la sua superficie si copre di poche centimetri d’acqua divenendo il rifugio di molti acquatici. Ma l’acqua evapora rapidamente trasformando le pozze al margine del Pan in indispensabili fonti di vita nonchè in incredibili punti di aggregazione della fauna per la gioia dei fotografi e dei visitatori in genere.
Nella lingua oshivambo (parlata dall’etnia ovambo che popola la regione), il nome “Etosha” significa “grande luogo bianco”, con riferimento al colore del suolo del deserto salino che costituisce il 25% dell’area del parco.
Il parco fu fondato nel 1907, epoca in cui la Namibia era ancora una colonia tedesca col nome di Africa tedesca del sud-ovest. Con un’area di 100.000 km², il parco era all’epoca la più grande riserva faunistica del mondo. Il parco Etosha ospita 114 specie di mammiferi, 340 di uccelli, 110 di rettili, 16 di anfibi e persino una specie di pesci. Negli anni sessanta il parco venne progressivamente ridimensionato, fino a raggiungere l’attuale estensione. La parte centrale del parco è costituita dall’Etosha Pan, una depressione salina di 5000 km² (circa 130 km di lunghezza e 50 km di larghezza nel punto più ampio).
Si ritiene che fino a circa 12 milioni di anni fa quest’area fosse un lago poco profondo, alimentato dal fiume Cunene; in seguito il Cunene mutò il proprio corso, e la zona si trasformò in un semi-deserto. Durante la stagione delle piogge, il Pan viene talvolta alluvionato dai fiumi Oshana e Omiramba. Durante la stagione secca, il Pan torna ad assumere le caratteristiche di un deserto; il suolo salino, screpolato dal sole, assume il colore bianco intenso da cui deriva il nome “Etosha”. In questo periodo il vento trasporta la polvere dell’Etosha verso l’Oceano Atlantico, fornendo tra l’altro al suolo delle regioni a ovest l’apporto di sali minerali da cui dipendono gran parte della fauna e della flora.
Nel parco Nazionale Etosha i branchi d’animali si muovono liberamente come fanno dagli albori del mondo; l’’Etosha ospita 14 ambienti vegetali, 50 specie di serpenti, 114 specie di mammiferi e 340 specie di uccelli, sia dotati della capacità di volare, come i fenicotteri e le gru coronate, che, arrivando sull’ acqua, che riempie la depressione nella stagione delle piogge, perché attirati dalle alghe blu – verdi, sono protagonisti di uno scenario che lascerebbe tutti a bocca aperta, sia però anche un’ immensa quantità di struzzi, e troviamo anche l’otarda di Kori, il volatile più pesante al mondo.
Spostandoci più nel mondo della flora, in questo parco africano, possiamo osservare varie tipologie di vegetazione: dagli arbusti nani e aridi, passare per immense praterie, per poi finire in foreste mopane. Un’ esempio di quest’ultime è la Foresta Fantasma di Moringa, dove possiamo notare alberi di baobab e, secondo la leggenda dei San, quando Dio finì di distribuire gli animali e le piante in tutto il mondo, trovò degli alberi dimenticati, e, per decidere dove posizionarli, lanciò loro in aria e questi caddero, impiantando le loro radici nel territorio dell’attuale Etosha National Park.
La specie arborea più rappresentativa è l’albero del mopane (Colophospermum mopane), che in alcune zone del parco (Halili) dà vita a formazioni boschive, con esemplari che raggiungono gli 8 m di altezza mentre nella parte occidentale, la zona più alta del parco con aree che superano i 1.000 metri di altitudine, gli esemplari presenti non superano i 2 m. Con le sue caratteristiche foglie a forma di farfalla il mopane rappresenta un alimento apprezzato da numerose specie animali, tra cui elefanti, giraffe e rinoceronti. Sono presenti anche numerose specie di Acacia, alcune che raggiungono anche i 7 m di altezza come Acacia erioloba e Acacia tortilis, altre a portamento arbustivo quali Acacia reficiens, Acacia ataxacantha, Acacia fleckii, Acacia mellifera, Acacia luederitziie e Acacia nebrownii, ricchi di spine ma i cui fiori gialli sono molto apprezzati da giraffe, kudu e gazelle.
Il parco è rinomato per la notevole popolazione di elefanti, ma sono rappresentate, in generale, una buona parte delle specie animali dell’Africa subsahariana, inclusi tutti e cinque i “big five”. Fra i mammiferi presenti nel parco si possono citare gli elefanti, gli springbok, le zebre di Burchell, le giraffe, gli orici, i kudu, gli gnu, gli eland, i dik dik, i leoni, le iene, gli sciacalli, i leopardi e i ghepardi. Endemico della zona, ma in via di estinzione, è il raro impala dal muso nero. Le autorità del parco hanno recentemente reintrodotto i rinoceronti neri e i rinoceronti bianchi, che è relativamente facile avvistare nei pressi della pozza di Okaukuejo. Le pozze d’acqua illuminate presso gli accampamenti di Okaukuejo e Namutoni attraggono una grande quantita` di animali durante la notte, dando così la possibilità di assistere a incredibili scene di vita naturale.
Nella regione del parco Etosha abitano fin da tempi antichissimi i San (boscimani). I San della zona hanno un proprio mito riguardo all’Etosha Pan: in seguito alla distruzione di un villaggio, in cui erano stati uccisi tutti gli uomini, una donna pianse tanto che le sue lacrime formarono un grande lago; quando le lacrime si asciugarono, rimase sul suolo soltanto il sale. In seguito alle migrazioni bantu, nella regione dell’Etosha sopraggiunsero gli Ovambo, che oggi costituiscono l’etnia predominante della zona.
Il Parco è al suo massimo durante la stagione secca, quando grandi branchi d’animali si possono vedere in un contesto di panorami unici e più caratteristici del continente.
HIMBA
Gli Himba sono caratterizzati dalla loro indole, orgogliosa ma cordiale e le donne si notano per la loro inusuale bellezza valorizzata da intricate pettinature e tradizionali vestiti.
L’incontro con la popolazione Himba, che conserva ancora usi e costumi tradizionali, costituirà un’esperienza decisamente unica. A differenza di quanto si creda, gli Himba non sono né antichi né tantomeno primitivi. La loro nascita risale alla seconda metà del XIX secolo. In quel periodo le tribù nama cominciarono ad attaccare sistematicamente i pastori herero che abitavano le aride steppe del Kaokoland. Per sfuggire a queste razzie, un gruppo di Herero fu costretto ad attraversare il fiume Kunene e riparare in Angola, chiedendo cibo e pascoli alla tribù boscimane degli Ngambwe e guadagnandosi così il nome di ovaHimba, «il popolo che mendica». Solo nel 1920, sotto la guida di un capo chiamato Vita («Guerra»), gli Himba riuscirono a riattraversare il Kunene e tornare ai loro pascoli. Nei decenni passati in esilio, il loro destino si era definitivamente separato da quello degli altri Herero, i quali erano entrati in contatto con i colonizzatori tedeschi che ne avevano mutuato alcune usanze.
Tra gli Himba il rito della mungitura si ripete uguale a se stesso ogni mattina ed è uno dei momenti fondamentali della giornata perchè serve a mantenere la disciplina e la coesione del gruppo. Dopo la mungitura gli uomini portano al pascolo le vacche mentre i ragazzi più grandi si prendono cura dei vitelli e delle capre. Le donne, oltre all’accudimento dei più piccoli, svolgono i lavori più pesanti, raccolgono l’acqua, costruiscono le capanne, intrecciano cesti e pestano nei mortai il mais o la terra rossa che serve per l’impasto di cui si coprono con cura il corpo e i capelli. Gli Himba continuano a rifuggire dal mondo moderno. I missionari non riuscirono mai a convincere le donne a coprirsi il petto.
Uomini e donne, infatti, indossano pochi capi di vestiario: le donne indossano solamente gonnellini di pelle, calzano sandali in cuoio, lasciano i seni scoperti e, come detto, ricoprono la pelle e i capelli con uno strato di grasso e polvere d’ocra ricavata da una pietra. Adornano il loro corpo con particolari monili, bracciali, cavigliere, cinture e grosse collane ricavati dal cuoio e dal ferro ed abbelliti con conchiglie provenienti dalla Skeleton Coast. La tipologia di acconciatura varia con l’età: da bambine i capelli sono raccolti in due grosse trecce che cadono in avanti ai lati del viso mentre in età fertile le ragazze si pettinano creando tante strette e lunghe treccine. Diventate mogli, utilizzano una crocchia di pelle di capra per ornamento che ferma una parte dei capelli sopra la testa. I capelli vengono impregnati di fango e dello stesso impasto usato per la pelle del corpo. Anche gli uomini indossano solamente gonnellino in pelle e sandali, con l’aggiunta di una grossa collana di cuoio e ferro ricoperta di grasso. Bambini e ragazzi vengono rasati quasi completamente ad eccezione di un codino, mentre gli uomini sposati indossano un piccolo copricapo scuro. La quasi assenza di contatti con gli europei ha favorito gli Himba nel mantenimento delle loro tradizione e di gran parte dello stile di vita. I villaggi Himba sono costituiti da capanne di forma conica, realizzate in modo rudimentale utilizzando sterpi, fango e sterco di vacca. Sono pastori nomadi e per questo si spostano, anche due o tre volte in un anno, in cerca di nuovi pascoli per il loro bestiame.
Dal punto di vista religioso, anche se la Namibia è quasi totalmente cristianizzata per lo più secondo il rito luterano, in molti villaggi Himba si pratica la religione animista. È consueto, infatti, che la donna più anziana del villaggio curi che il fuoco sacro, che è sempre acceso al centro del villaggio, non si spenga mai, perché in esso è rappresentato lo spirito protettivo del Bene.
DAMARALAND
Il Damaraland, situato fra l’Ovamboland, il deserto del Namib e il deserto del Kalahari, prende il nome dal popolo Damara che vi abita, una regione arida e montuosa caratterizzata da terreni vasti e aspri le cui montagne sporgono tra ampie pianure sassose che si trasformano in vallate sabbiose, letti di fiume ricoperti di vegetazione e calde, secche vallate con formazioni geologiche bizzarre e colori fantastici. Offre scenari spettacolari ed innumerevoli attrazioni che vanno dalle strane formazioni geologiche e una flora unica alla più grande collezione del Sud Africa di artigianato in roccia antica. Nella zona predominano le arenarie, di colore rossastro e datate dai geologi a oltre 150 milioni di anni fa, che con la vividezza dei colori e le tonalità creano un’insolito e inaspettato scenario selvaggio di rara bellezza tra i più panoramici in Namibia. Le distese di pianure erbose dove si innalzano dolci colline di granito, le profonde gole attraversate da fiumi la cui origine risale alla preistoria, mutano man mano trasformandosi in una distesa infinita di affascinanti deserti di sabbia, habitat di elefanti, rinoceronti neri, giraffe e struzzi. Su tutto si staglia il Massiccio del Brandberg, con il picco di Koenigstein (2573 m), il più elevato del Paese.
Twyfelfontein, autentico museo a cielo aperto, dichiarato monumento nazionale per la presenza di incisioni e pitture rupestri risalenti probabilmente a circa 6000 anni fa, ha la più grande concentrazione della Namibia di incisioni su roccia risalenti all’età della pietra. Si ritiene che la maggior parte di queste incisioni, scolpite nella dura patina superficiale dell’arenaria, furono realizzate dai cacciatori San (boscimani). I San ed i Khoi-khoi, antichi abitanti di queste terre, raccontarono le loro avventure sulle pareti rocciose di questa terra ostile: vere e proprie gallerie a cielo aperto ci mostrano questi graffiti che ritraggono leoni, giraffe, elefanti, struzzi e rinoceronti con tutte le gamme del rosso, giallo, ruggine ed ocra. Nelle grotte del Brandberg sono state rinvenute 43.000 incisioni rupestri, le meglio conservate delle quali si trovano nella Tsisab Ravine: la più nota è la “Dama Bianca” che si trova nella grotta di Maack e risale a 16.000 anni fa.
La foresta pietrificata, situata circa 45 km a ovest di Khorixas, è il più grande accumulo di tronchi fossili dell’Africa meridionale. I tronchi sono in un ottimo stato di conservazione e sono stati dichiarati monumento nazionale. L’ampia pianura è cosparsa da tronchi pietrificati lunghi fino a 30 m con una circonferenza di 6 che risalgono a 260 milioni di anni fa. Privi di rami e di radici, si ritiene che siano stati trasportati da una gigantesca alluvione al termine dell’era glaciale. La maggior parte dei fossili, molti dei quali parzialmente sepolti nell’arenaria e altri pietrificati nella silice appartengono a sette differenti tipi di piante del tipo Dadoxylon arberi Seward, una conifera appartenente all’ordine Cordaitales, ora estinto, della classe delle Gymnospermae, a cui oggi vengono classificate le conifere, le cicadacee e le welwitschie, curiosa pianta rara, tipica del deserto del Namib.
WALVIS BAY – SWAKOPMUND
Rinomata per il più importante ambiente lagunare dell’emisfero australe, Walvis Bay è una delle principali mete marine turistiche della Namibia e l’unico porto in acque profonde sulla costa atlantica dell’Africa. Situata sul delta del fiume Kuiseb con il faro sulla punta del promontorio a nord-ovest della laguna, la baia di Walvis Bay è una delle più rilevanti zone umide nell’Africa del Sud, popolata da centinaia di migliaia di uccelli marini migratori di passaggio, pellicani, fenicotteri rosa. Nel 1487 il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz alla ricerca di una rotta verso l’Oriente scoprì questa insenatura e la denominò Golfo de Santa Maria da Conceição senza rivendicarla formalmente. Per la quantità di balene che giungevano qui per nutrirsi del plancton presente in abbondanza nelle acque dell’Oceano Atlantico, la baia fu battuta da baleniere americane ed europee in attività di caccia alla balena dal 1780 ai primi del ‘900. La località fu denominata appunto Walvisbaai, Baia delle balene, e fondata nel 1793 dagli olandesi colonizzatori quale strategico punto d’approdo intermedio lungo la rotta per il Capo di Buona Speranza, protetto dal frangiflutti naturale della lingua di terra di Pelican Point. Dopo due anni gli inglesi presero il controllo sulla zona e mutarono la denominazione della laguna in Whale Bay e in seguito divenne Walvis Bay, come è definita ancora oggi.
Caratterizzata da un’atmosfera coloniale prettamente tedesca, la città di Swakopmund sorge sulla costa atlantica, in corrispondenza della foce a delta del fiume Swakop, da cui prende il nome (“Swakopmund”, in tedesco, significa “foce dello Swakop”). Circondata dal deserto del Namib e dall’oceano, Swakopmund ha un clima temperato, con temperature molto piacevoli.
Swakopmund ospita alcuni dei più importanti esempi di architettura coloniale tedesca. Fra i monumenti di particolare interesse si possono citare la prigione di Altes Gefängnis, progettata da Heinrich Bause nel 1909, e la Wörmannhaus del 1906, oggi sede della biblioteca pubblica. Altri luoghi di interesse culturale includono il museo sui trasporti e l’acquario nazionale (National Marine Aquarium). Negli immediati dintorni si trovano diversi luoghi di interesse naturalistico, fra i quali spiccano le dune di sabbia vicino a Langstrand, a sud dello Swakop. Sono mete turistiche anche un ranch in cui si allevano cammelli (aperto al pubblico) e la “Martin Luther”, una locomotiva a vapore del 1896 abbandonata in mezzo al deserto, attualmente restaurata e ricoverata nel locale museo.
Qui saranno disponibili diverse escursioni, a pagamento, tra cui il “sandboarding” (surfing sulla sabbia), “quad biking” (moto a quattro ruote), skydiving (paracadutismo), kayak, o voli panoramici sopra il vasto deserto del Namib.
SESRIEM – SOSSUSVLEI
Il Namib è uno dei più antichi deserti del mondo; il suo nome significa ‘il nulla’. Si estende per 1600 Km lungo la costa e per altri 500 Km verso l’interno. In nessun altro luogo al mondo esistono paesaggi così desolati e al tempo stesso così affascinanti.
Il paesaggio della zona di Sossusvlei è caratterizzato da dune di sabbia dai colori intensi, compresi fra il rosa e l’arancione. Tale colorazione è dovuta alla composizione ferrosa della sabbia e alla sua ossidazione; le dune più antiche sono quelle dal colore rosso più intenso. Diverse dune dell’area di Sossusvlei superano i 200 m di altezza rispetto al suolo circostante, e si classificano fra le più alte del mondo. A causa dell’eleganza e della varietà dei suoi paesaggi e dei suoi contrasti di colore, l’area di Sossusvlei è una delle icone della Namibia e uno dei luoghi più fotografati dell’Africa australe.
Il Canyon Sesriem è situato a circa 4,5 km dal cancello d’ingresso principale del Parco Nazionale del Namib-Naukluft , ai margini del deserto del Namib nelle vicinanze del versante meridionale della catena dei monti Naukluft in Namibia. Compreso nel Namib-Naukluft National Park (il parco nazionale di maggiore estensione in Namibia e in Africa) nella Regione di Hardap. Il Sesriem Canyon, uno straordinario fenomeno geologico, è diventato una delle più frequentate attrazioni turistiche della Namibia per le rinomate bellezze naturali della zona,. Milioni di anni fa, il Sesriem Canyon fu scavato tra le rocce sedimentarie fino a una profondità di 30 metri per un chilometro di lunghezza dal fiume Tsauchab, che scorre impetuoso soltanto in caso di rare piogge sulle montagne Naukluft. In alcuni tratti il canyon è piuttosto stretto (fino a un minimo di 2 m); in questi punti si formano delle pozze d’acqua perenni, da cui gli animali possono bere. In afrikaans, “Sesriem” significa “sei cinghie”, e deriva dal fatto che i primi coloni dovevano usare un sistema di sei corregge per estrarre l’acqua dal fondo della gola. Appena a sud della stazione di servizio di Sesriem, un sentiero conduce al Sesriem Canyon. Una volta scesi, si può camminare agevolmente lungo il letto asciutto del fiume. Le pareti del canyon sono composte da diversi strati visibili di roccia sedimentaria di sabbia e ghiaia depositate con grotte e incredibili formazioni rocciose. Oltre a qualche specie arborea, è habitat di piccioni, corvi, storni, lucertole, coleotteri, avvoltoi, gufi reali, sciacalli. Il canyon è più spettacolare all’alba e al tramonto, quando la luce diventa soffusa scoprendo paesaggi mozzafiato.
POPOLI SAN
Al di là degli imponenti spettacoli naturali che offrono sia flora che fauna, quello che affascina del Botswana sono anche le tradizioni e la cultura delle popolazioni locali.
Diverse ondate migratorie sono avvenute nel corsi dei secoli e a testimonianza di questo nel paese permangono almeno una ventina di lingue parlate. Secoli fa il territorio era popolato dai noti Boscimani o San, i cacciatori che costituivano la più antica etnia del Botswana: al giorno d’oggi sono pochi i rappresentanti rimasti, ospitati nelle riserve come quella del Kalahari centrale. Le prove archeologiche suggeriscono che i Boscimani abitino l’Africa meridionale da almeno 22.000 anni. Insieme ai pigmei dell’Africa centrale, i boscimani sono stati considerati la possibile fonte della linea di discendenza del DNA mitocondriale, la leggendaria Eva mitocondriale.
Tra le credenze dalle radici primordiali ed alcuni riti affascinanti permane la Danza della Pioggia, dove ad accompagnare le cadenze ritmiche ci sono strumenti tipici a percussione, e riti di iniziazione maschili e femminili.
Importante nella vita di ogni uomo è il culto degli antenati: è attraverso le loro residenze ultraterrene che aiutano i discendenti a risolvere i problemi, entrando in contatto solo con i capifamiglia.
Il folclore dell’etnia San è ricco di interpretazioni soprannaturali per i fenomeni della natura, orchestrati da Nodima, il bravo ragazzo, e Gcawama, malizioso e imbroglione.
I Boscimani amano l’arte e in particolare la musica, il canto e la danza. Il loro principale strumento musicale è una specie di arco che tengono premuto contro la bocca, adoperano anche una specie di lira a quattro corde, non usano, invece, tamburi. Danzano spesso sia per il piacere personale sia per piacere degli altri. Ancora oggi in molte comunità boscimani le famiglie si raccolgono intorno al fuoco di notte: le donne forniscono con mani e piedi la base ritmica delle danze. C’è la danza del fuoco, la danza dell’antilope; c’è il gioco dei mimi: i ragazzi si appoggiano sulla schiena delle madri, mentre esse cantano canti purificatori.
KALAHARI
Al di là degli imponenti spettacoli naturali che offrono sia flora che fauna, quello che affascina del Botswana sono anche le tradizioni e la cultura delle popolazioni locali. Diverse ondate migratorie sono avvenute nel corsi dei secoli e a testimonianza di questo nel paese permangono almeno una ventina di lingue parlate. Secoli fa il territorio era popolato dai noti Boscimani o San, i cacciatori che costituivano la più antica etnia del Botswana: al giorno d’oggi sono pochi i rappresentanti rimasti, ospitati nelle riserve come quella del Kalahari centrale. Le prove archeologiche suggeriscono che i Boscimani abitino l’Africa meridionale da almeno 22.000 anni. Insieme ai pigmei dell’Africa centrale, i boscimani sono stati considerati la possibile fonte della linea di discendenza del DNA mitocondriale, la leggendaria Eva mitocondriale. Tra le credenze dalle radici primordiali ed alcuni riti affascinanti permane la Danza della Pioggia, dove ad accompagnare le cadenze ritmiche ci sono strumenti tipici a percussione, e riti di iniziazione maschili e femminili. Importante nella vita di ogni uomo è il culto degli antenati: è attraverso le loro residenze ultraterrene che aiutano i discendenti a risolvere i problemi, entrando in contatto solo con i capifamiglia. Il folclore dell’etnia San è ricco di interpretazioni soprannaturali per i fenomeni della natura, orchestrati da Nodima, il bravo ragazzo, e Gcawama, malizioso e imbroglione. I Boscimani amano l’arte e in particolare la musica, il canto e la danza. Il loro principale strumento musicale è una specie di arco che tengono premuto contro la bocca, adoperano anche una specie di lira a quattro corde, non usano, invece, tamburi. Danzano spesso sia per il piacere personale sia per piacere degli altri. Ancora oggi in molte comunità boscimani le famiglie si raccolgono intorno al fuoco di notte: le donne forniscono con mani e piedi la base ritmica delle danze. C’è la danza del fuoco, la danza dell’antilope; c’è il gioco dei mimi: i ragazzi si appoggiano sulla schiena delle madri, mentre esse cantano canti purificatori.
JOHANNESBURG
Una città dai mille volti con differenze inconciliabili, Johannesburg deve la sua fortuna, anzi, la sua stessa esistenza, alla corsa all’oro cominciata nel 1886.
Divenne già in epoca vittoriana centro della finanza e degli affari, e di quell’epoca conserva numerosi edifici. Johannesburg è attualmente la sede della Corte Costituzionale del Sudafrica e della Johannesburg Securities Exchange (JSE), la Borsa più grande dell’Africa e una delle dieci più grandi del mondo. È considerata il principale polo economico del paese e dell’intero continente africano, con le sue industrie diamantifere, manifatturiere, nonché diverse compagnie di scavi, soprattutto di oro, sebbene le miniere non siano ormai più situate entro i confini cittadini.
Alcuni la chiamano Jo’burg o Jozi mentre per il popolo Nguni è iGoli, ovvero la città dell’oro, visto che Johannesburg, vero centro commerciale del Sudafrica (la capitale politica del Paese è Pretoria), si è sviluppata a partire dall’arrivo in questa zona dei cercatori d’oro europei nel diciannovesimo secolo. Con i suoi cinque milioni di abitanti e i suoi 33 sobborghi (le townships) la città si estende per chilometri ed è la rappresentazione, anche architettonica, delle contraddizioni di un Paese che ha cancellato l’aberrante realtà dell’apartheid solo da pochi decenni
NATA e MAKGADIGADI PANS
La principale attrazione di Nata è costituita dal Nata Sanctuary, una riserva naturale, gestita dalla comunità locale posta al margine settentrionale della salina di Sua Pan. Durante la stagione delle piogge, quando il fiume Nata ritorna a scorrere, alimentato dalle precipitazioni estive nello Zimbabwe, le saline si trasformano in un vasto lago salmastro, luogo d’incontro per moltissime specie di uccelli. Il Nata Sanctuary, inoltre, si trova sulla rotta di alcune specie di uccelli migratori pleartici e inter-africani, quali l’aquila della steppa, il gruccione meridionale e il gruccione europeo, e questa peculiarità rende possibile l’avvistamento di tali specie durante la stagione di permanenza. L’abbondanza di prede e il terreno aperto, costituiscono ottimi presupposti per l’avvistamento di una grande varietà di rapaci.
Il vasto spazio aperto di Makgadikagadi Pans, fa sperimentare un silenzio così totale da avere quasi l’impressione che si possa sentire addirittura scorrere il proprio sangue. Una serie di grandi saline sono tutto ciò che rimane di un vasto antico super-lago che si prosciugò circa 10.000 anni fa e le cui origini risalgono a più di cinque milioni di anni fa. Dopo le piogge l’avifauna è spettacolare e si possono ammirare stormi di fenicotteri che a migliaia scendono sugli stagni creando un magico e colorato spettacolo. Le migliori vedute dei paesaggi si hanno verso la fine della stagione estiva, quando, a causa del grande calore gli oggetti perdono le loro naturali forme e dimensioni, e sembrano dilatarsi e fluttuare nell’aria creando un’atmosfera quasi spettrale.
Chobe National Park
Il Chobe National Park, con i suoi 10.698 km2 di superficie è il terzo più grande parco del Botswana e, probabilmente, il più vario (quanto a territorio e ambiente) e più ricco di fauna. L’area che si affaccia sul fiume omonimo, per citare un esempio, vanta la più numerosa popolazione di elefanti dell’intero paese.
Il Chobe National Park, con i suoi diversi e suggestivi paesaggi, è una straordinaria zona faunistica a causa della sorgente d’acqua permanente del fiume Chobe. Inoltre la sua vicinanza a Kasane e alle vicine città di Victoria Falls e Livingstone ha stimolato la costruzione di grandi alberghi e lodge nella zona più remota del delta dell’Okavango, agevolando il turismo attratto dalla straordinaria bellezza di questo territorio e dall’abbondanza di fauna. Pochi altri luoghi al mondo possono competere con questo parco per varietà e abbondanza della fauna, che include i grandi predatori e la più alta concentrazione di elefanti in Africa (se ne contano 120.000 esemplari). La crociera lungo le rive del fiume Chobe è una tra le esperienze più entusiasmanti e coinvolgenti che si possono fare in Botswana. Grazie alla costante presenza di acqua, le rive di questo grande fiume sono frequentate da numerosi animali che si possono ammirare con facilità a bordo di piccole imbarcazioni che solcano le scure acque di questo fiume. Lo spettacolo di tutti gli animali che si abbeverano e giocano in riva al delta è da non perdere, in particolare nella stagione secca (maggio – ottobre), dove la scarsità dell’acqua crea una distanza dal fiume. Si tratta di una zona famosa per l’abbondanza di elefanti, animali predatori, oltre alla possibilità di vedere mandrie di bufali e forse anche antilopi roan e sable. Nella stagione delle piogge (novembre – aprile) la fauna selvatica è invece molto meno concentrata al fiume, dato che si disperde in tutta l’area del Chobe National Park, seguendo la disponibilità d’acqua che offrono gli stagni nelle vicinanze. Questo facilita la ripresa della vegetazione sulle rive del fiume distrutta dalle enormi mandrie che vengono attratte nella zona nei mesi secchi. Le piogge estive portano bei fiori selvatici, affascinanti paesaggi, emozionanti voli di stormi di uccelli e abbondanza di cuccioli, in genere nati intorno a novembre/dicembre. Merita una visita Chobe anche solo per i suoi tramonti spettacolari. Si informa che le attività sono limitate all’interno del parco nazionale, in conformità con le norme e regolamenti governativi: non è permesso guidare fuoristrada, né passeggiate o guide dopo il tramonto.
MAKGADIGADI PANS
La principale attrazione di Nata è costituita dal Nata Sanctuary, una riserva naturale, gestita dalla comunità locale posta al margine settentrionale della salina di Sua Pan. Durante la stagione delle piogge, quando il fiume Nata ritorna a scorrere, alimentato dalle precipitazioni estive nello Zimbabwe, le saline si trasformano in un vasto lago salmastro, luogo d’incontro per moltissime specie di uccelli.
Il Nata Sanctuary, inoltre, si trova sulla rotta di alcune specie di uccelli migratori pleartici e inter-africani, quali l’aquila della steppa, il gruccione meridionale e il gruccione europeo, e questa peculiarità rende possibile l’avvistamento di tali specie durante la stagione di permanenza. L’abbondanza di prede e il terreno aperto, costituiscono ottimi presupposti per l’avvistamento di una grande varietà di rapaci.
Il vasto spazio aperto di Makgadikagadi Pans, fa sperimentare un silenzio così totale da avere quasi l’impressione che si possa sentire addirittura scorrere il proprio sangue. Una serie di grandi saline sono tutto ciò che rimane di un vasto antico super-lago che si prosciugò circa 10.000 anni fa e le cui origini risalgono a più di cinque milioni di anni fa. Dopo le piogge l’avifauna è spettacolare e si possono ammirare stormi di fenicotteri che a migliaia scendono sugli stagni creando un magico e colorato spettacolo.
Le migliori vedute dei paesaggi si hanno verso la fine della stagione estiva, quando, a causa del grande calore gli oggetti perdono le loro naturali forme e dimensioni, e sembrano dilatarsi e fluttuare nell’aria creando un’atmosfera quasi spettrale.
Victoria Falls è una città situata sulla riva meridionale del fiume Zambesi, all’estremità orientale delle Cascate Vittoria. E’ un’incantevole località turistica, facile da esplorare a piedi e che offre una vasta gamma di attività: dalla sfida di rafting e bungee jumping al safari per l’avvistamento del maestoso elefante, o seducenti crociere per assistere al tramonto. Ce n’è per tutti.
Le Cascate Vittoria, “un luogo creato per gli angeli” come sono state definite dal missionario esploratore inglese David Livingstone la prima volta che le vide, sono una delle sette meraviglie naturali del mondo ed hanno il primato di essere la più vasta massa d’acqua che precipita in cascata – uno spettacolo affascinante e ipnotico. L’enorme massa di acqua che fa un salto di ben 100 metri, mostrando tutta l’imponenza della sua energia, in circa 2 km dà luogo ad un rombo fragoroso e crea un magnifico arco d’acqua che può essere visto per miglia Si trovano lungo il corso del fiume Zambesi, che in questo punto demarca il confine geografico e politico tra lo Zambia e lo Zimbabwe. Partendo da Città del Capo, l’esploratore inglese David Livingstone scoprì molte terre nuove, discese in piroga il fiume Zambesi e il 16 novembre 1855 giunse alle cascate. Sembra che, a uso e consumo dei biografi, il celebre esploratore abbia esclamato: “Solo gli angeli, nei loro volti celesti, possono ammirare cose egualmente stupende”. Poi chiese agli indigeni Ba-Toka, che popolavano la zona, come essi chiamassero la cascata: gli risposero che il nome era Mo-ku-sa Tunya, che vuol dire pressappoco “fumo che sale”. Livingstone, traducendo la parola tunya in base al suono, che è un po’ simile a quello di thunder (tuono in inglese), le chiamò “acque dal fumo che tuona”. Ma nell’imposizione del nome ufficiale, che è un diritto dello scopritore di terre ignote, volle rendere omaggio alla sua patria e le dedicò alla grande regina: da quel giorno, dunque, il precipizio in cui si getta lo Zambesi si chiamò “Cascate Vittoria”.
L’accesso alle Cascate Victoria è a pochi passi dal centro del paese. Il flusso dell’acqua sulle cascate varia nel corso dell’anno. La stagione della piena annuale del fiume è da febbraio a maggio, quando il getto può raggiungere un’altezza di oltre 400 metri, è una visione spettacolare dall’alto, ma rende molto difficile vedere le cascate a livello del suolo dato l’enorme acquazzone e nebbia che si formano. A questi insoliti acquazzoni, che invece di provenire dal cielo, nascono dalla terra, si deve il carattere lussureggiante della vegetazione limitrofa, una vera e propria foresta pluviale in miniatura, ricca di felci, palme e ficus dai tronchi contorti, perennemente irrorata. Il livello dell’acqua inizia a scemare nel mese di agosto fino a raggiungere il livello più basso nei mesi di ottobre-dicembre, quando gran parte della parete rocciosa diventa secca. Ma anche durante la stagione secca, lo spettacolo delle cascate non ha eguali. Paradossalmente, nonostante la massa d’acqua sia meno impressionante, lo spettacolo della gola risulta ugualmente ricco di fascino, e mostra scorci altrimenti nascosti dalla nube d’acqua, onnipresente durante la piena del fiume.
Queste alcune delle attività che potete prenotare in anticipo tramite noi od organizzare localmente, a pagamento:
Tour delle Cascate Vittoria
Pranzo al Lookout Cafè
Crociera sullo Zambesi al tramonto
Volo in elicottero sulle cascate 12-13 minuti
Tour in bicicletta
Canoeing
Historic Tram & bridge Tour
Elephant Art
Pay it forward
Wildlife Conservation and awareness safari
E per chi desidera qualcosa di più adrenalinico:
Rafting
Gorge swing
Zip tour
Canopy tour
Bungee jumping
Per maggiori info su queste attività:
standard, fatte in gruppo:Victoria Falls Activities Standard
gold, con transfer privati: Victoria Falls Activities Gold
e per uscire a pranzo o a cena, ci sono una varietà di soluzioni,
che troverete a questo link: Victoria Falls Dining
ll Delta dell’Okavango
Il vasto territorio del Botswana è quasi completamente avvolto dall’abbraccio delle sabbie del Kalahari, sulle quali una pianura semiarida mista a savana costituisce l’ambiente predominante, ma nell’angolo nord-occidentale del paese, si compie un miracolo ambientale e la natura ci stupisce ancora una volta. L’Africa, che non conosce compromessi, offre proprio qui, nel cuore del Kalahari, un delle poche “terre umide” rimaste sul pianeta: un bioma unico e di incommensurabile valore. Il miracolo si compie per mezzo di un fiume: l’Okavango.
L’Okavango è il quarto fiume più lungo dell’Africa (circa 1.600 km). Nasce in Angola dove è chiamato Cubango, scorrendo verso sud costituisce per un tratto il confine tra Angola e Namibia e, in seguito, scorre in Botswana all’interno della Riserva Faunistica di Moremi. L’Okavango è l’unico corso d’acqua al mondo che non sfocia in un mare né confluisce le sue acque in un altro corso d’acqua o in uno specchio d’acqua, bensì si disperde in una palude in un’area del deserto del Kalahari, il Delta dell’Okavango, uno dei delta interno più grandi del mondo, situato nel bel mezzo di quella che è la più grande distesa costante di sabbia in tutto il mondo: il bacino del Kalahari. Questa oasi nel bel mezzo del deserto è un ecosistema ricco e fragile, che fornisce una fonte di vita per una incredibile varietà di fauna selvatica. Svariate specie si sono adattate alle contrastanti condizioni create dal duro vivere nel deserto del Kalahari, che si trasforma ogni anno con l’inondazione del delta tramite l’acqua che arriva dall’Angola. La zona più interna del Delta è un ambiente di acque perenni, ma spostandosi verso l’esterno, si incontrano una miriade di isole e isolotti, la cui estensione va da pochi etri quadrati a decine di chilometri quadrati. La vegetazione cresce rigogliosa: alte palme Mokolwane, distese di acacie variegate, alberi delle salsicce (Kigelia africana) dagli splendidi fiori purpurei e centinaia d’altre specie. Isole galleggianti di ninfee, muraglie di papiri (Cyperus papyrus), ampie distese erbose e boschi lussureggianti creano un habitat ideale per una quantità incredibile di animali. Più di 500 specie di uccelli popolano il Delta e quasi tutti i più grandi mammiferi Africani si trovano in questo paradiso. Branchi di elefanti e mandrie di bufali solcano gli acquitrini erbosi; i lichi, le sinuose antilopi delle paludi, sembrano volare sull’acqua quando corrono tra i canali del Delta. Ippopotami e coccodrilli popolano le acque placide e dietro a mandrie di zebre e branchi di impala, si muovoni i leoni, i licaoni, le iene e il leopardo.
La zona umida dell’Okavango comprende la Riserva Faunistica di Moremi e le regioni circostanti divise in aree conosciute come Concessioni Private. Tali concessioni sono aree di gestione della fauna selvatica, attentamente amministrate per bilanciare lo sviluppo della crescente comunità e la conservazione, coinvolgendo i cittadini attraverso il turismo sostenibile. Molti dei lodge esclusivi in Botswana si trovano all’interno di queste concessioni nel delta, dando l’opportunità di un’esperienza senza pari della fauna selvatica – esclusiva e remota, evitando il turismo di massa e lo sfruttamento.
I livelli delle inondazioni fluttuano notevolmente durante tutto l’anno, con un picco elevato delle acque nel Okavango centrale durante i mesi secchi invernali e bassi livelli d’acqua durante i mesi estivi, in contrasto con le precipitazioni stagionali. Il paesaggio, le attività e le battute di caccia variano considerevolmente in tutto il delta a seconda della località, della stagione e dei livelli di piena. Alcune aree hanno grandi tratti di terra ferma permanente, il che significa che in generale si è più interessati alle attività che si possono espletare sulla terraferma (battute di caccia e bird watching).
I lodges situati al centro delle isole nel delta organizzano maggiormente delle attività acquatiche come escursioni a bordo di mokoro, passeggiate, canottaggio, pesca e bird watching. Questi lodge situati ai margini esterni del delta, denominato delta ‘stagionale’, offrono svariate esperienze in diversi momenti dell’anno – più attività sull’acqua durante i livelli di piena elevati, mentre con i livelli bassi del fiume si organizzano più attività da svolgere sulla terraferma.
Le garzaie diventano attive al ritorno degli uccelli migratori nel Botswana da settembre a novembre, e generalmente il bird-watching è eccellente durante i mesi estivi. Le battute di caccia sono più concentrate intorno all’acqua permanente durante la stagione secca (aprile – ottobre) essendo troppo caldo il clima nei mesi successivi. La stagione delle piogge (novembre-aprile) ravviva il paesaggio lussureggiante con fiori di campo, sensazionali rovesci temporaleschi, tramonti spettacolari e la stagione delle nascite porta grandi predatori con interessanti interazioni predatore/preda.
MAUN
Maun è la porta d’accesso per i grandi parchi del nord. L’accesso alla Moremi Game Reserve, forse la più nota e frequentata delle aree protette del Botswana, dista da Maun soltanto 95 km.
Maun (da Makau o Maung, “il luogo delle canne corte”, forse per via della posizione lungo il fiume Thamalakane, sulle cui rive crescono canne e papiri), nonostante l’apparenza di una disordinata cittadina africana contemporanea, cresciuta in tutta fretta nell’ultimo lustro, vanta una storia molto antica.
Già alla fine del 1700, dove oggi sorge la città, c’era un piccolo insediamento dell’etnia Yei, che portava il nome di Makau. Durante la dominazione da parte di un gruppo secessionista di Bangwato, separatosi dal regno centrale per motivi di sucessione al trono, il nome Makau subì una storpiatura linguistica che lo trasformò in Maung. Durante gli anni successivi al 1880, l’area subì l’invasione degli Ndebele del re Lobengula e i Bangwato del gruppo Ba Tawana che la abitavano, vennero spinti verso il delta dell’Okavango.Qui l’avanzata degli Ndebele si arrestò, a causa delle difficoltà opposte dal particolare terreno del Delta, ben conosciuto, invece, dai Bangwato i quali, approfittando appunto della propria familiarità con l’ambiente, riuscirono a contrattaccare, scacciando l’invasore.
Nel frattempo, i primi bianchi raggiungevano la zona e, nel 1915, la capitale del regno Bangwato Ba Tawana venne spostata a Maung, così che questa data viene tuttora considerata quella della fondazione della città. Una successiva storpiatura del nome, ad opera dei bianchi, trasformò definitivamente Maung in Maun.
Oggi Maun è il centro amministrativo dello Ngamiland e vanta il titolo di terza città più grande del Botswana, nonché capitale del turimo nel paese. Nella città e dintorni la popolazione è ancora in netta maggioranza Ba Tawana, tuttavia, si registra anche la presenza di altre comunità appartenenti a gruppi etnici minori.
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